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Referendum Autonomia 22 ottobre 2017: guida pratica

Cittadini di Lombardia e Veneto, l’appuntamento è per domenica 22 ottobre dalle ore 07 alle 23. Obiettivo: referendum sull’autonomia regionale, solo e unico centro del dibattito politico locale da qualche mese a questa parte.
Con voto elettronico da una parte (Lombardia) e tradizionale scheda dall’altra (Veneto), verrà chiesto ai cittadini se vogliono che la giunta regionale avvii la procedura per chiedere allo Stato maggiore autonomia. Una procedura approvata dalla Corte Costituzionale – quella di fare appello all’articolo 116 della Costituzione – e prevista dalla Riforma Costituzionale del 2001, in cui si assume che una regione con bilancio in equilibro possa fare richiesta allo Stato centrale per vedersi affidare nuove competenze oltre a quelle affidate a tutte le regioni a statuto ordinario dal Titolo V della Costituzione.
I quesiti sono i seguenti:

Veneto
«Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?»
Lombardia
«Volete voi che la Regione Lombardia, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma della Costituzione?».

Scendendo nel particolare, gli articoli presi in considerazione sono il 116 e 117 della Costituzione italiana, i quali riportano: a) il primo una guida essenziale, b) il secondo un elenco delle materie di competenza sulle quali richiedere di avere maggiore autonomia, tra cui ambiente, istruzione, coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, ecc.
Fin qui, nulla da eccepire, se non il fatto che il referendum in sé, a partire dalla campagna “mediatico-elettorale” dedicata, ha scatenato non poca confusione nella mente dei cittadini interessati. Non parlo del motivo cardine, ovvero la disparità esistente tra quantità di risorse versate da parte delle regioni nelle casse dello Stato e risorse restituite al fine di investimenti sul territorio in termini di servizi al cittadini, ma di tutto ciò che fa da contorno alla questione (compresa la sua effettiva utilità).
Anzitutto è bene specificare che non si tratta di una votazione anche solo lontanamente paragonabile a quella tenutosi in Catalogna domenica 1 ottobre 2017. Contrariamente a quello catalano, infatti, i referendum sull’autonomia di Lombardia e Veneto si terranno in accordo con lo Stato grazie al via libera ottenuto dal Governo e dalla Corte Costituzionale. Seconda differenza: si tratta di referendum consultivi sul “regionalismo differenziato”, non certo sull’indipendenza dallo Stato centrale. Non si illuda, quindi, chi crede di compiere un atto sovversivo blaterando di indipendenza e secessione.
Altra questione sulla quale vige non poca confusione, riguarda la natura dei referendum in questione. Essi non saranno vincolanti per lo Stato – si parla, infatti, di “referendum consultivi” – come invece lasciano intendere le parole pronunciate dal presidente della regione Veneto Zaia: «Se le riforme non le fa il Parlamento, le farà il popolo esprimendosi in maniera diretta» (qui il video). È chiaro il riferimento al caso Brexit, in cui una semplice consultazione referendaria è diventata vincolante di fatto per il Parlamento britannico (con gli esiti che ben conosciamo), tuttavia rimane la realtà dei fatti.
I dubbi maggiori, però, riguardano l’effettiva utilità del referendum. In questi termini esistono due scuole di pensiero: a) quella favorevole e convinta che il referendum sia fondamentale in quanto, facendo udire la voce dei cittadini, conferirebbe maggiore forza contrattuale alla regione che chiede autonomia, b) chi ritiene il tutto una mossa politica polivalente affetta da inutilità e spreco di denaro pubblico. I secondi, in particolare vedono il referendum come una materia in grado di assumere contemporaneamente due stati di aggregazione delle molecole:

  1. Inutilità di fatto: la regione Emilia-Romagna ha già avviato la trattativa con lo Stato per richiedere l’autonomia, senza per questo indire un referendum e con il conseguente risparmi di denaro da parte dei cittadini (finora, a quanto pare, 14 milioni di euro per il solo Veneto);
  2. Utilità politica: far sentire i cittadini come parte integrante del sistema democratico è una grande arma. Sfruttata fino in fondo ancora da pochi, essa si è sempre rivelata essere il punto di svolta per i partiti politici con la chiara intenzione di consolidarsi in un dato territorio.

A confermare lo stato di utilità politica, le intenzioni ufficiali di voto espresse dai partiti – a livello locale e nazionale – decisi a sostenere il Sì. La Lega che mira al risultato storico, il MoVimento 5 stelle che vuole radicarsi al nord e, infine, il PD intenzionato a recuperare terreno. Solo pochi partiti hanno espresso la volontà di astensione o la totale contrarietà ai quesiti in esame.
È proprio grazie a questa confusione se il risultato finale, anche se in parte certo (orientamento verso la vittoria del Sì), rimane avvolto da un alone di incertezza riguardante i dati di affluenza. Preoccupazione che non tocca la Lombardia in quanto non è previsto il quorum, ma che affligge il Veneto. La regione di Zaia, per l’appunto, deve raggiungere la maggioranza degli aventi diritto voto per trovare la sua validità. Inoltre, la situazione non migliora andando a esaminare i dati raccolti da SWG nel suo sondaggio svolto per la Lega in data 27.09.2017. Alla popolazione utilizzata come campione sono state rivolte le seguenti domande, qui riportate complete di percentuali:

  1. Ritiene giusto aver indetto il voto? 56% molto-abbastanza giusto, 36% contrari (Veneto); 51% molto-abbastanza giusto, 37% contrari (Lombardia);
  2. La consultazione sarà utile? Sì 45%, No 48% (Veneto); Sì 51%, No 37% (Lombardia);
  3. Sarà una spesa inutile? Sì 52% (Veneto); Sì 56% (Lombardia);
  4. Era meglio impegnarsi nella trattativa con lo Stato? Sì 53% (Veneto), Sì 49% (Lombardia).

In caso di vittoria del Sì, sia chiaro che si tratterà di un iter lungo. Prima dovrà avvenire la firma dell’intesa tra Stato e Regione, e successivamente dovrà esserci la ratifica della legge che sancirà l’autonomia (per l’approvazione della quale serve la maggioranza alle due Camere). Risultati a breve termine, quindi, non sono contemplati.
Un futuro decisamente nebuloso per le due regioni, la quale unica certezza è che lunedì 23 ottobre, anche in caso di vittoria del Sì, non sarà cambiato nulla. L’unico cruccio rimane per i soldi spesi e di cui, per una volta, si poteva fare a meno.

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emanuelesecco

Dottore in Editoria e Giornalismo. Appassionato di scrittura, editoria (elettronica e digitale), social media, musica, cinema e libri. Viaggio il più possibile, ma Budapest è sempre nel cuore.

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