«Lei non sa chi sono io»: giudice condannato per concussione
Corte di Cassazione – sentenza n. 21770/2022, sez. Seconda Penale
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No, nemmeno un giudice può usare l’intimidatorio «Lei non sa chi sono io». Il rischio è una condanna per concussione.
È quanto confermato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 21770/2022.
Il caso
Un giudice del Tribunale di Milano aveva intimidito una funzionaria del Comune per poter avere accesso a un fascicolo che gli sarebbe stato utile per risolvere una questione privata. Al suono di «Lei non sa chi sono io: se voglio il fascicolo lo visiono lo stesso, lo faccio sequestrare e me lo porto in Tribunale», il giudice provava a bloccare l’apertura di un bar sotto casa sua facendo “visita” agli uffici dedicati all’edilizia privata.
Nel dettaglio, il giudice aveva preteso di evitare le varie prassi presenti negli uffici, a cominciare dal prendere un appuntamento e dal chiarimento dell’urgenza di accedere a un fascicolo ancora in fase di istruzione. Non essendo riuscito a intimidire un primo impiegato, in seguito c’era riuscito con la dirigente dell’ufficio, arrivando a minacciare il sequestro dei fascicoli di interesse. In barba alle regole della pubblica amministrazione, già il giorno dopo era riuscito a vedere le carte e predisporre un esposto contro l’avversario.
Il reato di concussione
Come chiarito dalla Cassazione, il reato commesso non è abuso d’ufficio ma concussione. Il giudice, infatti, ha strumentalizzato la qualifica per ottenere un vantaggio indebito: accedere ai documenti il giorno dopo “la richiesta”, quando un normale cittadino ci avrebbe messo dai 60 ai 120 giorni.
Leso anche il prestigio della magistratura in seguito a uno sfoggio improprio dell’autorità, come già affrontato dalla stessa Cassazione con sentenza n. 2158/2021. In questi termini è stata avallata la sospensione cautelare dalle funzioni di giudice per la durata della pena.