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Sanzioni disciplinari al lavoratore per uso “improprio” dei social: bisogna valutare il contesto

Nel corso degli ultimi anni si è assistito sempre più al delineamento di una giurisprudenza in grado erogare o confermare sanzioni nei confronti dei lavoratori che fanno un uso improprio dei social network; specialmente nel caso in cui le invettive prese in esame riguardino il datore di lavoro o i colleghi.
Se da una parte è certo che i social network non si devono usare per tali scopi, dall’altra occorre stabilire dei confini utili per proteggere il lavoratore stesso da sanzioni disciplinari frutto di valutazioni fallaci. La legittimità di queste sanzioni, infatti, deve essere frutto di un giusto bilanciamento tra elementi oggettivi e soggettivi in cui è importante valutare il contesto; in caso contrario il lavoratore può sì perdere il posto di lavoro, ma vedersi corrispondere un’indennità risarcitoria che va dalle 6 alle 36 mensilità.

Chat tra colleghi

Se il lavoratore insulta il datore di lavoro in una chat tra colleghi, non è detto che questo gli valga una sanzione disciplinare. Secondo la Cassazione (ord. 21965/2018), infatti, quello della chat tra colleghi è un contesto che esclude la condivisione di quanto scritto all’esterno e che tira in ballo la tutela della segretezza della corrispondenza (art. 15, Costituzione).
È questo il caso che ha valutato la Corte d’Appello di Firenze (sentenza n. 125/2021), indennizzando con 12 mensilità un lavoratore che aveva pubblicato messaggio offensivi rivolti al superiore sulla chat Whatsapp tra colleghi.

Frasi generiche

Secondo il Tribunale di Taranto (sentenza n. 19375/2021), sono inoffensive le frasi in cui non si faccia chiaro riferimento all’azienda o al proprio datore di lavoro.

Menzogne

Secondo il Tribunale di Roma, «i social network sono utilizzati, soprattutto nel mondo lavorativo, per pubblicizzare la propria attività professionale, fornendo un’immagine della propria persona e del proprio successo lavorativo spesso non corrispondenti al vero, proprio al fine di procurarsi delle occasioni di lavoro» (sent. 6569/2021, sez. Lavoro). Partendo da questo assunto, quindi, non si può dimostrare l’infedeltà del lavoratore e lo svolgimento di un’altra attività lavorativa per un’azienda diversa durante il periodo di pandemia.

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Redazione interna sito web giuridica.net

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