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Nascita indesiderata: sono responsabili il medico e la Asl

Corte di Cassazione – sentenza n. 22532/2022, sez. Terza Civile

Per la nascita di un figlio in seguito a un’errata chiusura delle tube, i medici e la Asl devono risarcire la paziente. L’eventualità più probabile è che l’intervento sia fallito, piuttosto che non sia stata rispettata la leges artis.
È quanto si evince dalla sentenza n. 22532/2022 di Cassazione.

Il caso

Una coppia cita in giudizio i due medici e l’azienda sanitaria in seguito a una nascita indesiderata dovuta a un fallimentare intervento di legatura delle tube a cui si era sottoposta la donna. L’obiettivo è quello di ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali derivati.
Domanda rigettata in primo grado. Secondo il tribunale, il fallimento dell’operazione non è dovuto alla negligenza dei sanitari ma alla fistolizzazione del tubo peritonale (fenomeno asintomatico riportato nella CTU).

La Corte d’Appello, riferendosi a una seconda consulenza, ritiene che i sanitari non abbiano eseguito a dovere l’intervento, quindi li condanna a risarcire il danno. Respinta anche la tesi della fistolizzazione, in quanto questa non sarebbe bastata a far passare gli spermatozoi e l’uovo fecondato. Perciò, l’intervento deve essere stato eseguito nel non rispetto della leges artis. In breve, devono rispondere tutti i medici presenti all’intervento.

Il ricorso dei medici

Secondo parte appellante, il giudizio della Corte d’Appello non è valido per due motivi:

  1. è fondato solo sulla seconda consulenza, e comunque la colpa sarebbe da attribuire solo alla dottoressa che ha operato;
  2. l’unica causa per la gravidanza è da attribuire al processo di fistolizzazione indicato nella prima consulenza e dalla letteratura scientifica come causa di fallimento.

L’intervento fallito è responsabilità dei medici

I giudici di Cassazione ritengono immotivato il primo motivo del ricorso, in quanto critica a una consulenza solo perché in contrasto con la prima. In più, la responsabilità deve essere condivisa con tutti i medici facenti parte dell’equipe in quanto cooperanti all’intervento.

Inammissibile anche il secondo motivo, in quanto «la censura consiste in un’analisi critica delle valutazioni scientifiche effettuate dal consulente tecnico, senza che tuttavia venga indicato se e in quale sede, tali critiche siano state sollevate dalla difesa».

Il giudizio della Corte d’Appello non presenta vizi logici: «Sostenere che l’intervento sia stato eseguito con la medesima modalità tecnica per entrambe le tube non implica necessariamente riconoscere che esso sia stato correttamente eseguito da ambo i lati».

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