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Mercificazione della funzione giudiziaria: 15 arresti tra Roma e Messina

Associazione a delinquere dedita a frode fiscale, reati contro la pubblica amministrazione e corruzione in atti giudiziari. Questi i capi d’accusa alla base di un’operazione congiunta tra Roma e Messina che ha portato all’arresto di 15 fra imprenditori, giudici e avvocati. Tra i fermati anche Giancarlo Longo, ex pubblico ministero della Procura di Siracusa.
Un meccanismo in cui si “aggiustavano” sentenze in cambio di denaro, come le tre sentenze che la Procura di Roma ha già contestato a Riccardo Virgilio, ex presidente di sezione del Consiglio di Stato. Quest’ultimo, secondo le indagini, avrebbe provveduto a pilotare tre decisioni per favorire i clienti degli avvocati Pietro Amara e Giuseppe Calafiore (anch’essi indagati e sotto misura cautelare).
Bersaglio della polizia tributaria l’attuale dirigente Eni Massimo Mantovani (precedentemente responsabile dell’ufficio legale della società), indagato per associazione per delinquere finalizzata a una serie di reati: ovvero, secondo le indagini, del depistaggio al fine di condizionare le inchieste Eni-Nigeria ed Eni-Algeria. Indagine, anche questa, che va a intrecciarsi a quelle di Roma e Messina.
Una nota congiunta delle due Procure (Roma e Messina) specifica che «le indagini hanno preso le mosse da distinti input investigativi convergendo sull’operatività dei due sodalizi criminali, consentendo la ricostruzione di ipotesi di bancarotta fraudolenta da parte di soggetti non riconducibili alla struttura delle organizzazioni».
Oltre che per i nomi già citati, sono state disposte misure cautelari anche per Luciano Caruso, Alessandro Ferraro, Giuseppe Guastella, Davide Venezia, Mauro Verace, Salvatore Maria Pace, Gianluca De Micheli, Vincenzo Naso, Francesco Perricone e Sebastiano Miano.
Emerge, così, ciò che è già stato definito “il metodo Longo”. Tale modalità di azione, spiegano le Procure, consisteva nella creazione di fascicoli “specchio” che il magistrato «si auto-assegnava al solo scopo di monitorare ulteriori fascicoli di indagine assegnati ad altri colleghi (e di potenziale interesse per alcuni clienti rilevanti degli avvocati Calafiore e Amara), legittimando così la richiesta di copia di atti altrui, o di riunione di procedimenti; fascicoli “minaccia”, in cui “finivano per essere iscritti – con chiara finalità concussiva – soggetti ‘ostili’ agli interessi di alcuni clienti di Calafiore e fascicoli “sponda”, che venivano tenuti in vita “al solo scopo di creare una mera legittimazione formale al conferimento di incarichi consulenziali (spesso, radicalmente inconducenti rispetto a quello che dovrebbe essere l’oggetto dell’indagine), il cui reale scopo era servire gli interessi dei clienti di Calafiore a Amara».
Un esempio: su input di Amara, legale esterno di Eni, l’ex pm avrebbe avviato un’indagine priva di alcun fondamento – riguardante un tentativo di destabilizzazione della società e del suo amministratore delegato Claudio Descalzi – con il solo scopo di intralciare l’inchiesta milanese sulle presunte tangenti nigeriane in cui era coinvolto lo stesso Descalzi.
L’accusa è grave: si parla di «mercificazione della funzione giudiziaria». Le Procure hanno inoltre specificato che «Longo usava le prerogative a lui attribuite dall’ordinamento per curare interessi particolaristici e personali di terzi soggetti dietro remunerazione. Tali condotte vengono riscontrate a partire dal 2013 e perdurano sino ai primi mesi del 2017».
Una pratica deprecabile, che certo non ci voleva in un periodo storico nel quale la fiducia nella giustizia ha raggiunto i livelli più bassi mai percepiti.
 

Fonte: Ansa.it
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