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La riforma penitenziaria “Orlando” e le misure alternative

Il governo uscente ha di recente approvato la riforma dell’ordinamento giudiziario. Secondo le parole dell’attuale Ministro della Giustizia Orlando «è stata inserita una norma che dice che si deve valutare il comportamento del detenuto: se ha studiato, se ha lavorato, a un certo punto la pena può essere trasformata in un altro tipo di pena che restituisca qualcosa alla società con il lavoro, anche risarcendo il danno che con il reato ha prodotto».
Dalla prigione sovraffollata, di oltre un triplo della capienza, di San Juan de Lurigancho alla cella con televisione e playstation di Breivik, l’Italia in che posizione si colloca? La sentenza Torreggiani, emanata dalla CEDU nel 2013, l’ha già condannata per violazione della dignità umana per quanto concerne i trattamenti inumani o degradanti subiti dai ricorrenti, sette persone detenute per molti mesi nelle carceri di Busto Arsizio e di Piacenza, in celle triple e con meno di quattro metri quadrati a testa a disposizione. Inoltre un recente studio a campione, effettuato su 84 strutture carcerarie italiane, ha verificato che esistono un gran numero di celle prive di docce o sprovviste di acqua calda oppure dove i wc non sono separati dal luogo in cui i detenuti mangiano e dormono.
Per far fronte a questa situazione discutibile, la riforma si è occupata principalmente di riportare al centro del sistema la finalità rieducativa della pena ex art. 27 della Costituzione, oltre a ridurre l’annoso problema del sovraffollamento delle carceri, con un decreto suddiviso in 6 parti: riforma dell’assistenza sanitaria, semplificazione dei procedimenti, eliminazione degli automatismi, volontariato e misure alternative.
Quali sono le misure alternative alla detenzione?

  1. l’affidamento in prova al servizio sociale, che stabilisce la possibilità per il condannato di essere affidato al servizio sociale fuori dall’istituto per un periodo uguale a quello della pena da scontare;
  2. la semilibertà, che consiste nella possibilità per il condannato di trascorrere parte del giorno fuori dall’istituto, disposta in relazione ai progressi compiuti nel corso del trattamento quando vi sono le condizioni per un graduale reinserimento del soggetto nella società; può accedervi anche l’ergastolano dopo aver scontato almeno 20 anni;
  3. la liberazione anticipata, che stabilisce la possibilità che essa sia concessa al condannato che abbia dato prova di partecipazione al processo di rieducazione, detraendo 45 giorni a ogni sei mesi di pena scontata;
  4. la detenzione domiciliare, che consiste nella possibilità di espiare la pena della reclusione nella propria abitazione o in altro luogo pubblico di cura, assistenza e accoglienza.

I punti di maggior criticità della norma in questione sono parecchi: da una parte vi sono coloro che plaudono a questa decisione, sottolineando come il tenere persone chiuse in cella 22 ore al giorno non significa aumentare la sicurezza per il cittadino ma significa solo aumentare la frustrazione, la vittimizzazione e l’aggressività dei detenuti, abbruttendoli; dall’altra vi sono coloro che avversano frontalmente la normativa,  evidenziandone il lato buonista che si occupa più del benessere del carnefice che della sicurezza della vittima.
Quali sono queste criticità? Primariamente non si può tacere che quattro anni siano decisamente tanti per poter accedere a misure alternative al carcere, essendoci reati con una base giuridica molto grave che potrebbero condurre il condannato ad accedere a un regime agevolato per fatti di importanza non certo lieve; in secundis è sicuramente lodevole e sensato il tentativo di ridurre il tasso di recidiva ma, alla luce dell’esiguo numero di personale giudiziario, diventa forse utopistico credere che i giudici abbiano tempo di valutare caso per caso chi sia degno di accedere alle pene alternative o meno, cadendo in un pericoloso vortice di automatismo; infine il grave pericolo  che i detenuti di mafia o terrorismo possano aggirare il beneficio dal quale sono esclusi, scontando dapprima i reati specifici per poi detrarre il residuo dal cumulo dei reati comuni.
A prescindere sembra doveroso concedere il beneficio del dubbio a una situazione che è sentita come sempre più intollerabile dalla coscienza comune.

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Michel Simion

Dottore in Giurisprudenza, Università degli Studi di Verona. Tesi in diritto costituzionale giapponese, appassionato di letteratura asiatica.

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