Diritto di famigliaNews giuridicheResponsabilità e risarcimento danniSentenze

Il fidanzato fuggito prima delle nozze deve rimborsare l’abito da sposa

Pur essendo il matrimonio una scelta libera e incoercibile, la rottura della promessa senza un giustificato motivo comporta il rimborso delle spese sostenute dalla parte che subisce il rifiuto.

È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 10926/2020, con la quale si è esaminato il caso di un futuro sposo “fuggito” dopo che la futura moglie aveva già speso 3.000 euro per il vestito da sposa. Non volendo rimborsare la somma, il ragazzo ha portato la causa in tribunale.

Non sono valse a nulla le giustificazioni espresse: l’opposizione dei genitori alle nozze; i dubbi sui reali sentimenti della ragazza, i quali secondo lui sarebbero stati rivolti solo ai soldi. Affidandosi alle parole dei testimoni, la Corte ha scoperto che il rifiuto era stato espresso solo sei giorni prima del matrimonio, escludendo così che il matrimonio fosse stato cancellato di comune accordo.

Di seguito, il testo integrale dell’ordinanza.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile
Pubblicazione: 09/06/2020
Presidente: Frasca Raffaele
Relatore: Rubino Lina

ORDINANZA sul ricorso 12112-2018 proposto da:

G. G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA C., presso lo studio dell’avvocato G. C., rappresentato e difeso dall’avvocato M. L.;

– ricorrente –

contro

M. S.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1833/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 11/10/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 19/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LINA RUBINO. Civile Ord. Sez. 6 Num. 10926 Anno 2020

Rilevato che:

1. G. G. propone due motivi di ricorso per cassazione nei confronti di M. S., per la cassazione della sentenza n. 1833\2017 della Corte d’Appello di Palermo, con la quale veniva condannato al risarcimento dei danni per rottura ingiustificata della promessa di matrimonio.

2. -Con il primo denuncia la violazione degli artt. 81 e 2697 c.c., con il secondo la violazione dell’art. 2697 c.c. nonché la insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso. Sostiene che la domanda sia stata proposta, in violazione dell’art. 81 c.c., oltre un anno dopo la rottura – che lui assume dovuta alla volontà consensuale delle parti – della promessa di matrimonio, e sostiene che la decisione di non arrivare alle nozze sarebbe intervenuta dopo le pubblicazioni, ma almeno venti giorni prima della data fissata per il matrimonio.

3. Espone il G. alquanto confusamente che aveva progettato di unirsi in matrimonio con la M., che l’unione era ostacolata dalla sua famiglia, tanto che lui in un primo momento recedeva dal proposito, che non di meno, avendo saputo che la M. era incinta, acconsentiva al matrimonio, le parti facevano la pubblicazioni e fissavano il luogo per il ricevimento, ma al contempo l’odierno ricorrente si avvedeva che l’intenzione della M. di contrarre matrimonio era motivata solo da ragioni economiche, chiedeva alla promessa sposa di sottoporsi all’esame del DNA, quindi – nella sua ricostruzione di comune accordo – poco dopo aver fatto le pubblicazioni decidevano di non sposarsi. Veniva quindi citato in giudizio dalla M. per rottura della promessa di matrimonio e la domanda veniva rigettata in primo grado sul presupposto che l’attrice non avesse dimostrato la tempestività della proposizione della domanda, entro un anno dalla rottura della promessa, come previsto dall’art. 81 c.c., a fronte della eccezione di della controparte. La sentenza di appello riformava quella di primo grado condannando il G. a pagare circa 3.000,00 euro a rifusione delle spese sostenute dalla sua ex fidanzata in vista del matrimonio (acquisto dell’abito ed altro) ritenendo che l’onere della prova della consensualità della risoluzione ricadesse sul convenuto, essendo emerso al contrario dalle varie testimonianze raccolte che la decisione di non contrarre matrimonio, presa dal ricorrente, era stata esplicitata all’esterno solo sei o sette giorni prima della data fissata e che il G. non avesse provato la sussistenza di un giustificato motivo per il suo ripensamento, tale da sottrarlo all’obbligo non di risarcire i danni – atteso che la contrazione del matrimonio risponde ad una libera scelta incoercibile- ma a rifondere all’altro soggetto le spese sostenute e a dotarlo della provvista per adempiere, in tutto o in parte, alle obbligazioni assunte in funzione del prossimo matrimonio.

4. Essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., nel testo modificato dal d.l. n. 168 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla I. n. n. 197 del 2016, è stata formulata dal relatore designato proposta di definizione del ricorso con declaratoria di inammissibilità dello stesso, sulla base di queste osservazioni: il ricorso deduce una serie di considerazioni sulla avvenuta valutazione delle circostanze di fatto tese inammissibilmente ad una riconsiderazione del convincimento che la corte d’appello si è formata valutando le prove assunte.

5. L’intimata non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Ritenuto che:

6. Il Collegio, esaminato il ricorso, benché condivida le osservazioni del relatore in merito alla inammissibilità del ricorso, ritiene che esso debba, preliminarmente, essere dichiarato improcedibile, in quanto manca della asseverazione autografa di conformità all’originale della notifica del ricorso stesso, effettuata con modalità telematica, come consentito, ma provvista di una asseverazione munita della sola firma digitale dell’avvocato, e priva di firma autografa. Ciò in conformità a quanto affermato, con enunciazione del principio di diritto nell’interesse della legge, ex art. 363 c.p.c., da Cass. S.U. n. 22438 del 2018: “il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, di copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo PEC, senza attestazione di conformità del difensore ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter, della I. n. 53 del 1994 o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non ne comporta l’improcedibilità ove il controricorrente (anche tardivamente costituitosi) depositi copia analogica del ricorso ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all’originale notificatogli ex art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 82 del 2005. Viceversa, ove il destinatario della notificazione a mezzo PEC del ricorso nativo digitale rimanga solo intimato (così come nel caso in cui non tutti i destinatari della notifica depositino controricorso) ovvero disconosca la conformità all’originale della copia analogica non autenticata del ricorso tempestivamente depositata, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità sarà onere del ricorrente depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica sino all’udienza di discussione o all’adunanza in camera di consiglio. (Principio enunciato ai sensi dell’art. 363, comma 3, c.p.c.).”. Nel caso di specie, infatti, essendo la M. rimasta intimata, non ha potuto corroborare con la sua non contestazione la conformità della copia informale all’originale. A ciò si aggiunga che il ricorso sarebbe in ogni caso inammissibile. Il ricorrente torna sulla prescrizione dell’azione non per contestare la ricostruzione in diritto della corte d’appello, ma l’accertamento in fatto, affermando che la rottura fosse avvenuta almeno 20 giorni prima delle nozze (il che avrebbe condotto all’intempestività della introdotta domanda). Quindi, poiché è risultato accertato che la domanda fosse stata proposta entro l’anno, è l’accertamento in fatto che il ricorrente – inammissibilmente – contesta.

Con il secondo motivo, il ricorrente contesta – perché lo ritiene eccessivo- l’importo liquidato, rifacendo alcuni conteggi, quindi con una metodologia completamente estranea al giudizio di legittimità, cui non compete la quantificazione diretta dei danni o degli indennizzi oggetto di causa, ed in più introducendo circostanze e dati che non sono neppure riportati nella sentenza di appello. Egli non rivolge effettivamente la sua critica nei confronti di particolari passi di motivazione della sentenza impugnata, ma ripropone la sua diversa ricostruzione dei fatti, seguita nella difesa di merito e non pertinente né con le censure da svolgersi in sede di legittimità, né con la motivazione della sentenza impugnata, e neppure con il decisum, che lo condanna al pagamento di una somma ben inferiore a quelle originariamente richieste. Il giudizio di appello ha visto la partecipazione del Pubblico ministero, ma il ricorso introduttivo non risulta notificato alla Procura generale: dato l’esito negativo del ricorso, però, la circostanza non risulta rilevante. Non occorre provvedere sulle spese del presente giudizio in difetto di attività difensiva da parte dell’intimata. Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e la parte ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravata dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dell’ art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002.

P.Q.M.

La Corte dichiara improcedibile il ricorso. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso nella camera di consiglio della Corte di cassazione il 19 settembre 2019.

Rimani sempre aggiornato sui nostri articoli e prodotti
Mostra altro

staff

Redazione interna sito web giuridica.net

Articoli correlati

Lascia un commento

Back to top button