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Il doping e la responsabilità del soggetto

Dopo essere risultato positivo a un controllo antidoping, il capitano del Benevento Calcio è stato squalificato per un anno.
La difesa del calciatore si è imperniata, senza risultato, sulla non conoscenza della sostanza utilizzata, fatto confermato dallo stesso medico sociale.
Per capire la ratio di questa motivazione è necessario valutare le differenze tra giustizia penale e quella sportiva.
In ambito penale bisogna fare riferimento all’art. 9 della legge 376/2000, secondo cui «è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni chiunque procura ad altri, somministra, assume o favorisce comunque l’utilizzo di farmaci o di sostanze, che non siano giustificate da condizioni patologiche e siano idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo».
In ambito sportivo non vi è una vera e propria definizione ma il CONI, il quale recepisce completamente le disposizioni antidoping dell’organo internazionale WADA, stabilisce che il doping sia semplicemente la violazione delle regole antidoping, prevedendo che il soggetto sia punibile per l’oggettiva presenza della sostanza proibita nel suo organismo.
È facile evincere come in quest’ultimo caso vi sia dunque una vera e propria responsabilità oggettiva, a differenza dell’ambito penale in cui è invece richiesto l’elemento soggettivo del dolo specifico.
Alla luce di ciò la condanna sportiva è ineluttabile ma non è privo di logica condannare un soggetto inconsapevole di quello che assume? Il doping di Stato della Germania dell’Est sembra aver condotto il WADA da un eccesso all’altro.

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Michel Simion

Dottore in Giurisprudenza, Università degli Studi di Verona. Tesi in diritto costituzionale giapponese, appassionato di letteratura asiatica.

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