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Risarcimento infortunio sul lavoro: è sempre responsabilità datoriale?

Tribunale di Reggio Emilia – Sentenza n. 49/2018 del 21/02/2018, giudice Vezzosi

INFORTUNIO SUL LAVORO – COLPA DATORIALE – LESIONI GRAVISSIME – ACCOGLIMENTO
Il datore di lavoro deve risarcire il danno alla lavoratrice investita da un muletto, con lesioni gravissime culminate nell’amputazione di un arto, se viene assodato la sua responsabilità non solo nel non avere impedito il fatto del guidatore del muletto ma anche per avere tenuto le vie ingombre di materiale.

CASSAZIONE 7206/2018
INFORTUNIO SUL LAVORO – RESPONSABILITÀ DATORIALE – NEGLIGENZA – IDONEE MISURE PROTETTIVE – RIGETTO

In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese a impedire la insorgenza di situazioni pericolose, il datore di lavoro risponde non solo per gli incidenti che derivano al lavoratore per disattenzione di sé medesimo ma anche per quei comportamenti ascrivibili a imperizia, negligenza e imprudenza. La conseguenza di ciò è che il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente.

CASSAZIONE 6995/2018
INFORTUNIO SUL LAVORO – COLPA ESCLUSIVA – ANNULLAMENTO CON RINVIO

Deve escludersi la responsabilità non solo del datore di lavoro ma anche del soggetto gerarchicamente superiore alla vittima se quest’ultimo abbia tenuto un comportamento talmente abnorme da escludere l’applicazione dell’articolo 2087 c.c. in tema di attività pericolose.

ARTICOLO 2087 C.C. «L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro».



REPUBBLICA ITALIANA
TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA
SETTORE LAVORO
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice del lavoro di Reggio Emilia, dott. Elena Vezzosi, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa di lavoro n. promossa da:

M. R. P., con l’avv. G.C. B. come da procura in calce al ricorso;

CONTRO

del P. srl, in persona del l.r. pro tempore, con gli Avv. A . M. e F. P. Z. N.

contumace;

e con la chiamata in causa di

Z. P. SPA, in persona del l.r. pro tempore rappresentata e difesa dall’Avv. C. B.

in punto a: risarcimento danni da infortunio sul lavoro

FATTO E DIRITTO

Parte ricorrente M. R. praticò ha convenuto in giudizio la propria datrice di lavoro D. P. Srl (nel prosieguo anche solo D.), con azione risarcitoria per i danni alla persona conseguiti all’infortunio sul lavoro da lei patito, in data 24/4/2013, nello stabilimento di Borzano di Albinea (RE). La lavoratrice ha chiamato in causa anche il collega Z. N., che ritiene responsabile in solido con la datrice di lavoro dei danni causatile dall’infortunio subito.

La sig. ra P. espone di essere stata assunta il 2/1/2013 con contratto a tempo determinato della durata di sei mesi dalla s.r.l. D. (società che si occupa dello svolgimento di attività di raccolta, trasporto e stoccaggio provvisorio e definitivo di rifiuti e di materiale da recupero; parte del Gruppo olandese D., che svolge la medesima attività in Olanda ed in altri paesi europei) con qualifica e mansioni di impiegata amministrativa 4 livello CCNL Commercio; e racconta come, in data 24/4/2013, sia rimasta vittima di infortunio sul lavoro, nella specie l’investimento in zona produzione da parte di muletto condotto dall’operaio Z. N., dovuto a colpa esclusiva e/o concorrente della datrice di lavoro, a fronte del mancato rispetto delle norme antinfortunistiche e dei più elementari doveri di sicurezza.

Soccorsa e trasportata al PS di Reggio Emilia, le venivano riscontrate lesioni gravissime, tali da subire l’amputazione della gamba destra all’altezza del terzo medio prossimale, oltre che danni di natura patrimoniale e non, per le quali le sarebbe residuata una affermata invalidità permanente pari al 60% della quale chiede di essere integralmente risarcita anche e soprattutto con riguardo ai danni morali/esistenziali e comunque afferenti alla sfera privata emozionale e sociale; e tanto a fronte della lamentata esclusiva responsabilità aziendale nella causazione dell’evento.

La ricorrente evidenzia come il contratto di lavoro a TD non le sia stato convertito, nonostante le promesse in tal senso da parte della D.; e come dunque -a causa delle gravi menomazioni subite- le sia stato ad oggi impossibile reperire una nuova occupazione, lamentando dunque un danno patrimoniale superiore a quello coperto dalla rendita INAIL; e quantifica complessivamente il danno subito in 1.096.648 già detratto l’acconto percepito da Z. di 23.760,00. Si è costituita D. contestando integralmente in fatto ed in diritto le pretese azionate in giudizio, a cominciare dalla ricostruzione dell’infortunio, verificatosi a causa di una sequenza di operazioni errate compiute dalla lavoratrice: si afferma infatti che la ricorrente -che aveva avuto istruzioni di non recarsi nella zona produzione- non abbia usato la comune prudenza nell’attraversare la corsia di transito dei muletti ed abbia omesso di verificare l’arrivo del muletto guidato dal Z. N. e di dargli dunque la dovuta precedenza.

Il sig. Z. N. rimaneva contumace.

È stata successivamente disposta -su richiesta dell’azienda convenuta- la chiamata in causa della Società assicurativa Z. Spa (anche Z.), che si è a sua volta regolarmente costituita sostanzialmente aderendo in punto di fatto alla ricostruzione dell’evento fornita da D., e svolgendo in punto di diritto numerose eccezioni anche e soprattutto riguardanti la validità e copertura della polizza assicurativa.

Esperito senz’esito il tentativo di conciliazione, disposta ed espletata CTU medico legale, svolta attività istruttoria mediante l’assunzione di otto testimoni e acquisizioni documentali, all’odierna udienza del 20/2/2018 la causa è stata decisa con contestuale sentenza.

Il ricorso è fondato e va accolto.

Secondo i principi desumibili dagli artt. 2087 c.c. e 10 TU 1124/65, affinché sorga la responsabilità datoriale per danno differenziale, è necessario che il giudice, valutate le allegazioni delle parti, accerti la colpa datoriale e ravvisi nella fattispecie concreta sottoposta al suo vaglio i presupposti, sia oggettivi che soggettivi, di un reato perseguibile d’ufficio.

Trattandosi di responsabilità contrattuale opera l’inversione dell’onere della prova di cui all’art. 1218 c.c.: è pertanto sufficiente che il lavoratore alleghi una situazione di fatto qualificabile in termini d’inadempimento (o inesatto adempimento) e provi il rapporto di causalità tra l’inadempimento e il danno subito, spettando poi al datore di lavoro, debitore di sicurezza, l’onere di fornire la prova negativa dell’assenza di colpa, dimostrando di aver adottato tutte le cautele idonee a tutelare l’integrità fisica del prestatore di lavoro (cfr. Cass. Sez. Un. 13533/01, i cui principi debbono ritenersi applicabili anche alla materia de qua per ragioni di coerenza sistematica e unità dell’ordinamento). Orbene, nel caso in esame la lavoratrice ha affermato che il gravissimo incidente di cui è causa è stato causato da numerose omissioni del debito di sicurezza in capo all’azienda, ed in particolare: 1) l’avere omesso qualunque vigilanza in ordine alla condotta del Z. N., che procedeva a velocità sostenuta su un muletto caricato a tal punto da impedire la visibilità frontale, consentendo allo stesso di tenere quella condotta altamente imprudente per la quale era già stato in passato rimproverato; per altro il muletto utilizzato dal Z. era privo di cicalino acustico e luminoso; 2) l’avere tenuto le vie di circolazione ingombre di materiale che ne impediva una regolare visibilità, e comunque prive di idonea segnaletica orizzontale e verticale, che ne delimitasse e regolasse gli accessi e le corsie; 3) l’avere utilizzato la lavoratrice in mansioni comportanti l’accesso alla zona produttiva, con aumento del rischio, anche considerata la rumorosità dell’ambiente e l’esigua dotazione di walkie tolkie.

L’istruttoria svolta ha permesso di chiarire con ragionevole certezza la dinamica del sinistro.

Anzitutto, in ordine alla ricostruzione del sinistro è a dire che ha trovato piena conferma istruttoria il verbale redatto dal tecnico dello SPSAL di Reggio Emilia sig. R. C., pure escusso come teste all’udienza del 28/9/2016 (cfr. doc.58 e ss. ric.), verbale che deve dunque in questa sede da ritenersi richiamato (oltre alla specifica ed esaustiva testimonianza dell’Ispettore) ed al quale si rimanda per la dettagliata ricostruzione dei particolari dell’evento.

Altro elemento chiave dell’istruttoria è il video ripreso dalla telecamera interna, che lascia pochi dubbi sia sulla dinamica dell’incidente che sulle violazioni commesse dal guidatore del muletto e dall’azienda.

Dalla visione delle immagini appare dimostrato come la lavoratrice -che aveva necessità di comunicare con l’operatore addetto al ragno’ (Z. N., fratello del convenuto Z. N.) per ottenere informazioni su un acquisto- abbia dapprima tentato di attirare l’attenzione di costui alzando le braccia, e successivamente, non ottenendo risposta a causa dell’elevato rumore di fondo1 II, si sia recata verso di lui attraversando la zona adibita al transito dei muletti e sia stata investita da tergo dal muletto guidato dal collega Z. N. Sempre dalla visione del filmato appare evidente come il muletto procedesse a velocità eccessiva per le condizioni di luogo ove stava operando e per le modalità stesse della guida, atteso che l’intero capannone era ingombro di materiali di riciclo e dunque consentiva una minima visibilità delle operazioni, e comunque il muletto era eccessivamente caricato di materiale che ne oscurava la vista anteriore, al punto che. non riusciva a vedere la P.; lui era carico e non riusciva a vedere quello che gli stava davanti, per poter guidare il muletto si sporgeva di lato, e seguiva il pilastro, che utilizzava come punto di riferimento. Noi non potevamo lasciar fuori il materiale, perché se si alzava il vento lo disperdeva, e quindi mio fratello stava facendo viaggi I “Quando svolgemmo il nostro accesso le lavorazioni erano in corso, verificammo che c’era, in un ambiente chiuso, una pressa ed un escavatore a scoppio, entrambi questi elementi creavano un rumore di fondo assai rilevante, dal DVR desumemmo che il rumore era stato monitorato ed era rilevante, arrivava tra gli 85 e gli 87 Decibel, si tratta di un rumore consistente; infatti poi nella ns. relazione evidenziammo anche questo aspetto.

II rumore della gru copriva il rumore del carrello, sempre dedotto dal DVR”T. C. avanti e indietro per portarlo tutto dentro, era ormai rimasta poca roba, stava facendo l’ultimo giro, andava alla normale velocità di muletto, non troppo forte, solo che come ho detto era limitata la visibilità” (così Z. N.). La normale velocità di muletto’ (smentita per altro dal teste L. C.: “In ordine alla velocità del mezzo, non posso fare stime precise perché non me ne intendo, posso solo dire che procedeva spedito, e che io ero poco distante e ci potevo lasciare la pelle anch’io'”‘) è ovviamente tale se rapportata alle condizioni operative concrete; che nel caso in esame richiedevano una prudenza ben maggiore di quella ordinaria, posto, come s’è detto, che il muletto era sovraccarico, non aveva visibilità, aveva tre balle in quel momento caricate; anche nei carichi precedenti a quello era sempre sovraccarico; il capannone in quel momento era pieno di roba c’era il passaggio per il muletto, di larghezza di circa 2.5/3 metri” (sempre L.). Per altro, quando la ricorrente si fece sulla soglia esterna del proprio ufficio, sbracciandosi per chiamare Z. N., il muletto si nota in distanza ancora intento a lavorare nel piazzale, il che significa non solo che la ricorrente si risolse ad avvicinarsi all’operatore tranquilla di non correre rischi (il muletto era ancora all’esterno e stava caricando), ma anche che la manovra ed il sopraggiungere dello stesso sono stati particolarmente insidiosi e repentini (cfr. fotogramma ore 16.36.51-57), tali da sorprendere e successivamente investire la lavoratrice nei pochi secondi impegnati dalla stessa nell’attraversare la corsia per raggiungere il ragno.

La circostanza che il lampeggiante (e non il cicalino acustico, che in ogni caso funziona solo in retromarcia, teste C.) fosse funzionante ed effettivamente inserito (come parrebbe dal video) appare di scarso rilievo, atteso che -come s’è detto- la parte anteriore del muletto era completamente oscurata dalle due o tre balle di materiale plastico che Z. N. aveva impropriamente caricato sul mezzo; sicché la ricorrente -che per altro procedeva dando le spalle al veicolo- non avrebbe potuto ragionevolmente notare il segnale luminoso.

Quanto ai walkie talkie, è certo che -per quanto molto probabilmente in dotazione degli addetti, sia pure da pochi mesi- fossero in qual frangente già stati tutti restituiti in ufficio per essere caricati; il che esclude una responsabilità della lavoratrice nell’averne omesso l’(impossibile) uso. In ogni caso erano sottodimensionati per l’uso perché si scaricavano prima del termine del turno, dal momento che “avevamo in dotazione dei telefonini, ma verso le 16.30 si scaricano, e quindi il mio lo avevo riportato in ufficio e messo sotto carica” (teste Z. N.). In sostanza, nessuna responsabilità può addebitarsi alla P. nella causazione del sinistro: la stessa stava correttamente adempiendo i compiti assegnateli (in particolare quello specifico di ordinare le bombole del gas; ed anzi aveva il fornitore al telefono, per far partire l’ordine prima del successivo giorno festivo 25 aprile, che avrebbe causato un ritardo nella consegna del materiale) e agì con prudenza (o comunque con ordinaria vigilanza) nello spostarsi all’interno del capannone, impossibilitata a raggiungere in altro modo Z. N., pur avendo prima cercato di attirarne l’attenzione.

Al contrario, è da ascrivere a colpa grave la condotta posta in essere dall’operatore del muletto Z. N. (e lo attesta anche il verbale SPSAL, le prescrizioni ad esso conseguenti, ed il decreto penale di condanna non opposto che ha attinto sia il lavoratore che il LR di D. -cfr. docc.58, 73, 74, 75, 76 e 77 ric.); ma anche a negligenza e illegittimità la condotta di D., che oltre ad omettere qualsiasi vigilanza in ordine alle concrete modalità di svolgimento del lavoro (permettendo l’uso del muletto a velocità e modalità di carico non conformi ed altamente pericolose), non ha previsto all’interno della struttura appositi percorsi ad uso pedonale e idonee barriere (quali quelle ad U’ rovesciata poi prescritte dalla AUSL) a protezione degli utenti.

In sintesi, allora, l’infortunio è stato causato da tre fattori -di peso differente e gradato nella verificazione dell’evento- e cioè: 1. nell’essere la zona di lavoro ma soprattutto di manovra e transito dei vari automezzi interni (3 muletti che entravano e uscivano continuamente) non delimitata da appositi segnali ed ausili sia orizzontali (ad esempio uno specchio) che verticali (piste di transito, dissuasori di velocità, ostacoli delimitanti); il che creava confusione, commistione tra i vari mezzi, evidente pericolo per gli stessi ed i propri conducenti e pure per il personale a piedi; a questa concausa è attribuibile il peso maggiore dell’evento, pari al 50%. 2. nell’avere Z. N. comunque compiuto un carico eccessivo di balle di materiale, manovra ontologicamente’ pericolosa in quello spazio angusto e non delimitato, che rendeva impedita la visibilità al punto che lo stesso per procedere era costretto a sporgersi di lato e a prendere per riferimento, per poter fare la curva interna, i pilastri del capannone; e nell’aver guidato il muletto a velocità eccessiva in relazione alla situazione dei luoghi come accertata mediante le riprese video; alla responsabilità del Z. N. è ascrivibile un ulteriore 40%; 3. nell’essere la visibilità del piazzale -ma soprattutto, per quanto qui di interesse, la visibilità del portone d’uscita dei muletti dal capannone- limitata (anche se non compromessa) dai blocchi di materiale accatastatati come da video in atti, tanto da costringere la lavoratrice a proceder in mezzo a cataste di materiale che rendevano ancora più difficile verificare il sopraggiungere di mezzi; concausa dell’evento pari al 10%; Quanto all’Azienda, le carenze organizzativo/gestionali sopra evidenziate, tra le quali è da annoverarsi anche l’omessa vigilanza sulle modalità di svolgimento delle mansioni del Z. N. e in ogni caso cui è da addossarsi, quale preposta, la percentuale di condotta omissiva dallo stesso tenuta e per la quale è direttamente imputabile, portano a ritenere a carico della stessa una responsabilità pari al 60%. Va ulteriormente ricordato, sotto questo aspetto, come vi sia stato, a carico della D., verbale di prescrizioni finalizzato ad adottare segnaletica orizzontale idonea a distinguere le zone di stoccaggio e quelle di circolazione, anche e soprattutto pedonale; oltre a montare dispositivi di protezione a barriera ed a creare una porta che consentisse l’accesso dall’esterno agli uffici senza dover passare dalla zona produttiva. Tale verbale non è stato impugnato dall’Azienda, e comunque le prescrizioni ivi contenute erano non solo perfettamente ottemperabili ma anzi necessarie; ed infatti l’azienda ha successivamente ottemperato alle nostre prescrizioni, che erano quelle di segnalare le zone pedonali con strisce sul pavimento, di separare la zona di accesso agli uffici dalla corsia di entrata e transito dei mezzi, e c’era anche quella di aprire una porta che facesse comunicare direttamente gli uffici con l’esterno, senza dover passare dal capannone: quest’ultima prescrizione non è stata adempiuta in quanto poi l’azienda ha deciso di trasferire la sua attività. Furono inoltre redatte istruzioni operative per la miglior gestione degli spazi da parte dei dipendenti; sono in possesso e mostro alla SV fotografie attestanti gli adempimenti di cui parlo, e del manuale operativo che ci fu trasmesso dalle D. successivamente, a dimostrazione dell’avvenuto adempimento” (teste C.). Per quanto riguarda il danno, le conclusioni tratte dal CTU dott. C. sono assolutamente logiche, immuni da censure, e pertanto perfettamente condivisibili e si considerano qui integralmente recepite, anche con riguardo alla durata delle singole temporanee.

E così, il danno biologico residuato alla ricorrente è pari al 58%, con pari incidenza sulla capacità lavorativa specifica; la ITT è pari a 149 giorni, la ITP al 75% a ulteriori 344 giorni.

Chi scrive ritiene applicabili, in sede di quantificazione economica della percentuale, le tabelle elaborate dalla giurisprudenza di Milano, anche in relazione ai coefficienti moltiplicativi in base all’età del soggetto.

Pertanto, considerando il punto base ITT pari ad 145,00, considerato un aumento del 50% delle indennità per le temporanee pari alle maggiori sofferenze accertate a mezzo dei testi escussi (l’amica B. R., anche figlia dell’ex compagno della ricorrente, che dunque ha deposto anche su aspetti più intimi della relazione tra la P. ed il padre), e dovute sia alle ripetute devastanti operazioni chirurgiche subite, sia alle sofferenze -superiori alla media- patite in corso di riabilitazione e adattamento della protesi, le invalidità temporanee sono da quantificarsi economicamente in complessivi 66.083, 65 Quanto al danno biologico, sempre con riferimento alle tabelle Milanesi, lo stesso è da calcolarsi in complessivi 377.074,00, oltre ad un ulteriore aumento personalizzato pari al 25% (massimo applicato dalla giurisprudenza anche proprio di questo stesso ufficio in caso di macropermanenti; ed in ogni caso percentuale massima definitivamente attestata come coerente dalla più recente giurisprudenza della SC -cfr. Cass.9371/2016) pari ad 94.269,00. Dunque in totale 537.426, 75, somma che dovrà essere decurtata sia di quanto già percepito a titolo di acconto erogato dalla compagnia assicurativa (23.760,00), sia di quanto percepito da INAIL a titolo di risarcimento per danno biologico giusta la documentazione INAIL acquisita dalla terza chiamata sia su disposizione del Giudice del 28/9/2017, sia anche prodotta, aggiornata, all’odierna udienza (dunque 243.082, 71 per danno biologico permanente). Le spese mediche sostenute sono state giudicate congrue dal CTU e devono essere risarcite per ulteriori 7.212, 30 (ivi compresa la contestata spesa per l’acquisto di autovettura con cambio automatico e pedali invertiti, dal momento che era l’azienda a dimostrare che in commercio esistono simili veicoli ad un prezzo inferiore a quello erogato dalla lavoratrice; che per altro pare congruo con il prezzo di una utilitaria non di lusso). Quanto al differenziale relativo alla capacità lavorativa specifica, a fronte della complessiva quota di rendita INAIL che indennizza il danno patrimoniale (222.473, 18, di cui 23.485, 52 per ratei già corrisposti ed 198.951, 66 per valore capitale della rendita futura) questa voce di danno rimane completamente assorbita, dal momento che la ricorrente aveva con D. un contratto a TD a scadenza giugno 2013, e non v’è alcuna concreta probabilità o possibilità (o comunque, non è stata minimamente provata da parte attrice) che detto contratto, alla scadenza sua propria, sarebbe stato rinnovato, prorogato ovvero convertito in contratto a tempo indeterminato. In ogni caso, è stato provato dalla D. che fu più volte offerta alla lavoratrice la possibilità di reimpiego in azienda che è stata rifiutata dalla ricorrente (testi M. e W.). In ogni caso, anche utilizzando le tabelle di capitalizzazione in attualità (pur se risalenti, a tutt’oggi vigenti) il coefficiente previsto è pari a 13, 937; per cui il danno patrimoniale complessivo, ottenuto moltiplicando lo stipendio annuale del 2013 x il danno accertato dal CTU (48%) x esso coefficiente, risulta certamente ricompreso nell’ammontare complessivo erogato o erogando da INAIL. Trattandosi d’un credito di fonte contrattuale, legato alla qualità di lavoratore della ricorrente, sulla somma complessivamente dovuta a titolo di biologico e patrimoniale, come risultante dai calcoli sopra operati vanno applicati rivalutazione monetaria e interessi legali, a seguito della sentenza del 23 ottobre 2000, n. 459, con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato la parziale illegittimità dell’art. 22 comma trentasei l. 724/94. Gli interessi devono calcolarsi sul capitale rivalutato annualmente, secondo il più recente orientamento della Corte Suprema [Cass., sez. un., 29 gennaio 2001, n. 38], e decorrono dalla data del giorno dell’infortunio, come momento di consumazione dell’illecito.

Le spese di CTU sono poste in questa definitiva sede esclusivamente a carico della datrice di lavoro nell’importo già liquidato a fronte della sostanziale soccombenza.

Rimane da dire sulla polizza in essere tra D. e Z. n. in virtù della quale D. ha proposto la domanda di garanzia nei confronti della propria ex Assicurazione.

Anzitutto Z. contesta la non operatività della polizza per aver reso la D. dichiarazioni inesatte e reticenti e per aver comunque aggravato il rischio. In particolare deduce violazione dell’art. 2, sezione II, pag. 23 c.g.a. (la clausola prevede quale condizione di efficacia della garanzia assicurativa che – testualmente – “il rapporto o la prestazione di lavoro avvenga nel rispetto della vigente legislazione in materia”); violazione della clausola di cui all’art. 2, Sezione II 3 comma, alla pagina 23 delle c.g.a. (che prevede sempre quale condizione di efficacia dell’assicurazione, che l’assicurato “sia in regola con gli obblighi dell’assicurazione di legge”); violazione, sempre da parte di D., dell’art. 1898 c.c.. In via subordinata viene eccepita l’operatività limitata della polizza (nello specifico, la riduzione del 60% della copertura). Con riguardo alla non operatività della polizza e relativo annullamento del contratto ai sensi degli invocati artt. 1892 e 1893 c.c., si deve ritenere che Z. sia decaduta dal diritto di impugnare il contratto ai sensi dell’art.1892 2 comma c.c., per essere decorso un termine ben maggiore dei 3 mesi dal giorno della conosciuta inesattezza, che si colloca al momento in cui D. fece denuncia di sinistro alla propria assicurazione e quest’ultima aprì la posizione e gestì il sinistro’ (cfr. doc.17, 18 e 19 D.) anche parzialmente risarcendo il danno all’assicurata (cfr. doc.86 P.). Va ulteriormente osservato come anche l’art.21 delle condizioni di polizza (pg.41 condizioni generali d’assicurazione) prevede sotto la voce “pagamento dell’indennizzo”che: “verificata l’operatività della garanzia, valutato il danno e ricevuta la necessaria documentazione, la Compagnia deve provvedere al pagamento dell’indennizzo entro 30 giorni….”. Se ne deduce che contrattualmente è previsto il pagamento dell’indennizzo (o di quota parte dello stesso) solo successivamente alla verifica della operatività della garanzia; il che, oltre che coerente dal punto di vista logico, è giuridicamente corretto, poiché presuppone l’adempimento del contratto solo se e quando detto contratto non presenti vizi tali da condurne all’annullamento e/o nullità. Pertanto, l’avvenuto pagamento dell’indennizzo (ancorché parziale, come è avvenuto in questo caso) comporta un preventivo vaglio di operatività della garanzia che ne preclude una successiva contestazione in sede giudiziale, dovendosi configurare l’atto stragiudiziale come riconoscimento del diritto, o comunque atto negoziale idoneo a concretizzare una rinuncia ad eccepire la non operatività della polizza e a far ritenere contraria a buona fede la successiva contestazione.

Ma in ogni caso, la lettura dell’art. 2, sezione II, pag. 23 c.g.a. che prevede quale condizione di efficacia della garanzia assicurativa che – testualmente – “il rapporto o la prestazione di lavoro avvenga nel rispetto della vigente legislazione in materia”non pare quella offerta da Z., che intende nella dizione “rispetto della vigente legislazione in materia”il rispetto della normativa antinfortunistica. Intesa in questo caso, la copertura assicurativa in caso di infortuni sul lavoro non sarebbe sostanzialmente operativa, posto che -dovendosi escludere una responsabilità oggettiva del datore di lavoro- l’unico caso in cui scatta una responsabilità datoriale ed il conseguente obbligo di indennizzo è appunto quello in cui si sia verificata una violazione della normativa antinfortunistica o comunque dell’art.2087 c.c.. È evidente che, se così fosse, il contratto stesso di assicurazione sarebbe sine causa o comunque nullo ai sensi dell’art.1895 c.c.. La lettura coerente della clausola fa ritenere che l’assicurazione dia copertura agli infortuni occorsi a prestatori di lavoro in regola’, e cioè muniti di regolari contratti di lavoro e assicurati presso gli enti competenti; viceversa escludendo i lavoratori in nero o comunque irregolari sotto altri aspetti. Anche la lettura della clausola di cui all’art. 2, Sezione II 3 comma, che prevede sempre quale condizione di efficacia dell’assicurazione, che l’assicurato “sia in regola con gli obblighi dell’assicurazione di legge”deve essere interpretata nel significato offerto dalla D., e cioè che l’assicurata sia in pari con il pagamento dei premi INAIL e non esistano a suo carico debiti inevasi (ad es. per accertamenti ispettivi; oppure per rettifiche nelle classificazioni di rischio). Non è invece sostenibile la tesi Z., secondo cui P. non era inquadrata nell’esatta categoria di rischio (che però non viene indicata) in quanto svolgeva mansioni anche “ben diverse”da quelle prettamente impiegatizie (che però non vengono indicate); e da ciò conseguirebbe irregolarità. In realtà, non solo l’inquadramento INAIL della lavoratrice appare coerente con le mansioni dalla stessa svolte (anche considerando che l’accesso in zona lavorazione era comunque sporadico e l’attività assicurata è quella svolta in principalità e prevalenza da INAIL), ma soprattutto INAIL ha preso regolarmente in carico l’infortunio e non ha mai eccepito nulla all’Azienda in ordine ad eventuali modifiche delle classificazioni di rischio, rettifiche che come noto sono adottate d’ufficio dall’ente ai sensi dell’art.16 DM 12/12/2000 anche e proprio in concomitanza della verificazione di sinistri gravi come quello in esame.

Quanto alla non operatività della polizza per violazione “degli artt.1892, 1893 e 1894 c.c.”, ferma restando la decadenza dall’annullamento, non v’è stata alcuna prova (ma nemmeno allegazione) della colpa grave o del dolo della D. (per quanto riguarda l’art.1892 cc). Mentre il 2 comma dell’art.1893 -che è l’unico applicabile al caso in esame, non prevede la non operatività ma solo una riduzione della copertura.

In ogni caso, anche sotto questo aspetto non pare invocabile detto articolo, in quanto per ottenere tale riduzione la compagnia deve aver dato prova che le dichiarazioni inesatte e le reticenze del contraente siano relative a circostanze tali che l’assicuratore non avrebbe dato il suo consenso o non lo avrebbe dato alle medesime condizioni se avesse conosciuto il vero stato delle cose.

Si tratta dunque di condizioni gestionali o di rischio talmente differenti e gravi da portare la compagnia a negare il consenso o ad alzare il premio.

Zurich ne identifica nel concreto due: l’essere P. un’impiegata non formata e non assicurata per parte del rischio (quello comportante l’accesso ai luoghi di produzione); l’essere le condizioni di lavoro e gestione della produzione gravemente irregolari.

Ebbene, con riguardo al primo aspetto, il formulario compilato da del P. al momento della stipula del contratto non prevede alcuna indicazione né sul numero del personale in essa operante e dunque oggetto di assicurazione, né men che meno sulle mansioni o inquadramenti; sicché all’evidenza questo dato è del tutto irrilevante per la Compagnia, che altrimenti si sarebbe premurata di acquisirlo (cfr. Cass. Civ. Sez. III, 06/06/2014, n. 12831: “La circostanza che l’assicuratore inserisca una domanda nel questionario sottoposto all’assicurando prima della stipula del contratto è un indice del fatto che la conoscenza di quella circostanza è particolarmente importante per l’assicuratore, e per la formulazione del suo consenso alla stipula del contratto”). Con riguardo al secondo aspetto, la gestione irregolare della sicurezza all’interno di D., della quale s’è detto abbondantemente sopra, non è connessa a dichiarazioni inesatte o reticenze commesse al momento di stipula della pratica di assicurazione; ma a carenze organizzative e di vigilanza e ad iniziative abnormi individuali dei lavoratori (l’alta velocità e l’incongruo carico del mulatto da parte dello Z. N. ). Va invece accolta l’eccezione di Z. relativa alla applicazione dell’ultimo comma dell’art.1898 cc, letto in collegamento anche con la clausola di cui all’art. 22 (“Regolazione del premio”) contenuta alla pagina 42) delle c.g.a.. In tale clausola è previsto che: 1) il premio viene stabilito in base al fatturato preventivato del contraente assicurato (D.), e viene regolato alla fine di ciascun periodo in base al fatturato consuntivo, fermo il premio minimo stabilito nella scheda di polizza (1 comma); 2) al fine di consentire tale regolazione, il contraente (D.) aveva l’obbligo di fornire “per iscritto”a Z. i dati all’uopo necessari “e cioè l’indicazione del fatturato consuntivo”entro 90 giorni dalla fine di ogni periodo annuo di assicurazione (2 comma); La Compagnia ha dimostrato che -con riguardo all’anno 2013, cioè quello in cui è avvenuto il sinistro- l’azienda non ha fornito il bilancio suddetto, e non ha consentito la regolazione in aumento del premio.

Si apprende infatti dall’esame del bilancio 2013 (prodotto da Z. docc. 10, Il e 12) che il fatturato raggiunto da D. in quell’anno ammonta ad. 4.145.537,00, mentre nella scheda di polizza (pagina 5; vd. doc. 3 ), era stato invece indicato l’importo di. 2.000.000,00. Ne consegue che, per l’anno 2013, il fatturato era più che raddoppiato, sicché era legittimo per la Compagnia (a norma di quanto previsto dall’art.22 6 comma pg.42 c.g.a.) rettificare il premio.

Ne consegue ulteriormente, dal momento che il rischio è certamente aumentato (posto che l’aumento del fatturato è legato -per fortuna di D. ad un aumento delle commesse e dunque del lavoro da organizzare e da portare a compimento), che è possibile applicare la previsione dell’u.c. dell’art.1898 c.c.: e cioè la riduzione della copertura in termini proporzionali all’aumento di premio non realizzatosi.

In questo caso, ad un aumento di oltre il doppio del fatturato (e dunque del rischio, nelle stesse proporzioni) corrisponde il raddoppio del premio; e per converso, la diminuzione della metà della copertura.

Ciò significa che Z. è tenuta a manlevare D. della metà degli importi finali a cui la stessa deve essere condannata nei confronti della propria ex dipendente.

Le spese di lite sostenute dalla ricorrente sono poste sempre a carico dell’azienda, e sono quantificate come in dispositivo, con distrazione; alla stessa andranno rimborsate anche le spese di CTP come da fattura depositata in atti. Le spese di CTU sono poste in via definitiva a carico della datrice di lavoro convenuta.

Le spese di lite sostenute da D. e da Z. sono invece compensate tra le parti, a fronte della reciproca soccombenza.

P.Q.M.

Il Giudice del Lavoro, ha pronunciato la seguente sentenza:

1. In accoglimento del ricorso, accertata la responsabilità concorrente della datrice di lavoro D. P. s.r.l. e del di lei dipendente Z. N. nella causazione dell’infortunio subito dalla sig. M. R. P. in data 24/4/2013 nelle percentuali meglio specificate in parte motiva, condanna D. P. s.r.l. e Z. N., in solido tra loro e ciascuno nella percentuale specificata in motivazione, e D. P. s.r.l. anche ai sensi e per gli effetti dell’art.2049 c.c., a risarcire i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dalla ricorrente che si quantificano in complessivi 270.584, 04 + 7.212, 30 per spese, ed oltre ad accessori di legge;

2. Accoglie parzialmente la domanda di manleva esperita da D. P. s.r.l. nei confronti di Z., e pertanto dichiara tenuta quest’ultima a tenere indenne l’assicurata dagli obblighi risarcitori scaturenti dalla presente decisione nella misura del 50% e dalle spese di lite liquidate in favore della lavoratrice ricorrente nello stesso ordine di misura;

3. Condanna D. P. s.r.l. alla rifusione a parte ricorrente delle spese di lite del presente giudizio quantificate in 12.000,00 oltre ad IVA, CPA e CU con distrazione, ed a rifondere le spese di CTP nell’importo sostenuto; compensa tra le parti le spese sostenute da D. P. s.r.l. e Z.;

4. pone definitivamente a carico di D. P. s.r.l. le spese di CTU nell’importo già liquidato, e dichiara tenuta Z. alla manleva in misura del 50% anche relativamente a tali somme.

5. riserva la motivazione in gg. 60 a fronte della complessità del caso.

REGGIO EMILIA, 20/2/2018

IL G.L.
Dr. ssa Elena Vezzosi

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