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Lo stato d’ira non giustifica l’insulto dell’ex sui social

Corte di Cassazione – sentenza n. 24614/2022, sez. Quinta Penale

Lo stato d’ira non può essere considerato un’esimente per l’ex marito che insulta l’ex moglie sui social in seguito a una separazione difficile.
È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 24614/2022.

Confermate le decisioni di primo e secondo grado, le quali avevano ritenuto colpevole di diffamazione un uomo che aveva pubblicato su Facebook frasi offensive nei confronti della ex moglie.

Il caso

L’imputato aveva fatto ricorso deducendo «la violazione di legge e l’omessa motivazione in relazione agli artt. 595 e 599 c.p., II comma, per non avere la Corte territoriale applicato l’esimente della reazione d’ira provocata da fatto ingiusto altrui». In questo senso, la difesa riferiva che «la reazione dell’imputato benché non immediata è non di meno maturata nel contesto di un lavorante conflitto interpersonale e di un clima caratterizzato da contrasti, minacce e vessazioni da parte dell’ex moglie che ostacolava soprattutto la frequentazione tra quest’ultimo e la prole e la famiglia stessa, che avrebbe provocato un persistente stato d’ira nel ricorrente».

Nel secondo motivo, la difesa sottolineava una mancanza di motivazione riguardo l’art. 62 bis c.p. e che la Corte d’Appello si sarebbe così limitata «a una motivazione puramente reiterativa degli argomenti già espressi sull’esimente prevista dall’art. 599 del codice penale».

Il terzo motivo fa riferimento alla presunta violazione di legge e l’omessa motivazione in relazione all’art. 157 c.p. con la richiesta al collegio di accertare che sia maturato il termine di prescrizione dei reati.

Il nesso di causalità e le offese

Esaminate le prove, la Corte di Cassazione nota che nel caso in questione manca il nesso di causalità tra reazione dell’imputato e il fatto ritenuto ingiusto. Secondo l’orientamento, «nel delitto di diffamazione ai fini della configurabilità dell’esimente di cui all’art. 599 c.p., ancorché non rilevi la proporzione tra la reazione e il fatto ingiusto altrui, occorre tuttavia che sussista un nesso di causalità determinante tra il fatto provocante ed il fatto provocato, non essendo sufficiente il legame di mera occasionalità (sezione 5 n. 39508 dell’11/05/2012)».

Considerato ciò, i precedenti gradi di giudizio hanno giustamente rilevato la consapevolezza dell’imputato di utilizzare espressioni offensive atte a ledere l’onore della ex. Le sentenze precedenti, quindi, hanno «coerentemente applicato il principio consolidato secondo il quale in tema di diffamazione per la sussistenza dell’elemento soggettivo non si richiede che sussista l’animus iniuriandi vel diffamandi, essendo sufficiente il dolo generico che può assumere la forma del dolo eventuale in quanto è sufficiente che l’agente consapevolmente faccia uso di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive». In più, la pubblicazione su Facebook amplifica l’idoneità lesiva per diffusività e rapidità della comunicazione.

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