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Il repechâge e il licenziamento illegittimo

Nella sentenza n. 7/2018 del Tribunale di Verona la ricorrente richiedeva il risarcimento del danno, per licenziamento illegittimo, alla società per cui aveva lavorato.
L’illegittimità del licenziamento era dovuta, a suo avviso, dal contenuto a dir poco laconico e generalizzato della motivazione: «A fronte della ristrutturazione in corso all’ interno dell’ azienda, resasi necessaria a causa della riduzione dell’ attività, è venuta meno la necessità della posizione lavorativa da Lei ricoperta senza che sia possibile una sua ricollocazione nell’ambito aziendale».
La società convenuta ha sostenuto invece che si tratti di licenziamento per giustificato motivo oggettivo citando la sentenza n. 24037/2013 della Cassazione secondo cui «l’imprenditore è libero di scegliere se continuare o cessare un’attività produttiva essendo insindacabili le sue scelte imprenditoriali, salvo il caso di simulazione o pretestuosità».
In aggiunta a ciò essa ha evidenziato di aver assolto al proprio obbligo di repechâge ponendo in essere una offerta di ricollocazione in capo al soggetto in seguito licenziato, da essa rifiutata.
Va chiarito come in tema di repechâge la giurisprudenza giuslavoristica ritiene che il giudice debba, in primo luogo, verificare che non vi sia la possibilità per il prestatore di lavoro di essere adibito ad altre mansioni equivalenti all’interno della compagine aziendale, comprensiva anche delle altre aziende facenti parte di un eventuale gruppo; in secondo luogo egli deve accertarsi che al lavoratore siano state proposte mansioni inferiori e siano state espressamente rifiutate, poiché ritenute comunque dequalificanti.
È quindi possibile che attraverso il repechâge il soggetto da licenziare possa essere demansionato ma il suo rifiuto non può certo integrare una rinuncia abdicativa all’impugnativa di licenziamento, che il fulcro della disciplina del caso di specie.
Alla luce di ciò il giudice non può che accogliere il ricorso del soggetto richiedente, condannando la società al pagamento, a titolo risarcitorio, di 6 mensilità alla ricorrente:  pur non contestando quanto stabilisce la Cassazione in tema di libera iniziativa imprenditoriale, non può tacersi che il datore di lavoro ha pur sempre l’onere di provare la effettività e la non pretestuosità delle ragioni inerenti all’organizzazione del lavoro o all’attività produttiva poste a fondamento del licenziamento, evento non certo soddisfatto dalla generica e scarna motivazione adottata nel licenziamento specifico.

Leggi il testo integrale – Tribunale di Verona, sentenza n. 07/2018

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Michel Simion

Dottore in Giurisprudenza, Università degli Studi di Verona. Tesi in diritto costituzionale giapponese, appassionato di letteratura asiatica.

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