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La rilevanza penale della sindrome di Tourette

La sindrome di Tourette è una condizione neurologica caratterizzata dall’associazione tra tic involontari e disturbi psichiatrici; più precisamente, per usare le parole della Cassazione, essa è «un disturbo che trova la sua causa in un’alterazione funzionale dell’encefalo che si manifesta in un bisogno incoercibile di fare piccoli movimenti, toccare qualcosa o pronunciare parole».
La rilevanza penale di questa malattia è evidenziata nella sentenza n. 39709/2011 della Cassazione, in cui il ricorrente, affetto da tale sindrome, chiede il riconoscimento dell’incapacità di intendere e di volere negategli nei precedenti giudizi.
Può essere capace di discernere il lecito dall’illecito colui che è scosso da impulsi incontrollabili? In linea teorica no, essendo semmai configurabile il risarcimento del danno ex art. 2047 c.c., in capo al sorvegliante.
In realtà la soluzione non è così scontata; nel caso di specie la malattia è acclarata ma il carattere effimero di tale sindrome, caratterizzata da improvvisi e fugaci atti inconsulti, viene volutamente occultato.
Dato che «la condotta dell’imputato era finalizzata a ricercare un approccio con la ragazza, tanto che la medesima era stata seguita per un certo periodo di tempo», è giocoforza ritenere non sussistente il nesso di causalità tra malattia e l’evento dannoso.
Pur non configurandosi un vero e proprio caso di simulazione, come quello di Edward Norton nel film Schegge di paura, il giudice non può che rigettare il ricorso, non essendo configurabile la millantata incapacità di intendere e di volere al momento dell’atto.

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Michel Simion

Dottore in Giurisprudenza, Università degli Studi di Verona. Tesi in diritto costituzionale giapponese, appassionato di letteratura asiatica.

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