Civile

"Nello stato di fatto e diritto": le clausole di stile nella prassi immobiliare

CASSAZIONE CIVILE, Sez. II, 11 giugno 2014, n. 13223 ? Pres. Oddo ? Est. Proto ? P.m. Capasso ? G.C. DI G.A. S.a.s. c. P.A.

Da I Contratti 12/2014

Il pagamento del prezzo, non esclude l’applicazione anche alla vendita (qualora essa avvenga da parte del costruttore- venditore) della responsabilit? per i vizi di cui all’art. 1669 c.c., a meno di una espressa e specifica rinuncia in tal senso, non ravvisabile nella semplice circostanza che il bene sia stato trasferito a corpo e nello stato di fatto e di diritto in cui si trova e si possiede.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la societ? ricorrente deduce la violazione degli artt. 18, 19, 20 e 38 c.p.c. e la violazione dell’art. 112 c.p.c., sostenendo che la Corte di appello avrebbe omesso di pronunciarsi sulla eccezione di incompetenza territoriale (in relazione al foro generale delle persone giuridiche ex art. 19 c.p.c., sulla base del quale sarebbe stato competente il Tribunale di Napoli) sollevata anche con riferimento all’ipotesi di causa di risarcimento danni; la ricorrente lamenta che la Corte di Appello si sarebbe pronunciata solo sulla eccezione di incompetenza fondata sulla deroga convenzionale; inoltre ripropone la censura secondo la quale il contratto preliminare prevedeva la competenza esclusiva di un foro diverso rispetto a quello adito.

Formulando i quesiti di diritto ex art. 366-bis c.p.c., ora abrogato, ma applicabile ratione temporis, la societ? ricorrente chiede; se l’omessa pronuncia su domanda o eccezione autonomamente apprezzabile ha come corollario la nullit? della sentenza; se in tema di competenza territoriale ex art. 20 c.p.c., nel caso di domanda di risarcimento in forma specifica per responsabilit? extracontrattuale, qualora sia eccepita l’incompetenza per territorio con riferimento ad entrambi i criteri di collegamento ex artt. 18 e 19 c.p.c., va dichiarata l’incompetenza territoriale del giudice adito in favore di quella del foro della convenuta.

1.1 Il motivo ? manifestamente infondato: il foro stabilito dall’art. 20 c.p.c., per le cause relative a diritti di obbligazione concorre con i fori generali di cui agli artt. 18 e 19 c.p.c. e l’attore pu? liberamente scegliere di adire uno dei due fori generali oppure il foro facoltativo dell’art. 20 c.p.c.; infatti la norma stabilisce che per le cause relative a diritti di obbligazione (tra le quali devono intendersi ricomprese anche le obbligazioni scaturente da responsabilit? extracontrattuale) ? anche competente il giudice del luogo in cui ? sorta o deve eseguirsi l’obbligazione; nella specie l’immobile affetto da vizi (accertati poi come gravi) era ubicato in (omissis), il contratto di vendita era stipulato in Salerno e l’azione ? stata proposta davanti al Tribunale di Salerno (sezione distaccata di Mercato S. Severino dove appunto era stato costruito l’immobile).

In tema di obbligazioni nascenti da fatto illecito, l’azione di risarcimento sorge nel luogo in cui l’agente ha posto in essere l’azione produttiva del danno (forum commissi delicti) e in relazione a tale luogo (nella specie coincidente con la realizzazione della costruzione affetta da vizi gravi) deve essere determinata la competenza territoriale ex art. 20 c.p.c. (cfr. Cass. n. 6626/2005 Cass. ord. n. 18906/2004, nonch? sentt. nn. 866/1995, 6381/1991, 570/1976, 1299/1962). La domanda proposta era una domanda (cos? come correttamente qualificata dai giudici del merito) di risarcimento danni e pertanto il giudice adito era sicuramente competente.

Non sussiste il vizio di omessa pronuncia in quanto laCorte di appello, rigettando l’eccezione di incompetenza, seppure espressamente motivando con riferimento alla dedotta competenza esclusiva, ha implicitamente ritenuto la competenza territoriale del giudice adito sotto ogni profilo; in ogni caso la censura ? inammissibile per irrilevanza stante la manifesta infondatezza dell’eccezione di incompetenza: le norme sulla competenza sono state rispettate e la ricorrente non ha alcun interesse a dolersi della mancata pronuncia su una eccezione di incompetenza manifestamente infondata.

La riproposizione dell’eccezione di incompetenza in applicazione della clausola attributiva di competenza esclusiva ad altro giudice ? inammissibile in quanto non attinge la (corretta) ratio decidendi secondo la quale la clausola, pur inserita nel preliminare, non era stata inserita nel contratto definitivo. Cos? inquadrata la questione in fatto e in diritto, e discende che i quesiti non sono congrui rispetto al decisum.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 163, 183 e 112 c.p.c., dell’art. 1495 c.c., dell’art. 2967 c.c. Il ricorrente sostiene:
– che infondatamente la Corte di appello avrebbe rigettato la censura di ultrapetizione non considerando che gli attori solo in sede di comparsa conclusionale avevano dedotto un diverso fatto costitutivo della loro pretesa e, in particolare, l’esistenza di gravi difetti tali da giustificare l’applicazione dell’art. 1669 c.c., mentre con l’atto introduttivo del giudizio si erano limitati a dedurre specifici vizi e difformit?;
– che l’estensione della domanda, successivamente alla scadenza dei termini i cui all’art. 180 c.p.c., a tutti i vizi comporta un non consentito ampliamento del thema decidendum;
– che i vizi denunciati solo con la conclusionale sono stati denunciati oltre il termine di cui all’art. 1669 c.c. e in ogni caso l’opera era stata accettata e il bene era stato trasferito a corpo e nello stato di fatto e di diritto in cui si trovava, con la conseguenza che agli attori era preclusa la contestazione dei vizi;
– che tra le parti non era stato siglato alcun contratto di appalto, ma solo un preliminare di vendita e poi un definitivo di vendita e i vizi erano dedotti in relazione alla vendita;
– che inoltre, secondo il CTU, si trattava di anomalie che non compromettevano l’abitabilit?.
La ricorrente, formulando il quesito chiede:
– se l’allegazione di un fatto nuovo e di una nuova domanda in sede di comparsa conclusionale comporta mutatio libelli e non semplice emendatici e se l’introduzione di un diverso fatto costitutivo della pretesa, pur potendo comportare le stesse conseguenze in tema di attribuzione del bene della vita costituisce domanda nuova e pertanto i nuovi fatti allegati sono inammissibili per cui il giudice non pu? e non deve pronunciarsi su di essi;
– se la qualificazione giuridica operata dal giudice ? consentita quando le parti prospettano determinati fatti, domande ed eccezioni nei modi e nei termini dell’art. 183 c.p.c., mentre la stessa qualificazione giuridica esorbita dai poteri del giudice quando l’allegazione del nuovo fatto costitutivo della pretesa e di nuova domanda ? prospettato dalle parti oltre il termine dell’art. 183 c.p.c. e nella specie in sede di comparsa conclusionale e la decisione in questo caso ? affetta da ultra ed extra petizione per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.

Nella seconda parte del motivo la ricorrente deduce che la Corte territoriale avrebbe errato non considerando che non erano stati denunciati i gravi difetti dell’art. 1669 c.c. (a dire della ricorrente neppure esistenti avendo il CTU accertato che l’immobile possiede i requisiti di abitabilit? e usabilit?) ma solo vizi e difformit?; in ogni caso la domanda sarebbe stata proposta solo con la conclusionale e quindi oltre il termine di cui all’art. 1669 c.c.; deduce infine che la domanda sarebbe inammissibile in quanto l’immobile era stato trasferito a corpo e nello stato di fatto e diritto in cui si trova e si possiede e il pagamento del corrispettivo determina l’accettazione dell’immobile edificato e, nell’appalto privato, comporta la preclusione del diritto di contestare vizi e difformit?.

Formulando i quesiti chiede:
– se la violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (la pronuncia giudiziale sui gravi difetti e rovina in luogo di quella dei vizi? difformit? denunciati con l’atto di citazione) comporti che la decisione emessa sia affetta da errore in procedendo in violazione dell’art. 112 c.p.c.;

– se nell’appalto privato al pagamento del corrispettivo consegue l’effetto dell’accettazione dell’opus con effetto preclusivo del diritto di contestare l’esistenza dei vizi dell’opus e nella fattispecie l’accettazione discenderebbe inoltre dall’approvazione espressa che quanto convenuto in contratto di compravendita ? trasferito a corpo e nello stato di fatto e di diritto in cui ritrova e possiede.

2.1 Il motivo ? infondato e i quesiti non sono pertinenti rispetto alle rationes decidendi della sentenza in quanto l’uno e gli altri procedono da un presupposto di fatto motivatamente escluso dalla Corte territoriale la quale, investita delle stesse censure qui riproposte, ha ritenuto che “la domanda non resta inficiata dalla impropria indicazione della norma sulla quale essa si fonderebbe, comunque ricavandosi dall’atto di citazione l’enunciazione del diritto vantato dagli attori che ? quello di essere tenuti indenni dalle conseguenze dannose dei vizi stessi e messi in grado di porvi rimedio” … “d’altra parte l’oggetto della domanda ? comunque indicato, nell’atto introduttivo, come riferito a tutti i vizi o difetti comunque contestati con precedenti raccomandate e poi accertati dal consulente di parte geom. B.R. sicch? esso pu? estendersi a tutti i vizi che comunque siano correlati alla situazione descritta”.

Da questa motivazione si ricava che la Corte di appello ha valutato e interpretato la domanda introduttiva come diretta sin dall’origine a far valere difetti e responsabilit? riconducibili alla previsione di cui all’art. 1669 c.c. e pertanto non sussiste la denunciata violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e i quesiti non sono pertinenti rispetto alla qualificazione della domanda e, d’altra parte, la stessa qualificazione non ? stata oggetto di specifiche censure sotto il profilo della sua motivazione.

La sentenza della Corte di appello ? conforme al principio, ripetutamente affermato da questa Corte (Cass. n. 27406/2008; Cass. n. 14646/2009) secondo il quale il mutamento della domanda ? inammissibile solo quando, per effetto di esso, mutino i fatti materiali posti a fondamento della pretesa (circostanza motivatamente esclusa dalla Corte di appello con riferimento alla deduzione di difetti gi? inizialmente dedotti e che, valutati nel loro complesso, integravano l’elemento della gravita ex art. 1669 c.c.), mentre resta irrilevante il mero mutamento della loro qualificazione giuridica; l’affermazione che le ulteriori allegazioni avrebbero comportato un ampliamento, sia del tema di indagine sia di quello decisionale, introduce una quaestio facti che, come detto, non risulta specificamente censurata sotto il profilo motivazionale; al riguardo, va infatti rammentata la costante giurisprudenza di questa Corte (rispetto alla quale la ratio decidendi della sentenza impugnata ? coerente) secondo la quale configurano gravi difetti dell’edificio a norma dell’art. 1669 c.c., anche le carenze costruttive dell’opera – da intendere anche come singola unit? abitativa – che pregiudicano o menomano in modo grave il normale godimento e/o la funzionalit? della medesima, come allorch? la realizzazione ? avvenuta con materiali inidonei e/o non a regola d’arte ed anche se incidenti su elementi secondari ed accessori dell’opera (quali impermeabilizzazione, rivestimenti, infissi, pavimentazione, impianti, etc.), purch? tali da compromettere la sua funzionalit? e l’abitabilit? ed eliminabili solo con lavori di manutenzione, ancorch? ordinaria, e cio? mediante opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici o che mediante opere che integrano o mantengono in efficienza gli impianti tecnologici installati (v. tra le tante Cass. n. 8140/2004; Cass. n. 20307/2011; Cass. n. 20644/2013).

Egualmente non pertinenti sono gli ulteriori due quesiti relativi alla seconda parte del motivo a sua volta infondato perch? nuovamente muove da una premessa in fatto smentita motivatamente dalla Corte di appello che ha rilevato come gi? con la domanda iniziale erano dedotti vizi rilevanti che giustificavano l’applicazione dell’art. 1669 c.c.

Con riferimento alla censura incentrata sull’accettazione dell’opera si osserva che ? del tutto inconferente il richiamo alla disciplina dell’appalto privato (in particolare l’art. 1667 c.c.) perch? la Corte di appello non ha messo in dubbio che fosse intervenuta, tra le parti una vendita, non ha applicato, di conseguenza l’art. 1667 c.c., ma ha ritenuto applicabile l’art. 1669, in quanto norma che configura una responsabilit? extracontrattuale e che ? applicabile anche ai rapporti tra venditore e compratore quando il primo sia anche costruttore (come per giurisprudenza pacifica v. ex multis e da ultimo Cass. n. 2238/2012; Cass. n. 7634/2006; Cass. n. 9370/2013); il pagamento del prezzo, ovviamente, non esclude l’applicazione della responsabilit? per i vizi di cui all’art. 1669 c.c., a meno di una espressa e specifica rinuncia in tal senso nella specie non ravvisabile nella semplice circostanza che il bene sia stato trasferito a corpo e nello stato di fatto e di diritto in cui si trova e si possiede.

3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 1494 e 1495 c.c., dell’art. 24 Cost. e dell’art. 132 c.p.c., n. 4. La ricorrente sostiene:
– che la sentenza riconosce che la domanda verte su vizi e difformit? e quindi non pu? intendersi riferita alla norma che regola la rovina e i gravi difetti nell’appalto; ne discenderebbe la contraddittoriet? della motivazione;
– che la fattispecie doveva essere regolata dall’art. 1495 c.c. e per l’effetto doveva dichiararsi l’improcedibilit? e l’inammissibilit? della domanda in quanto i vizi, comunque facilmente riconoscibili, erano stati denunciati oltre il termine di otto giorni ex art. 1495 c.c.;
– che erroneamente era stato considerato il contratto di vendita come appalto e gli stessi attori avevano chiesto la condanna della venditrice non qualificandola costruttrice- venditrice;
Di conseguenza formula i seguenti quesiti: se la facile riconoscibilit? rende inoperante l’obbligazione di garanzia;
– se nella vendita di immobili il compratore deve, a pena di decadenza, denunciare eventuali vizi entro il termine di cui all’art. 1495 c.c., con la conseguenza che l’intempestiva denuncia rende la domanda improcedibile.
3.1 Il motivo e i quesiti sono inammissibili in quanto sono riferiti ad una normativa (la garanzia per vizi della cosa venduta e i relativi termini di decadenza) la cui applicabilit? ? stata motivatamente esclusa dalla Corte di appello.
Le censure di contraddittoriet? ed erroneit? della motivazione, pure contenute nel motivo, sono infondate in quanto la Corte di appello non ha considerato il contratto di vendita come un appalto, ma applicando principi costantemente affermati da questa Corte, ha ritenuto applicabile la disposizione dell’art. 1669 c.c., che, pur introdotta nell’ambito della disciplina dell’appalto, costituisce una disposizione applicabile anche alla responsabilit? (in questa ipotesi di tipo extracontrattuale) del venditore quando questi sia stato anche (come incontestato) il costruttore.

La circostanza che gli attori abbiano denunciato vizi e difformit? senza qualificarli come gravi difetti non assume alcuna rilevanza trattandosi di questione valutativa riservata al giudice del merito, all’esito degli accertamenti e dell’istruttoria pure richiesti con la domanda introduttiva. Ne discende anche l’infondatezza della censura di non tempestivit? della denuncia dei vizi, collegata ai diversi termini previsti per la vendita, mentre nella specie sono stati applicati i termini di cui all’art. 1669 c.c., che il giudice di primo grado, cos? come quello di appello ha ritenuto rispettati in quanto i vizi fondanti la responsabilit? ex art. 1669 c.c., si sono resi conoscibili soli in da-ta 22 dicembre 1999 con la relazione di un tecnico di
parte (v. pag. 3 e pag. 9 della sentenza di appello).

4. Con il quarto motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 163, 183 e 112 c.p.c. e sostiene: che nell’atto introduttivo gli attori avevano analiticamente
indicato i vizi e pertanto quanto denunciato a verbale di udienza di trattazione (rimozione tegole dal tetto, rimozione asfalto copertura tetto, infiltrazione acqua dal suolo della tavernetta) a dire della ricorrente sarebbe inammissibile in quanto domanda nuova. Formulando il quesito chiede se il sistema delle preclusioni previsto dall’art. 183 c.p.c., nel testo vigente ratione temporis accorda la possibilit? di precisare e modificare le domande e le eccezioni e le conclusioni gi? formulate, ma non consente di proporne altre che non siano state ritualmente formulate con l’atto introduttivo; se il giudice non tiene conto delle preclusioni la futura statuizione ? viziata da error in procedendo per violazione dell’art. 112 c.p.c.

4.1 Il motivo (nel quale non ? riportato il tenore letterale dell’atto di citazione) cos? come il quesito sono inammissibili in quanto assolutamente non pertinenti rispetto alla valutazione e interpretazione della domanda iniziale da parte della Corte di appello la quale ha ritenuto che l’oggetto della domanda poteva estendersi, per la sua ampiezza, a tutti i vizi comunque correlati alla situazione di fatto descritta n? risulta che gli attori abbiano inteso limitare la domanda a specifici vizi; la pronuncia ? conforme a principi gi? affermati da questa Corte secondo i quali non pu? considerarsi nuova la domanda virtualmente ricompresa in quella originaria in quanto fondata su fatti non diversi per consistenza ontologica, struttura e qualificazione giuridica da quelli prospettati con la domanda iniziale (Cass., 22 marzo 1996, n. 2476; Cass., 16 dicembre 2010, n. 25473).

Il motivo ? inoltre inammissibile in quanto il giudizio circa la novit? o meno della domanda formulata dalla parte nel corso del giudizio ? rimesso alla valutazione del giudice di merito e non ? censurabile in sede di legittimit? se esente da vizi logici ed errori giuridici (Cass., 12 gennaio 2006, n. 422).

5. Con il quinto motivo la ricorrente deduce la nullit? della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 163 c.p.c., n. 5, artt. 116, 244 e 253 c.p.c. La ricorrente sostiene: l’omessa o viziata motivazione sulla valutazione della prova testimoniale in quanto la prova testimoniale, a detta della ricorrente, smentirebbe le tesi degli acquirenti perch? il teste Z. avrebbe dichiarato “non ? vero” rispondendo ai capitoli nn. 1, 3 e 4 e “non mi risulta” sul capitolo 3; l’altro teste (A.) avrebbe dichiarato che i lavori erano terminati nel mese di settembre del 1999 e sugli altri capitoli: “non lo so o non sono in grado di rispondere”. Sulla base di queste affermazioni la ricorrente afferma che “? evidente che quanto sostenuto dagli attori nell’atto introduttivo ? infondato e non provato”.

La ricorrente prosegue ricordando a questa Corte che la CTU non ? un mezzo di prova e sostenendo:
– che la Corte di appello avrebbe errato nel ritenere inammissibile il ricorso all’ausilio del CTU percipiente, che sull’imperfetta esecuzione dell’intonaco non poteva essere formulata domanda al teste A. perch? il fatto non aveva formato oggetto di capitoli di prova e il difensore della convenuta aveva contestato la deposizione su capitolo non indicati e aveva denunciato l’inammissibilit? delle risposte.
La ricorrente formulando i quesiti, chiede:
– se nell’escussione dei testi ammessi ? consentito al giudice rivolgere ai testimoni domande di ufficio o su istanza di parte rivolte a chiarire i fatti, ma nei limiti dei fatti formulati e ammessi in articoli separati;
– se ne discende che quando il potere del giudice di interrogare i testi travalichi i fatti formulati in articoli separati e indicati dalle parti la deposizione raccolta dal testimone ritualmente impugnata dalla parte convenuta non pu? essere acquisita al processo per violazione degli artt. 244 e 253 c.p.c.

5.1 Il motivo ? del tutto inammissibile per assoluta genericit? in quanto fa riferimento a testimonianze rispetto alle quali non sono stati riportati in ricorso, neppure in sintesi, capitoli sui quali i testi avrebbero risposto affermando che “non ? vero” o “non mi risulta”; inoltre le testimonianze non risultano neppure utilizzate in un senso o nell’altro dalla Corte di appello che si ? limitata a fare riferimento alla consulenza tecnica di ufficio relativa ai vizi complessivamente denunciati dagli attori e a quelli accertati dal consulente percipiente correlati alla situazione di fatto denunciata dagli attori; ne discende che il motivo ? altres? inammissibile per difetto di rilevanza e di interesse per la ricorrente, posto che la pronuncia del giudice distrettuale non si fonda sul dictum testimoniale, ma sulle rilevazioni del CTU e su argomenti logico-inferenziali.

L’unico teste al quale fa riferimento la Corte di appello ? il teste A., ma solo per affermare che il quadro dei fenomeni denunciati era gi? assistito da un principio di prova costituito dalla relazione del consulente tecnico di parte e anche dalla testimonianza A. con riferimento a materiale fotografico sull’imperfetta esecuzione dell’intonaco; la testimonianza A., sotto questo profilo, assume valenza assolutamente marginale e inoltre la ricorrente non riporta il contenuto dei capitoli in prova e controprova sui quali era chiamato a deporre il predetto teste e non riporta il contenuto delle sue dichiarazioni; pertanto la censura sulla testimonianza, gi? di per s? non decisiva, risulta inoltre assolutamente non valutabile per assoluta genericit? e quindi, anche sotto questo
profilo, inammissibile.

6. Con il sesto motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4 e la contraddittoriet? della motivazione. La ricorrente sostiene:
– che il giudice di primo grado conferendo l’incarico al CTU aveva mutato la domanda introduttiva estendendo l’indagine a fatti ed elementi non richiesti;
– che la Corte di appello ? giunta ad una conclusione errata ritenendo che fosse stato conferito al CTU l’accertamento di tutti i vizi e difformit? dell’immobile, mentre nel quesito era scritto “accerti l’esistenza di eventuali vizi e difformit? dell’immobile” e pertanto l’accertamento doveva limitarsi a quanto analiticamente dedotto nell’atto di citazione e a quanto descritto nella CTP;
– che operando diversamente il giudice aveva interferito con il potere dispositivo delle parti e la consulenza ? nulla per violazione del principio del contraddittorio, la sentenza ? nulla per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.

A queste affermazioni fa seguito una elencazione di vizi che non sarebbero stati denunciati con l’atto introduttivo; la sentenza di appello inoltre, a detta della ricorrente, sarebbe nulla per avere omesso di motivare sul fatto che il giudice di primo grado si era contraddetto nel motivare la sentenza perch?, mentre aveva conferito al CTU di accertare se fossero esistenti vizi e difformit? come dedotto dagli attori, ha statuito su vizi e difformit? non dedotti.

La ricorrente, formulando il quesito, chiede se in presenza di analitica e dettagliata descrizione senza riserva alcuna, della domanda (quella specifica dei vizi e difformit?) delle parti, viola il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato il giudice che attribuisce alla parte un bene non richiesto o comunque che emetta una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alterando alcuno degli elementi obiettivi dell’azione e attribuendo ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto non compreso nella domanda oppure ponga a fondamento della domanda fatti estranei alla materia del contendere e non allegati con l’atto introduttivo.

6.1 Il motivo, come il quesito sono inammissibili in quanto meramente astratti e non pertinenti alla ratio decidendi secondo la quale tutti i vizi costruttivi rientravano anche implicitamente nell’oggetto della domanda. In altri termini, la ricorrente propone una diversa interpretazione dell’atto introduttivo di primo grado in contrasto con quella operata dal Tribunale e motivatamente condivisa dalla Corte distrettuale, secondo la quale la pretesa risarcitoria si correlava ad una complessiva condizione di carenza costruttiva dell’edificio incidente sulla sua fruibilit?.

Di conseguenza non risulta neppure viziata la motivazione della Corte di appello secondo la quale “la Consulente tecnica di ufficio riconduce, in pieno ossequio la mandato ricevuto ai vizi di costruzione tutti i vizi poi analiticamente riscontrati…” (pag. 8 della sentenza) tenuto conto che non vi ? stato ampliamento del fattocostitutivo rappresentato dalla complessiva carenza costruttiva che, appunto, doveva essere accertata.

7. Con il settimo motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 116, 244, 253, 19, 261, 112 e 163 c.p.c. La ricorrente sostiene, in ordine alla data di ultimazione dei lavori:
– che le postille al preliminare sono inserite in una scrittura datata 6 settembre 199 e non agli atti di causa, ma irritualmente acquisito dal CTU durante le operazioni peritali (va subito osservato che la censura ? inammissibile in quanto riguarda una pretesa violazione intervenuta nel giudizio di primo grado che pertanto doveva essere dedotta come specifico motivo di appello);
– che la scrittura ? superata dal rogito notarile del 6 settembre 1999 con il quale ? stata trasferita agli acquirenti al propriet? il possesso dell’immobile;
– che doveva essere ritenuta attendibile la deposizione del teste A. secondo il quale nel settembre 1999 l’immobile era gi? costruito, mentre ? destituito di fondamento quanto affermato dal CTU circa l’ultimazione dell’opus;
– che pertanto i lavori erano ultimati nel settembre del 1999 e non nell’ottobre 1999 come affermato dal CTU e la motivazione della sentenza ? viziata per omessa o insufficiente motivazione. Conclude questa prima parte del motivo affermando che la sentenza va censurata per vizio di motivazione e per violazione dell’art. 116 c.p.c.

7.1 Questa prima parte del motivo di ricorso ? inammissibile per irrilevanza e, quindi, per carenza di interesse: ricondotta la fattispecie a quella prevista dall’art. 1669 c.c., secondo la quale la denunzia deve essere presentata entro un anno dalla scoperta e il diritto si prescrive in un anno dalla denunzia, anche ipotizzando che la costruzione fosse ultimata nel settembre 1999, tenuto conto che l’acquisto risale al 6 settembre 1999 e che nel dicembre 1999 era stato affidato incarico ad un consulente per periziare vizi e difformit? e che, infine, i vizi erano “risultati conoscibili soltanto in data 22 dicembre 1999 con la relazione di un tecnico di parte” (v. pag. 3 e s. della sentenza di appello), al momento della proposizione della domanda, introdotta con citazione del 16 marzo 2000 non era comunque decorso.

7 bis. La ricorrente prosegue, con riferimento al merito della CTU, sostenendo:
– che la Corte territoriale ha errato nel sostenere non viziata la relazione del CTU nel riepilogo dei fatti di causa e, sul presupposto che il potere dispositivo dei fatti compete alle parti, afferma che la relazione sarebbe inficiata dalla violazione dell’art. 112 c.p.c.;
– che la sentenza impugnata ? contraddittoria perch? mentre afferma essere utile la valutazione dei fatti, afferma nello stesso tempo che la valutazione dei fatti non vincola il giudicante.

La ricorrente, formulando il quesito, chiede affermarsi che l’indagine peritale non pu? estendersi a fatti non allegati dalle parti nei modi e nei termini di legge e quindi se il consulente amplia i fatti di causa e conseguentemente la relazione viene ritualmente impugnata, gli stessi non possono essere acquisiti al processo e la consulenza ? priva di qualsiasi valore indiziario per violazione del contraddittorio.

7 bis.1) Il motivo ? inammissibile con riferimento alla censura della Consulenza in quanto l’oggetto del ricorso per cassazione non ? la consulenza tecnica, ma l’uso che ne faccia il giudice anche per le conclusioni che in ipotesi non siano condivisibili o siano errate o immotivate, ma sotto questo profilo correttamente la Corte di appello ha rilevato che la valutazione dei fatti non vincola il giudice; circa l’indebito ampliamento a fatti non allegati dalle parti, valgono le considerazioni che seguono in merito alle censure formulate al punto 7.2 del ricorso.

7 bis.2) Con le censure di cui al punto 7.2 del ricorso la ricorrente sostiene: che la sentenza di appello ha errato nel non affermare la nullit? della consulenza di ufficio per avere ecceduto l’ambito del quesito conferito che non riguardava tutti i vizi e le difformit?, ma solo le contestazioni che gli acquirenti avevano analiticamente indicato in citazione. Anche questa censura ? manifestamente infondata in quanto non risulta dal conferimento dell’incarico, relativo, secondo quanto si apprende dalla sentenza di appello, a eventuali vizi o difformit? dell’immobile, la preclusione rispetto all’accertamento dei vizi ritenuti rilevanti dai giudici del merito e legittimamente accertabili, a prescindere dal fatto che fossero specificamente indicati, per il fatto di essere correlati alla situazione di fatto descritta nella citazione.

7 bis.3 Con le censure di cui al punto 7.3 del ricorso la ricorrente sostiene che i fatti allegati dagli attori erano smentiti dalla prova per testi e che quindi non poteva darsi ingresso alla CTU, perch? nella specie avrebbe avuto carattere meramente esplorativo, mentre il consulente non pu? sopperire alle deficienze delle parti con riferimento alla prova della quale le parti sono onerate e nella specie la prove non c’era in quanto i testi avrebbero smentito le tesi degli attori e formulando il quesito chiede se ? onere di chi afferma un determinato fatto provare i fatti che ne costituiscono il fondamento e in mancanza di prova il CTU non pu? sopperire alla deficienze di allegazioni.

7 bis.3.1 La censura ? inammissibile per la sua assoluta genericit?, cos? come il corrispondente quesito. La deduzione attorea, secondo la corretta interpretazione della Corte di appello, riguardava i gravi vizi della costruzione e il principio di prova era costituito dalla consulenza di parte, oltre che (quanto all’intonaco) dalla documentazione fotografica, confermata testimonialmente; ne discende che il motivo oltre ad essere inammissibilmente generico, non essendo indicato attraverso quali dichiarazioni i testi avrebbero smentito la tesi degli attori, ? inammissibile anche perch? muove da un presupposto di fatto (l’assenza di allegazione e prova) motivatamente smentito dalla Corte di appello.

7 bis.4. Le censure di cui al punto 7.4 nuovamente si incentrano sul fatto che il CTU, senza averne ricevuto mandato, avrebbe ampliato l’indagine introducendo diversi fatti costitutivi, mai denunciati dagli acquirenti; la ricorrente elenca fatti che a suo dire non sarebbero stati dedotti e che invece sono stati considerati dal CTU e dalle sentenze di merito e, infine, formula un quesito analogo ai precedenti chiedendo se il potere di accertamento del CTU si estenda a fatti non allegati dalle parti e non richiesti con il conferimento dell’incarico.

7 bis.4.1 Per le stesse ragioni gi? espresse in precedenza il quesito ? inammissibile perch? non attinge la motivata ratio decidendi della sentenza impugnata (v. pag. 8 della sentenza dove si afferma che per l’ampiezza della domanda l’accertamento deve essere esteso a “tutti i vizi comunque siano correlati alla situazione di fatto descritta”) secondo la quale con la citazione era stata dedotta, in sostanza, una complessiva situazione di fatto di carenza costruttiva della costruzione con richiesta di accertamento di tutti i vizi correlati alla situazione descritta in citazione.

7 bis. 5 Con la censura di cui al punto 7.5 del ricorso la ricorrente contesta sia sotto il profilo del vizio di motivazione, sia per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, la decisione con la quale la Corte di appello ha ritenuto che non fosse indicato come la circostanza del cambio d’uso al piano sottotetto e del piano seminterrato o della chiusura del sottoscale della gabbia scala esterna potrebbero elidere la rilevanza di ciascuno dei vizi o difetti o difformit? accertati.

La ricorrente con il motivo tenta ora di spiegare che le opere avrebbero impedito una corretta ventilazione provocando fenomeni di umidit? e aggiunge che le censure degli acquirenti sarebbero anche la conseguenza della modificazione, asseritamente arbitraria e in violazione della normativa vigente, della destinazione d’uso del locale garage trasformato in tavernetta.

7 bis.5.1 Questa censura ? inammissibile perch? la ricorrente non indica come e in quali termini avrebbe sottoposto all’attenzione della Corte di appello argomenti specifici dai quali desumere che le opere eseguite dagli attori e la diversa destinazione di uso del garage sarebbero stati la causa dei vizi e delle difformit? per le quali ? stato disposto il risarcimento e, anzi, dalla motivazione della sentenza di appello risulta che era assolutamente generica e meramente apodittica (come del resto sono anche le affermazioni di cui al presente motivo) l’affermazione secondo la quale le inadeguatezze riscontrate sarebbero ascrivibili al fatto volontario dei danneggiati, visto che comunque l’immobile in nessun caso avrebbe dovuto presentare i difetti o i vizi o le difformit? riscontrati.

Nella seconda parte della censura di cui al punto 7-5 del ricorso la ricorrente muove critiche in merito al riconoscimento e liquidazione delle anomalie riscontrate nel bauletto del muretto di recinzione e deduce la violazione degli artt. 191 e 193 c.p.c., la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e il vizio di motivazione. La ricorrente sostiene:
– che non poteva essere chiesto il risarcimento perch? gli acquirenti avevano gi? riscontrato difetti in corso di costruzione, avevano poi accettato l’opera nello stato di fatto e di diritto;
– che il CTU aveva accertato i difetti de visu, mentre secondo l’incarico doveva basarsi sulla documentazione fotografica;
– che il CTU non aveva adempiuto all’incarico di una dettagliata e analitica descrizione dei difetti;
– che dalle foto non si evincono numerosi fori e una superficie non correttamente livellata, come invece relazionato dal CTU;
– che la corretta esecuzione dell’opera riguarda l’appiombatura, la linearit?, la mancanza di discontinuit? e non pu? essere riscontrata nel non corretto livello;
– che la vendita era al grezzo;- che l’opera era accettata;
– che come accertato dal CTU non era presente materiale di risulta nel muro;
– che non era necessaria la demolizione totale o parziale del bauletto ma un semplice ripristino con malta cementizia per l’otturazione del forellino;
– che non risulta quale saggio o accertamento avesse compiuto il CTU;
– che non risultavano effettuate le misurazioni delle anomalie;
– che non era corretta la determinazione dei prezzi.

Il motivo, in questa parte, ? infondato quanto alla pretesa preclusione della domanda risarcitoria in conseguenza della dichiarazione degli attori di avere gi? riscontrato difetti in corso di costruzione e di accettare l’opera (nel suo complesso) perch? dalla sentenza di primo grado, confermata dalla sentenza di appello, risulta che i vizi della costruzione nel suo complesso, tali da integrare la responsabilit? ex art. 1669 c.c., erano risultati conoscibili solo in data 22 dicembre 1999 con la relazione di un tecnico di parte erano risultati conoscibili (v. pag. e s. della sentenza di appello, nella parte dedicata allo svolgimento del processo e pag. 9 nella parte dedicata alla motivazione); non ? dunque rilevante che qualche singolo vizio dell’opera si fosse reso conoscibile anteriormente o che l’opera fosse stata accettata nello stato di fatto e di diritto, rilevando invece la consapevolezza, acquisita nel termini per l’esercizio dell’azione ex art. 1669 c.c. (v. pag. 9 della sentenza di appello) dei gravi difetti della costruzione nel suo complesso e tali da incidere in misura significativa sulla fruibilit? della stessa.

Le ulteriori censure sono inammissibili perch?:
– fanno riferimento alla CTU e ad attivit? del consulente senza riportare le parti della CTU censurate;
– introducono questioni di puro merito senza indicare come e in quali termini le stesse fossero state rappresentate tempestivamente alla Corte di appello, onde poterne valutare la rilevanza sotto il profilo del vizio motivazionale;
– non attingono la condivisibile ratio decidendi della sentenza impugnata secondo la quale il consulente non aveva l’obbligo “di dare atto delle specifiche misurazione o rilievi tecnici di cui si era avvalso, potendo bene essere intese come tali le fotografie o la diretta percezione” (pag. 12 della sentenza); in particolare, dalla circostanza che al CTU fosse stato affidato l’incarico di una
dettagliata e analitica descrizione dei difetti costruttivi, non pu? farsi discendere anche l’obbligo di dare atto di specifiche misurazioni o rilievi, quando i difetti possano essere riscontrati con percezione anche attraverso la diretta percezione o il materiale fotografico, cos? come correttamente rilevato dalla Corte di Appello;
– l’affermazione, secondo la quale “dalle foto scattate e allegate alla relazione non si evince quanto relazionato dal CTU” (pag. 47 del ricorso) ? del tutto apodittica.

8. Con l’ottavo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 112, art. 132, n. 4, con riferimento a quella parte della sentenza impugnata nella quale ? stato ritenuto privo di oggetto il motivo di appello con il quale gli appellanti lamentavano che il giudice di primo grado aveva riconosciuto gli interessi, oltre tutto in misura non determinata, sebbene non richiesti dagli attori. La Corte di appello aveva rilevato che nel dispositivo di condanna era del tutto assente una condanna al pagamento degli interessi, ma la ricorrente sostiene che nella motivazione della sentenza il primo giudice aveva affermato che sulla somma liquidata dovevano essere riconosciuti gli interessi a far data dalla domanda giudiziale e fino all’effettivo soddisfo; pertanto il motivo di appello era diretto non gi? avverso i capi di condanna, ma contro la statuizione risultante dalla motivazione.

La ricorrente formulando il quesito di diritto afferma che qualora si verifichi un contrasto tra la motivazione e il dispositivo non ? consentito individuare la statuizione del giudice attraverso una valutazione di prevalenza delle contrastanti affermazioni contenute nella sentenza per cui si configura la nullit? di tale provvedimento per la sua inidoneit? a consentire l’individuazione del concreto comando.

8.1 Il motivo di ricorso ? inammissibile per carenza di interesse. Il motivo di appello (che la Corte di appello ha ritenuto infondato con la motivazione per la quale nel dispositivo non era contenuta pronuncia di condanna al pagamento degli interessi) riguardava la statuizione sulla debenza degli interessi, contenuta nella motivazione della sentenza di primo grado in asserita assenza di domanda. Tuttavia la tesi secondo la quale avrebbe dovuto necessariamente
essere formulata un domanda per la liquidazione degli interessi, si pone in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte (che qui si condivide) secondo la quale la rivalutazione monetaria e gli interessi costituiscono una componente dell’obbligazione di risarcimento del danno e possono essere riconosciuti dal giudice anche d’ ufficio ed in grado di appello, pur se non specificamente richiesti, atteso che essi devono ritenersi compresi nell’originario “petitum” della domanda risarcitoria, ove non ne siano stati espressamente esclusi (cfr. ex multis Cass., 30 settembre 2009, n. 20943; Cass., 17 gennaio 2007, n. 975; Cass., 16 settembre 2004, n. 18651; Cass., 17 settembre 2001, n. 13666).

Ne discende che non sussiste interesse a fare valere l’omessa pronuncia o comunque la pronuncia non conforme alla richiesta sulla questione sollevata con il motivo di appello, n? il ricorso per cassazione pu? essere utilizzato per conseguire una correzione del percorso motivazionale della pronuncia del giudice distrettuale senza alcuna conseguenza sulla statuizione finale. (Omissis).

IL COMMENTO
di Francesco Toschi Vespasiani

L?inserimento, nel contratto di vendita di un bene, della clausola ?nello stato di fatto e di diritto? non ? normalmente idoneo a consentire di presumere la volont? dei contraenti di escludere la garanzia di legge per vizi occulti.

?Il caso. Considerazioni generali: la rinunciabilit? della garanzia per gravi difetti

La sentenza in commento solleva ed affronta una serie di questioni classiche in tema di vendita immobiliare, incentrandosi sull?applicabilit? alla vendita delle norme, dettate per l?appalto, sulla garanzia per gravi difetti, di cui all?art. 1669 c.c. Il provvedimento annotato si collega idealmente a quello poco tempo fa commentato su questa stessa Rivista (1), nel quale ho affrontato diffusamente l?argomento, ed interessa, qui, unicamente per l?aver affrontato, sia pure en passant, un tema di non frequente trattazione, ma di una certa rilevanza pratica, ossia la rinunciabilit? alla garanzia per vizi/ gravi difetti e la valenza di alcune clausole tipiche della vendita, qual ? l?inserimento della precisazione che l?immobile viene alienato nello ?stato di fatto e di diritto in cui si trova?.

Andando per ordine, l?annotata sentenza si fonda sulla conferma di un principio ormai granitico, sull?estensibilit? alla vendita della norma di cui all?art. 1669 c.c., dovuta certamente al regime assai preclusivo e penalizzante, per il compratore, dettato dall?art. 1495 c.c. L?art. 1669 c.c. regola, infatti, una fattispecie di
responsabilit? aggravata dell?appaltatore, stabilendo, in relazione agli immobili o comunque alle cose destinate per la loro natura a lunga durata, che, se, nel corso di dieci anni dal compimento, l’opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, questa rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l’appaltatore ? responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, purch? sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta. Il diritto del committente si prescrive in un anno dalla denunzia. Il regime pi? permissivo, se non altro sul piano della durata temporale, di questa garanzia, mitiga l?eccessivamente ristretta disciplina dell?art. 1667 c.c., il quale, riguardo ai vizi lievi, prevede che il committente deve, a pena di decadenza, denunziare all’appaltatore le difformit? o i vizi entro sessanta giorni dalla scoperta e l?azione ha una prescrizione biennale con decorso dalla consegna delle opere.

L?art. 1669 c.c. ? ritenuto norma avente finalit? di ordine pubblico, in quanto mira a prevenire e reprimere condotte dell?appaltatore che possano determinare (o di chi abbia concorso al verificarsi del vizio, nello specifico il progettista od il direttore dei lavori), in riferimento alle costruzioni, situazioni di pericolo a danno della collettivit? o comunque di un numero indeterminato di persone. Donde la tendenza ad interpretare in modo assai
estensivo la norma in questione, come appunto vedremo in queste note. Sul piano soggettivo, innanzi tutto, appare indubbio che, sebbene la norma in questione riguardi soltanto l?appalto, l’azione di responsabilit? dell’appaltatore, in caso di evidente pericolo di rovina o gravi difetti dell’opera, possa essere esercitata anche dall’acquirente contro il venditore che abbia costruito l’immobile sotto la propria direzione e controllo, qualora lo stesso venditore abbia assunto, nei confronti dei terzi e degli stessi acquirenti, una posizione di diretta responsabilit? nella costruzione dell’opera. Insomma, un?estensione pacifica
di questa disposizione alla figura del venditore-costruttore (2), con ampio favor, quindi, verso l?acquirente che, altrimenti, potrebbe contare soltanto sulle pi? restrittive diposizioni in tema di garanzia per vizi nella vendita: in particolare, essa ? applicabile non solo nei casi in cui il venditore abbia personalmente,
cio? con propria gestione di uomini e mezzi, provveduto alla costruzione, ma anche nelle ipotesi in cui, pur avendo utilizzato l’opera di soggetti professionalmente qualificati, come l’appaltatore, il progettista, il direttore dei lavori, abbia mantenuto il potere di impartire direttive o di sorveglianza sullo svolgimento dell’altrui attivit?, sicch? anche in tali casi la costruzione dell’opera ? a lui riferibile.

Pertanto, il venditore pu? essere chiamato a rispondere dei gravi difetti dell’opera non soltantoquando i lavori siano eseguiti in economia, ma anche nell’ipotesi in cui la realizzazione dell’opera ? affidata a un terzo al quale non sia stata lasciata completa autonomia tecnica e decisionale; ne consegue che il giudice di merito, nel verificare la responsabilit? del venditore ex art. 1669 c.c., non pu? limitarsi ad accertare se l’opera sia stata direttamente compiuta dal medesimo, essendo necessario stabilire – anche quando nell’esecuzione siano intervenuti altri soggetti – se la costruzione sia ugualmente a lui riferibile, per avere egli mantenuto il potere di direttiva o di controllo sull’operato dei predetti (3).

In quest?ottica, nel caso di specie, il venditorecostruttore era stato citato in giudizio dagli acquirenti di un immobile, che, dopo aver effettuato una perizia di parte, avevano riscontrato la presenza di vizi e difformit? ed avevano chiesto la condanna del venditore-costruttore al pagamento, a titolo di risarcimento danni, della somma necessaria per la loro eliminazione. Il Tribunale di Salerno aveva accolto la domanda, ex art. 1669 c.c., ed anche l?appello del costruttore
era stato rigettato dalla Corte di appello di Salerno, la quale aveva ritenuto che i fatti posti a fondamento della domanda fossero stati allegati dagli attori e legittimamente il giudice di primo grado li aveva qualificati e aveva applicato la normativa pertinente (art. 1669 c.c.) in luogo di quella impropriamente invocata dagli acquirenti (art. 1495 c.c.).

In particolare, la controversia ? stata decisa sulla base della rinunciabilit? alla garanzia per gravi difetti di cui all?art. 1669 c.c. Infatti, proprio la societ? venditrice aveva eccepito, tra le altre difese, il fatto che la vendita fosse avvenuta ?nello stato di fatto e di diritto in cui l?immobile si trova?, ci? comportando, in fatto, un?implicita rinuncia alle garanzie tutte di legge ed un?accettazione dell?immobile nello stato in cui esso si trova e quindi anche con tutti i suoi eventuali difetti.

Il punto di partenza, quindi dell?analisi, non pu? essere che la verifica della rinunciabilit? alle garanzie in discorso, da parte dell?acquirente/committente, verifica che in linea generale non pu? che trovare una risposta positiva. Non v?? dubbio, infatti che le garanzie proprie della vendita e dell?appalto possano essere astrattamente oggetto di rinuncia da parte del contraente a favore del quale le stesse sono previste, come si arguisce dal dettato dell?art. 1490 ultimo comma c.c. secondo il quale, in tema di garanzia per vizi, il patto con cui si esclude o si limita la garanzia non ha effetto, se il venditore ha in mala fede taciuto al compratore i vizi della cosa; peraltro tale patto ? soggetto ad approvazione specifica ex art. 1341 c.c. (4); per la vendita immobiliare, operata da una societ? immobiliare rientrante nella nozione di ?professionista?, la clausola di esclusione della garanzia per vizi occulti ? affetta da inefficacia rilevabile d’ufficio, ai sensi degli artt. 1469-bis e 1469- quinquies c.c. (applicabili “ratione temporis”), risultandone limitate le azioni del consumatore verso il professionista inadempiente (5).

Nella sostanza, qui, una volta appurata la rinunciabilit? con patto espresso alle garanzie previste dalla legge, resta da valutare la portata di alcune clausole, inserite quasi de plano ed in automatico in tutti gli atti notarili di vendita, con le quali il compratore dichiara di acquistare l?immobile nello stato di fatto in cui si trova, e spesso anche ?come visto e piaciuto?, stabilendosi se esse abbiano realmente un contenuto negoziale effettivo e quindi delle conseguenze giuridiche rilevanti, oppure costituiscano delle mere clausole di stile, come parrebbe ritenere implicitamente la sentenza in commento.

Le clausole di stile

L?espressione ?clausole di stile? ? un?etichetta convenzionale che raggruppa una serie potenzialmente infinita di pattuizioni dal contenuto generico, che le parti inseriscono in un contratto (ma se ne parla anche con riferimento ad esempio agli atti giudiziari (6)) non per farvi derivare una concreta volont? negoziale, ma in ossequio ad una prassi meramente linguistica (per esempio, quella con cui si dica che l?inadempimento di una qualsiasi obbligazione contrattuale porter? alla risoluzione del contratto stesso) (7).

Si tratta di un figura priva di fondamento normativo e come tale dai confini abbastanza discussi, naturalmente riferita ai contratti scritti, le cui origini sono attribuite solitamente, per lo pi?, all?intervento di un soggetto terzo, estraneo alle parti, che coincide spesso con il notaio (8), o con altro professionista, o con gli autori di moduli o formulari di vario genere (9). Pi? precisamente, secondo la giurisprudenza, proprio in tema di contratti, il giudice di merito, anche a fronte di una clausola estremamente generica ed indeterminata, deve comunque partire dalla presunzione che sia stata oggetto della volont? negoziale, sicch? deve interpretarla in relazione al contesto (art. 1363 c.c.) per consentire alla stessa di avere qualche effetto (art. 1367 c.c.) e, solo se la vaghezza e la genericit? siano tali da rendere impossibile attribuire ad essa un qualsivoglia rilievo nell’ambito dell’indagine (art. 1325 c.c.) volta ad accertare la sussistenza ed il contenuto dei requisiti del contratto, ovvero siano tali da far ritenere che la pattuizione in esame non sia mai concretamente entrata nella sfera della effettiva consapevolezza e volont? dei contraenti, pu? negare ad essa efficacia qualificandola come di clausola di stile (10).

La qualificazione della clausola come di stile, o meno, non ? quindi frutto di un automatismo qualificatorio, ma sembrerebbe, almeno stando a questo orientamento, dover necessariamente conseguire da un?indagine ermeneutica rimessa al giudice. Ci?, con tutte le incertezze applicative che derivano dall?estrema opinabilit? dell?interpretazione contrattuale condotta da un soggetto diverso dalle parti, per il quale ? estremamente difficile ricostruire in modo oggettivo la loro effettiva volont?.

Si ? ritenuto, quindi, specificando tale principio di fondo, che le clausole di stile sono costituite soltanto da quelle espressioni generiche, frequentemente contenute nei contratti o negli atti notarili, che per la loro eccessiva ampiezza e indeterminatezza rivelano la funzione di semplice completamento formale, mentre non possono essere considerate tali le clausole che abbiano un contenuto volitivo ben determinato e concreto, riferibile al negozio posto in essere dalle parti (11).

La dottrina ha, nel tempo, rilevato che in realt? le pronunce dichiarative dell?inefficacia delle clausole di stile si fondano, pi? che su di un effettivo accertamento della volont? dei contraenti, sul tenore consuetudinario delle stesse, con la conseguente incapacit? di esprimere la volont? negoziale (12). Vale a dire, la ricorrenza frequente di certi patti ed il loro ripetersi conducono quasi in modo automatico alla loro valutazione come clausole di stile.

Non per caso, infatti, il dubbio, avanzato in dottrina, riguarda proprio l?automatismo interpretativo che potrebbe discendere dalla constatazione della mera ripetitivit? di certe pattuizioni, spinta fino alla conclusione, tutta invece da verificare, che esse proprio perch? ripetitive non sarebbero volute dalle parti. Condivisibilmente, non ? invece affatto scontato che le parti possano ben aver inserito consapevolmente una o pi? clausole, ad esempio proprio al fine di escludere o limitare una garanzia, anche utilizzando formule ripetitive ricorrenti nei formulari. La ripetitivit?, peraltro, ben potrebbe, per contro, essere valorizzata in senso ?nobilitante?, alla luce dell?art. 1340 c.c., che dispone l?inserimento automatico delle clausole d?uso nel contratto, salva contraria volont? delle parti.

Da questi rilievi scaturisce l?orientamento che rigetta ogni formalistica ed aprioristica esclusione di efficacia alle c.d. clausole di stile, per prediligere un atteggiamento sostanzialistico: l?interprete deve comunque verificare in modo attento la comune intenzione delle parti anche alla luce delle c.d. clausole di stile o delle clausole che facciano mero rinvio a norme di legge (13). Con la finale conseguenza che l?eventuale declaratoria d?inefficacia di una clausola non pu? conseguire alla sua mera esteriorit? di formulazione, essendo clausola di stile solo quella che non trovi alcun riscontro effettivo nelle determinazioni concrete delle parti in relazione a quel singolo negozio (14); dovendo l?interprete valutare tutte le circostanze di contenuto testuale del contratto, o di atti collegati, o gli elementi concreti anche comportamentali della singola vicenda.

Non a caso, recentissima giurisprudenza ha rimarcato l?importanza dell?indagine giudiziale sull?effettiva volont? dei contraenti, ritenendo determinante l?effettiva entrata o meno della clausola, anche se vaga o generica, nella ?consapevolezza? delle parti, essendo, d?altra parte l?eccessiva vaghezza o genericit? tali da lasciar presumere l?irrilevanza del patto ai fini dell?interpretazione della volont? dei contraenti (15).

Le clausole ?nello stato di fatto e di diritto in cui si trova?, ?come visto e piaciuto? e le altre pattuizioni consimili

Le considerazioni svolte nel precedente paragrafo consentono di svolgere alcune riflessioni sulla massima della sentenza in commento e sulle altre clausole che compaiono, ripetitivamente, negli atti. L?annotato provvedimento, ? evidente, liquida molto sbrigativamente la questione che ci interessa assieme a molte altre sollevate dalla parte ricorrente, tradendo la propensione a riconoscere (una peraltro giusta) tutela all?acquirente, senza compiere nemmeno un minimo tentativo di quell?approfondimento ermeneutico di cui si parlava nel precedente paragrafo. La scelta, ? chiaro, ben si colloca, alla fine, nell?alveo di quell?ormai invalso (e ben consolidato) trend di cui parlavo in una recente e gi? citata nota a sentenza (16), che vede prevalere una propensione spiccata al favor verso il committente/compratore, mediante scelte interpretative estensive della portata delle norme che regolano le garanzie cui sono tenuti rispettivamente l?appaltatore
ed il venditore.

A parte ci?, pur nella sua pochezza argomentativa, la sentenza in commento si pone nell?alveo di un orientamento risalente e consolidato per il quale la previsione per cui la vendita avviene nello stato di fatto e di diritto in cui il bene si trova non muta in alcun modo il regime legale delle garanzie, n? tantomeno esclude la responsabilit? del venditore soprattutto per i vizi non apparenti, con la propensione ad annoverare quella in esame tra le clausole di stile (17).

La constatazione che si tratti di orientamento consolidato lascia aperto lo spazio per una riflessione critica: non si deve, lo si ribadisce, correre il rischio di automatismi interpretativi, in quanto la presente clausola potrebbe anche non essere necessariamente di stile, se valutata adeguatamente alla luce del contesto globale del contratto e dei rapporti tra le parti. Ad esempio, essa potrebbe anche essere valutata in modo diverso da quello, ora esaminato e maggioritario, se il compratore fosse un soggetto dotato di conoscenza tecnica specifica (geometra, architetto od ingegnere), dal quale ci si aspetta una valutazione dello stato di fatto dell?immobile pi? attenta rispetto a quella di un soggetto ?laico?, ossia privo di competenza. Cos? come, analogamente, non si pu? non dare adeguato rilievo all?eventuale circostanza che il compratore si sia fatto assistere da un tecnico di sua fiducia nella compravendita, elemento significativo circa la presumibilit? di una pi? approfondita ed effettiva conoscenza dello stato di fatto. Considerazioni, queste, che si riallacciano all?esigenza, di cui si parlava sopra, di giudicare la natura della clausola (se di stile o meno), in base ad un?attenta indagine interpretativa, caso per caso, alla luce delle singole caratteristiche dell?operazione contrattuale, della posizione delle parti, e di tutto quant?altro sia rilevante, senza ricadere in automatismi interpretativi basati soltanto sulla mera ricorrenza frequente della clausola stessa nei contratti di riferimento.

Quanto alla clausola ?come visto e piaciuto?, anch?essa molto ricorrente, parte della giurisprudenza ha ritenuto che la garanzia per i vizi sia esclusa dalla presenza di tale patto, giustamente, qualora si tratti di vizi riconoscibili e non taciuti in mala fede. La suddetta clausola non pu? invece essere interpretata
come rinuncia a far valere qualsiasi azione sulla qualit? e sui vizi della cosa venduta (18). ? bene per? avvisare che altra, pi? recente, giurisprudenza di merito ritiene che detta clausola sarebbe invece da interpretare come l?impegno ad accettare il bene compravenduto senza alcuna riserva e, pertanto, rinunciando in toto alla garanzia per i vizi; se cos? non fosse, la clausola verrebbe a perdere ogni incidenza nella disciplina contrattuale in quanto, per i vizi facilmente riconoscibili, l’esclusione della garanzia gi? ? disposta dall’art. 1491 c.c. (19).

Quanto, poi, all?attestazione di una parte di non aver pi? nulla a pretendere a qualsiasi titolo dall?altra, non pu? considerarsi una mera clausola di stile, atteso che devono considerarsi tali solo quelle espressioni generiche frequentemente contenute nei contratti o negli atti notarili, che per la loro eccessiva ampiezza e indeterminazione rivelano la funzione di semplice completamento formale mentre non pu? considerarsi tale la clausola che abbia un concreto contenuto volitivo ben determinato, riferibile al negozio posto in essere dalle parti (nella specie, ? stato ritenuto che la clausola non poteva essere intesa quale mera clausola di stile, alla luce della considerazione che la detta rinuncia era precisa e circostanziata e comprendente qualunque titolo o spesa passati o futuri relativi al rapporto locatizio oggetto della transazione) (20).

Altre, comunissime pattuizioni, come quelle per cui: a) ?la vendita viene fatta con ogni accessorio e pertinenza, con ogni diritto inerente ed ogni garanzia
per evizione e per vizi e senza riserva alcuna?; b) ?il possesso legale ed il godimento materiale del bene decorrono a favore dell?acquirente dalla data odierna o di stipula dell?atto?; c) ?il compratore si accolla tutte le imposte e spese di qualunque genere? (21), sono in realt? meramente riproduttive di norme di legge e comunque quindi di stile (22).

La clausola per cui ?il venditore garantisce la libert? del bene da ipoteche, pesi e trascrizioni pregiudizievoli? ? stata ritenuta da parte di molte pronunce come una sorta di aggravamento pattizio della posizione del venditore, il quale ? tenuto a prestare garanzia per ogni sorta di peso, vincolo, gravame, anche apparente, esonerando l?acquirente da ogni onere di diligenza anche nell?accertamento di oneri o diritti apparenti (23).

La pattuizione che impegna il promittente venditore a liberare l?immobile promesso in vendita, entro un termine prefissato, dalle iscrizioni ipotecarie sussistenti al momento del contratto e note al compratore, non pu? considerarsi clausola di stile, in quanto comporta sostituzione della regolamentazione
convenzionale alla disciplina dell?art. 1482 c.c. e asseconda, pertanto, un interesse concreto del compratore (24).

La clausola di esonero del notaio dall?effettuare le visure ipotecarie. Va ricordato che gi? dagli anni cinquanta, ed ancora di pi? dagli anni settanta del secolo scorso, si ritiene che la responsabilit? del notaio sussiste anche nel caso in cui l?incarico a svolgere le visure non risulti conferito in maniera esplicita (25). Ci? posto, resta fermo che il professionista pu? essere esonerato se le parti, esplicitamente ne facciano richiesta (26) e la clausola ? efficace se precisa e determinata nel suo contenuto e frutto di un?esplicita richiesta delle parti (27). La clausola risolutiva espressa, contenuta nella locazione, non ? di stile se la risoluzione sia prevista dai contraenti per effetto dell?inadempimento di una o pi? obbligazioni specificamente determinate; per contro ? inefficace quella che sia stata prevista con riferimento alla violazione di tutte le obbligazioni contenute nel contratto (28). In ultimo, patti quali ?l?immobile ? venduto con tutti i diritti, oneri, pesi, servit? passive ed attive?, miranti ad incidere essenzialmente sull?oggetto delle garanzie di cui agli artt. 1482 e 1489 c.c., sono state ritenute tali da avere un effettivo contenuto negoziale e quindi da incidere sulla posizione del venditore, quando gli elementi allegati in causa sono tali da consentire la certa individuazione del diritto, vincolo od onere cui le parti abbiano inteso riferirsi (29). In effetti, una clausola che pretenda di costituire la servit? senza identificare gli elementi essenziali (fondo dominante, natura del peso imposto, estensione) si esporrebbe, inevitabilmente al giudizio di nullit? per indeterminatezza.

Un rilievo concluso si impone, alla luce di quanto sinora evidenziato. Per evitare possibili e forse anche facili ?liquidazioni?, in sede giudiziale, di queste clausole come di mero stile ? qualora invece ad esse le parti vogliano davvero far corrispondere un?effettiva precettivit?e non rischiarne l?inefficacia ? baster? redigerle in modo circostanziato e ?personalizzato?, con tecnica adeguata, in modo tale da dare loro un contenuto che le faccia uscire dall?ordinariet? redazionale e ne evidenzi invece la rispondenza ad una precisa volont? delle parti.

Ci? significa che esse andranno calibrate in base alle esigenze delle parti, alle caratteristiche del negozio concluso ed a tutto quanto rilevi nella singola trattativa. Con particolare riguardo al concetto di ?stato di fatto?, dal quale prendono spunto queste note, va da s? che l?ideale strada per dare rilievo ad un?effettiva conoscenza dello stato dell?immobile da parte dell?acquirente sia quella di specificare ? se possibile ? di quali situazioni e problematiche l?acquirente ? stato reso edotto od ? stato messo in condizione di avvedersi.

Si pensi alla necessit? di un consolidamento strutturale di non agevole percezione visiva, piuttosto che all?esigenza di procedere al rifacimento di una copertura. ? evidente, poi, che la problematica sottesa anche all?argomento di cui ci occupiamo si connette in modo diretto alla disciplina dei vizi occulti e palesi, quindi a maggior ragione sar? opportuno specificare tutte quelle situazioni di difettosit? che siano state valutate esplicitamente dalle parti e tenute presenti nella trattativa anche al fine di stabilire il prezzo di vendita. Ci?, nell?obbiettivo di ridurre i margini per il contenzioso, non dimenticando che ? comunque impossibile (ed impensabile), d?altronde, tipizzare e predeterminare a priori tutte le possibili situazioni ed emergenze di vizio che potrebbero essere state percepite o comunque percepibili autonomamente da parte dell?acquirente.

(1) Toschi Vespasiani-Chiostrini, La garanzia ex art. 1669 c.c.: un ormai costante favor per il committente, in questa Rivista, 2014, 7, 653.
(2) Cfr. da ultimo e tra le moltissime Cass., 6 febbraio 2014, n. 2724, in Diritto & giustizia, 2014, 7/2, con nota di Greco; Cass., 15 novembre 2013, n. 25767, ivi, 2013, 18/11.

(3) Cass., 14 gennaio 2014, n. 632, in Diritto & giustizia, 2014, 15/1, con nota di Tarantino.
(4) Cfr. ad esempio Cass., 23 marzo 1993, n. 3418, in Giust. civ., 1994, I, 3291, con nota di Stranieri.
(5) Cass., 21 marzo 2014, n. 6784, in Giust. civ. Mass., 2014, 32.
(6) Cfr. ad es.Trib.Milano, 14 febbraio 2014, n. 2292, non pubblicata, riferita alla formula che nel gergo forense si suole aggiungere “o quell’altra maggiore o minore somma che risulter? in corso di causa”, ritenuta una clausola di stile inidonea ad influire sulla determinazione della competenza per valore.

(7) In argomento, per tutti, si veda G. Iorio, Clausole di stile, volont? delle parti e regole interpretative. La prassi contrattuale, in Riv. dir. civ., 2009, 657 ss. e cfr. anche infra.
(8) Quanto alla posizione del notaio in relazione alle clausole di stile, si veda Petrelli, L?indagine della volont? delle parti e la ?sostanza? dell?atto pubblico notarile, in Riv. not., 2006, 1, 39 e ss., il quale sostiene l?interessante tesi per cui non possa mai presumersi la non rispondenza di clausole contenute nell?atto
notarile alla volont? delle parti, ancorch? derivante dall?uso di formulari: ci? sulla base della fede privilegiata dell?atto pubblico, e sulla ritenuta necessit?, dove si voglia contestare che il suo contenuto non risponda all?effettiva volont? dei contraenti, di impugnare l?atto con la querela di falso.
(9) Si pensi agli avvocati e commercialisti, ma anche, pi? frequentemente, ai moduli utilizzati dalle agenzie immobiliari ed a quelli diffusi da tabaccai o cartolerie.
(10) Cass., 27 gennaio 2009, n. 1950, in Giust. civ. Mass., 2009, 1, 124.
(11) Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, aveva ritenuto che non potesse integrare una clausola di stile la rinuncia, circostanziata e determinata, del locatore di non aver nulla a pretendere dai conduttori a qualunque titolo spesa passati e futuri relativamente al rapporto di locazione, rispetto al quale era intervenuta una transazione tra le stesse parti (Cass., Sez. III, 29 settembre 2011, n. 19876, in Giust. civ. Mass., 2011, 9, 1362).
(12) Cfr. per tutti, gi? Stolfi, Il principio di buona fede, in Riv. dir. comm., 1964, I, 175; per ulteriori riferimenti, anche Delogu, La vendita, in Alpa, Trattato della responsabilit? contrattuale, II, 145 ss.
?(13) Cfr. Delogu, op. cit., loc. cit. In senso molto emblematico, Cass., 4 febbraio 1988, n. 1082, in Giust. civ. Mass., 1988, 2, secondo cui ?anche nel caso di formale riproduzione nelle relative clausole di obblighi gi? nascenti dalla legge o il richiamo espresso di norme di legge comunque integrative della disciplina negoziale l’interprete deve accertare, in base ai criteri legali di ermeneutica, l’effettiva portata del rinvio o del richiamo, atteso che questo come pu? avere valore di pura clausola di stile, cos? pu? assumere, per volont? delle parti, un particolare significato, che nelle concrete circostanze, sia tale da trascendere il limite del dato legale recepito?.
(14) Delogu, op. cit., loc. cit. ed ivi ulteriori riferimenti.
(15) Cass., 31 maggio 2013, n. 13839, in Giust. civ. Mass., 2013, 89.
(16) Cfr. nota 1.
(17) Cass., 11 ottobre 1956, n. 3510, in Giust. civ., 1957, I, 481; Cass., 15 ottobre 1983, n. 6062, in Giust. civ. Mass., 1983, 9; Cass., 29 luglio 1983, n. 5223, in Giust. civ. Mass., 1983, 8. Da ultimo, cfr. Cass., 17 settembre 2013, n. 21189, in Diritto e Giustizia online, 2013, 18/9, con nota di Greco, per la quale ?costituiscono causa di risoluzione per inadempimento di un contratto preliminare di compravendita la sussistenza di carenze igienico-sanitarie per violazione di norme urbanistiche, con conseguente rifiuto della licenza di abitabilit?, non potendosi ritenere superato l’obbligo di garanzia incombente sul promittente venditore ex art. 1497 c.c. dalla pattuizione negoziale di una clausola di stile secondo cui il bene viene alienato “nello stato di fatto e di diritto” in cui si trova?, conforme a Cass., 27 novembre 2009, n. 25040, in Riv. giur. edil., 2010, 2, I, 430 (secondo cui la conclusione del contratto preliminare con la clausola che il bene viene venduto ?nello stato di fatto e di diritto in cui si trova?, attesa la sua estrema genericit?, non equivale a rinuncia da parte del promissario acquirente all?abitabilit?).

(18) Cass., 3 luglio 1979, n. 3741, in Giur. it., 1979, 543, secondo cui la garanzia per i vizi della cosa oggetto della compravendita ? esclusa dalla clausola “vista e piaciuta” – la quale ha lo scopo di accertare consensualmente che il compratore ha preso visione della cosa venduta -, qualora si tratti di vizi riconoscibili con la normale diligenza e non taciuti in mala fede. Cfr. anche in questo senso Trib. Casale Monferrato, 31 luglio 2000, in Nuova giur. civ. comm., 2000, I, 109, con nota di Dosi.
(19) App. Firenze, Sez. I, 26 gennaio 2011, n. 134, non pubblicata. La sentenza riguarda il caso dell?acquirente di un immobile di pregio, venduto nell’ambito della dismissione del patrimonio immobiliare dell’Inpdap. Il ricorrente lamentava di non essere stato informato dei gravi difetti di impermeabilizzazione dei 220 mq di terrazze a livello di propriet? dovuti a un difetto della guaina che aveva causato ingenti danni ai piani inferiori a causa delle infiltrazioni ed aggiungeva che la clausola di “visto e piaciuto” avrebbe al pi? potuto valere contro i vizi visibili con “l’ordinaria diligenza” ma certamente non verso “quelli occulti”. Secondo la Corte, al contrario, tale interpretazione svuoterebbe di senso la clausola in quanto contro i vizi “facilmente riconoscibili” non opera comunque tale garanzia, secondo quanto disposto dall’art. 1491 del codice civile. Mentre tale espressione di matrice “prevalentemente popolare” se riportata all’interno di un contratto “non pu? che significare” che il compratore “si impegna ad accettare l’oggetto in parola senza alcuna riserva e, pertanto, rinunciando in toto alla garanzia per vizi”. Cfr. anche in questo senso Trib. Casale Monferrato, 31 luglio 2000, in Nuova giur. civ. comm., 2000, I, 109,
con nota di Dosi.
(20) Tra le varie in tal senso, cfr. da ultima, Cass., 29 settembre 2011, n. 19876, in Diritto e giustizia online, 2011, 30/9.
(21) Cass., 28 luglio 1983, n. 5203, in Giust. civ. Mass., 1983, 7.
(22) Braccini, Le clausole di stile (rassegna critica di dottrina e giurisprudenza), in Riv. not., 1962, 505.
(23) Cfr. ad es. Cass., 14 dicembre 1957, n. 4705, in Riv. not., 1959, 122; Cass., 9 marzo 1988, n. 2369, in Foro it., 1988, 2286. Secondo, Cass., 1? dicembre 2000, n. 15380, in questa Rivista, 2001, 6, 5 ?sia per il principio di conservazione delle clausole contrattuali, sia perch? rispondente all?interesse dell?acquirente di un immobile a non essere limitato nella disponibilit? e nel godimento del medesimo, non pu? ritenersi generica ed indeterminata e pertanto di stile, senza ulteriori argomenti al riguardo, la clausola secondo la quale l?alienante garantisce la libert? del bene da ipoteche, pesi e trascrizioni pregiudizievoli, pur se essa ? sintetica e onnicomprensiva?.

(24) Cass., 12 giugno 1997, n. 5266, in Studium Iuris, 1998, 77; in Riv. not., 1998, 274.
(25) Cass., 1? agosto 1959, n. 2444, in Foro it., 1960, I, 100; Cass., 25 ottobre 1972, n. 2355, in Riv. not., 1973, 331; Cass., 29 aprile 1980, n. 2855, ivi, 1980, 1257.
(26) Cfr. Cass., 24 settembre 1999, n. 10493, in Foro it. Mass., 1999, 345.
(27) Cass., 18 gennaio 2002, n. 547, in Foro it. Mass., 2002, 213, secondo cui la clausola di esonero dall?effettuare le visure ipotecarie non ? di stile, se sia parte integrante del negozio e sia precisa e determinata nel suo contenuto e giustificata da accertate esigenze concrete delle parti.
(28) App. Napoli, 10 aprile 2001, in Arch. loc., 2001, 685.
(29) Cass., 4 febbraio 1988, n. 1082, cit.; Cass., 25 ottobre 2012, n. 18349, in Giust. civ. Mass., 2012, 10, 1245. In sostanza, occorre quanto meno l?estrinsecazione della precisa volont? del proprietario del fondo servente diretta a costituire (ad esempio) la servit? e la specifica determinazione nel titolo di tutti gli elementi atti ad individuarla quali fondo dominante, fondo servente, natura del peso imposto su quest?ultimo, estensione (Cass., 18 aprile 2001, n. 5699, in Foro. it. Mass., 2001, 564).

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