CivileDiritto della privacy

La pubblicazione di Sentenze e Provvedimenti: i problemi attuativi

Ogni giorno vediamo giornali e riviste online pubblicare sentenze di merito e di legittimità, non solo indicando l’esposizione dei fatti e l’argomentazione alla base del sinallagma logico-giuridico a chiusura di un procedimento, ma anche citando le parti dello stesso.

Lo stesso garante della privacy nella pubblicazione dei propri provvedimenti indica in chiaro i nomi delle parti. Emblematico su tutti il caso Costeja-Gonzales, dove un soggetto agiva per veder riconosciuto il diritto all’oblio in suo favore, fissando invece la propria vicenda storica indelebilmente in ogni raccolta giurisprudenziale.

Perché questo può accadere?

Il Concetto di “Interessato” nel Codice della Privacy

Più volte abbia chiarito cosa si intenda per “Interessato”, sul punto vi rimandiamo anche al nostro Podcast, in cui abbiamo trattato in modo approfondito tutti i soggetti del trattamento.

In particolare qui preme ricordare come l’art. 4 del Codice della Privacy, rubricato “Definizioni”, indichi l’interessato come:
«la persona fisica cui si riferiscono i dati personali».

Attenzione, si parla unicamente di persona fisica, escludendo de facto le persone giuridiche. Ciò alla luce della modifica apportata con il decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, con cui si è variata la precedente formulazione che recitava «la persona fisica, la persona giuridica, l’ente o l’associazione, cui si riferiscono i dati personali»

Ciò è di particolare rilevanza in quanto le società sembrerebbero non più tutelate dalla normativa in materia di trattamento dei dati personali, con le conseguenze che dopo vedremo.

La disciplina applicabile ai provvedimenti giuridici

Il Codice della Privacy recita, all’Art. 51:

Art. 51. Principi generali

1. Fermo restando quanto previsto dalle disposizioni processuali concernenti la visione e il rilascio di estratti e di copie di atti e documenti, i dati identificativi delle questioni pendenti dinanzi all’autorità giudiziaria di ogni ordine e grado sono resi accessibili a chi vi abbia interesse anche mediante reti di comunicazione elettronica, ivi compreso il sito istituzionale della medesima autorità nella rete Internet.

2. Le sentenze e le altre decisioni dell’autorità giudiziaria di ogni ordinee grado depositate in cancelleria o segreteria sono rese accessibili anche attraverso il sistema informativo e il sito istituzionale della medesima autorità nella rete Internet, osservando le cautele previste dal presente capo.

La norma è divisa in due commi.

Le questioni pendenti dinnanzi all’autorità giudiziaria

Il primo parla di questioni pendenti, con tale termine comprendendo ogni questione che non sia ancora giunta a conclusione (con sentenza, ordinanza, o altro provvedimento giudiziario).

Infatti si parla di rilascio di estratti e compie di atti e documenti, con ciò ricomprendento ogni scritto di causa, come ad esempio atto di citazione, comparse di costituzione, ed i documenti allegati.

Tali documenti sono accessibili unicamente da chi ne abbia interesse, in quanto essendo documenti di causa è necessario che non vi sia diffusione degli stessi. Ciò anche per una questione di opportunità, in quanto l’eccessiva diffusione dei documenti di causa potrebbe portare ad un crescita del cosiddetto “processo mediatico” che spesso si crea attorno ad una questione di cronaca, ma potrebbe altresì portare nelle mani di soggetti non autorizzati informazioni e documenti non prettamente necessari ai fini di cronaca e che potrebbero tra l’altro contenere informazioni strettamente riservate.

Il libero accesso ai fascicoli sarebbe infatti strutturalmente problematico, oltre che dannoso per ognuno dei soggetti in causa, perché porterebbe a facili distorsioni della realtà, fonte di possibile alterazione della ricostruzione dell’organo giudicante che dovrebbe essere il più possibile imparziale nei confronti della questione.

Le sentenze e decisioni a chiusura del procedimento

Il secondo comma invece parla più propriamente di sentenze e decisioni con ciò soffermandosi su provvedimenti conclusivi di una fase giudiziaria o amministrativa, ed in ogni caso su provvedimenti di un’Autorità Giudiziaria.

I concetti di Comunicazione e di Diffusione

La norma precisamente parla di “rese accessibili” anche mediante strumenti informatici. Il problema che ci poniamo in questo momento è individuare l’ampiezza del pubblico che si vuole ricomprendere tra quelli aventi “accesso” a tali decisioni.

Non si parla di “comunicazione” o “diffusione”, ma parla solamente di “accessibilità”, con ciò non identificando in particolare la vastità dei destinatari e dei soggetti che materialmente potranno prendere visione delle sentenze e dei provvedimenti.

Mentre con il termine comunicazione intendiamo infatti «il dare conoscenza dei dati personali a uno o più soggetti determinati diversi dall’interessato, dal rappresentante del titolare nel territorio dello Stato, dal responsabile e dagli incaricati, in qualunque forma, anche mediante la loro messa a disposizione o consultazione» con il termine diffusione intendiamo «il dare conoscenza dei dati personali a soggetti indeterminati, in qualunque forma, anche mediante la loro messa a disposizione o consultazione».

Comunicazione e diffusione, pertanto, si distinguono tra loro per il nucleo di soggetti con cui l’informazione viene – anche potenzialmente – condivisa, in relazione alla loro possibilità di essere individuati all’atto del riferimento dell’informazione.
Detto in altri termini, la libera condivisione su internet appare essere “Diffusione”, l’invio di una mail invece rientra nel campo della “Comunicazione”.

La libera diffusione dei provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria

Richiamiamo ora una seconda disposizione del Codice della Privacy, ovvero l’articolo 52, rubricato “Dati identificativi degli interessati”.

In paricolare tale norma prevede dapprima un diritto da parte dell’interessato di chiedere, mediante apposita e specifica istanza, per motivi legittimi e prima della definizione del grado di giudizio, di far apporre da parte della cancelleria sull’originale della sentenza un’annotazione volta a precludere l’indicazione delle sue generalità e degli altri dati identificativi.

A detta anonimizzazione può provvedere anche d’ufficio, quindi in assenza di espressa volontà delle parti, l’Autorità che adotta la sentenza o il provvedimento.

Qui infatti la norma espressamente indica che «In caso di diffusione anche da parte di terzi di sentenze o di altri provvedimenti recanti l’annotazione di cui al comma 2, o delle relative massime giuridiche, è omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi dell’interessato».

Si parla infatti di Difffusione, comprendendo pertanto ogni atto volto a far conoscere il provvedimento o la sentenza ad un pubblico vasto ed indeterminato.

Esistono tuttavia dei casi in cui l’anonimizzazione è sempre necessaria, in quanto si tratta di materie in cui la pubblicazione della Sentenza o del Provvedimento rischierebbe di ledere oltremodo i diritti e la moralità dei soggetti riportati.

Dovranno essere sempre anonimizzati i provvedimenti da cui possa desumersi:

– L’identità dei minori;
– Delle parti nei procedimenti in materia di rapporti di famiglia;
– L’identità delle persone coinvolte in procedimenti relative allo stato delle persone (Amministrazioni di Sostegno, Interdizioni, etc.);
– Nei casi previsti dall’art. 734 bis (reati a sfondo sessuale e prostituzione);

In particolare va considerato che nel caso di specifica istanza fatta dalla parte che richieda l’anonimizzazione per motivi legittimi, l’omissione dei dati identificativi sarà effettuata solo nei confronti della parte che l’abbia richiesta, mentre, negli altri ed ulteriori casi in cui è la legge a prescrivere l’anonimizzazione e l’omissione dei dati personali, questa andrà a favore di ognuna delle parti.

Ulteriormente va considerato che si parla di “Interessato”, con ogni conseguenza derivante dalla modifica normativa sopra citata, in quanto non sarà necessario omettere le denominazioni societarie, non più rientranti nella tutela prevista, ma solo i nomi degli eventuali rappresentanti. Con il paradossale risultato che, laddove la società abbia nella propria denominazione il cognome del socio fondatore, questo non verrà reso anonimo o omesso.

Ciò detto, la disposizione di cui all’art. 52 recita, all’ultimo comma, in numero 7: «ammessa la diffusione in ogni forma del contenuto anche integrale di sentenze e di altri provvedimenti giurisdizionali.»

Il Codice dell’Amministrazione Digitale

Anche il Codice dell’Amministrazione Digitale, al proprio art. 56, prevede che «I dati identificativi delle questioni pendenti dinanzi al giudice amministrativo e contabile sono resi accessibili a chi vi abbia interesse mediante pubblicazione sul sistema informativo interno e sul sito istituzionale della rete Internet delle autorità emananti, il tutto «osservando le cautele previste dalla normativa in materia di tutela dei dati personali.»

Il Richiamo, infatti, è quello al Codice della Privacy ed alle disposizioni sopra individuate.

Le linee guida pubblicate dal Garante

Dobbiamo pensare che nelle sentenze non sono indicati solo il nome ed i dati identificativi del soggetto, ma potrebbero essere inseriti anche moltissime ulteriori informazioni, anche relative a dati sensibili e dati giudiziari, rendendo di fatto estremamente rischiosa la libera pubblicazione dei provvedimenti.

Il Garante della Privacy, preso atto dell’importanza della materia, ha provveduto, con proprio documento del 2 dicembre 2010, a definire le «Linee guida in materia di trattamento di dati personali nella riproduzione di provvedimenti giurisdizionali per finalità di informazione giuridica», con cui individua concrete modalità di applicazione della normativa.

In particolare secondo il Garante «la diffusione dei provvedimenti giurisdizionali costituisce fonte preziosa per lo studio e l’accrescimento della cultura giuridica e strumento indispensabile di controllo da parte dei cittadini dell’esercizio del potere giurisdizionale» e per tale motivo «il Codice favorisce la più ampia diffusione delle sentenze e degli altri provvedimenti dell’Autorità giudiziaria per i quali sia stato assolto, mediante il deposito nella cancellerie e nelle segreterie giudiziarie, l’onere della pubblicazione previsto dalle disposizioni dei codici di procedura civile e penale.»

Ciò, avuto riguardo alle specifiche disposizioni in materia, sopra riportate.

Quali le conseguenze di una banca dati pubblicamente accessibile?

Abbiamo chiarito che le sentenze ed i provvedimenti possono essere liberamente resi accessibili e diffusi, eccetto nei casi espressamente previsti o laddove il soggetto decida volontariamente di chiedere l’anonimizzazione, nel qual caso potranno essere diffusi entro determinati limiti.

Fino ad oggi infatti siamo a conoscenza di molteplici banche di dati, realizzate da enti privati, che hanno reso accessibili le sentenze a professionisti del settore (Iusexplorer, Pluris, Iuris Data, ed altre).

In tali casi tuttavia, per quanto le banche dati fossero pubblicamente accessibili,il costo per accedervi (anche di qualche migliaio di euro) faceva in modo che solo professionisti del settore (Avvocati e Giudici) avessero interesse ad utilizzarle a fini di ricerca giuridica ed estrarne i dati. Detti professionisti sono oltretutto soggetti ai loro codici deontologici ed a caratteristiche di professionalità che gli impongono di trattare i dati secondo generali principi correttezza e buona fede, nonché a quanto previsto dai vari provvedimenti del Garante della Privacy in materia.

Il problema si è posto recentemente quando la Corte di Cassazione ha deciso di rendere pubblicamente accessibili le sentenze e gli altri provvedimenti emanati.

In tal caso, infatti, un innumerevole numero di provvedimenti può essere visto e scaricato liberamente, senza necessità di utilizzare credenziali, solo effettuando una libera ricerca, anche utilizzando come termini i nomi delle parti.

Gli interventi del Garante della Privacy

Il Garante è già intervenuto varie volte sull’argomento, mai in senso contrario alla pratica messa in atto, e sempre parlando di indubbio valore sociale.

Un’iniziativa di indubbio rilievo e che va sicuramente apprezzata nella finalità – cui è preordinata – di rendere accessibile a ciascun cittadino un patrimonio giuridico così prezioso quale, appunto, quello costituito dalle pronunce di legittimità.
I dubbi espressi riguardano proprio le modalità di diffusione. Rendere la banca dati liberamente accessibile ad un pubblico vasto, non più formato di soli professionisti, ma dall’intera rete internet, può comportare serie problematiche.

Ciò che il Garante sottolinea è la necessità di evitare un nuovo caso “Google Spain”.

Il Garante della Privacy parte dal concetto che la normativa di settore permette la pubblicazione delle Sentenze, ma ciò potrebbe arrecare danno alle persone coinvolte, sopratutto laddove i Provvedimenti fossero liberamente indicizzabili dai motori di ricerca:

«la Corte di giustizia europea, con la nota sentenza sul diritto all’oblio, ha invece sottolineato i rischi connessi all’indicizzazione di dati personali da parte dei motori di ricerca, sancendo così il diritto di ciascuno a richiedere la sottrazione della notizia quando non sia più attuale, pur mantenendola nel “sito-sorgente”. Questa soluzione consente, infatti, di coniugare storia individuale e memoria collettiva, diritto di cronaca ed esigenza di ciascuno a non vedere la propria intera esistenza ridotta a un istante o un dettaglio, a volte anche fuorviante o poco rappresentativo

In pratica il problema, come specificato da Antonello Soro è l’indicizzazione fatta dai motori di ricerca (Google, Bing, etc.), non la pubblicazione in sé.

Resa pertanto una corretta interpretazione del dettato normativo, oltre che la trasposizione dello stesso nella pubblicazione dei provvedimenti, l’inserire gli stessi in una banca dati pubblicamente accessibile non sarebbe di per sé illecito, e non comporterebbe sanzioni, ma al più potrebbe portare all’esercizio del diritto all’oblio.

I diritti di cui all’art. 7 del Codice della Privacy ed i Provvedimenti Giudiziari

Conosciamo tutti i diritti di cui all’Art. 7 del Codice della Privacy, ne abbiamo parlato più volte, e siamo a conoscenza di quanto previsto dal comma 3, vale a dire del diritto da parte dell’interessato di ottenere, tra l’altro:

1. l’aggiornamento, la rettificazione ovvero, quando vi ha interesse, l’integrazione dei dati;
2. la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati;

Il problema di fondo dell’applicazione della suddetta disposizione è che in questo caso siamo in presenza di provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria, vale a dire del dettato di un Giudice, che non può essere rettificato o modificato, se non con appositi strumenti.

Gli strumenti per modificare un Provvedimento sono espressamente previsti dai Codici di Procedura Civile e Penale, ed ecco che per modificare una sentenza di merito necessitiamo, ad esempio, di un procedimento di Appello o del Ricorso per Cassazione.

Un soggetto non può, in forza dell’art. 7 del Codice della Privacy, chiedere la rettifica o l’aggiornamento di un Provvedimento dell’Autorità Giudiziaria, così come non potrà chiedere il blocco dei dati trattati in violazione di disposizioni di legge.

Potrà invece chiedere la trasformazione in forma anonima dei provvedimenti.

Qui tuttavia si pone un contrasto tra due disposizioni normative, in quanto la resa in forma anonima dei provvedimenti è prevista, come detto, dall’art. 52 del Codice della Privacy, va richiesta prima dell’emissione della definizione del giudizio e viene disposta dall’Autorità Giudiziaria con proprio decreto.

Rispetto a quali soggetti, dunque, può essere esercitato il diritto di cui all’art. 7 del Codice della Privacy. Il Cancelliere, infatti, deve adempiere l’ordine del Giudice, di cui all’art. 52, ma deve sottostare alla richiesta di cui all’art. 7. Il gestore della banca dati liberamente accessibile deve sottostare alle richieste dell’interessato ai sensi del citato articolo 7.

Va considerato oltretutto che lo stesso Garante della Privacy, nelle proprie linee guida sopra richiamate ha voluto precisare che l’anonimizzazione prevista dall’art. 52 del Codice della Privacy non ha un effetto assoluto sulla sentenza, ma vale solo nei casi di diffusione.

L’omissione dei dati dell’interessato non può avvenire per qualsiasi utilizzo delle copie del provvedimento, ma solo ove questo venga riprodotto in qualsiasi forma (cartacea, informatica o su altro supporto):

– per esclusive finalità di informazione giuridica [1];
– su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica.

La procedura prevista dall’art. 52 è quindi finalizzata a ottenere l’omissione dei dati solo in caso di riproduzione del provvedimento per l’indicata specifica finalità.

Il problema interpretativo si riferisce, quindi, a quel caso in cui sia stata diffusa, mediante acclusione in una banca dati, di una sentenza contenente dati personali, per cui il soggetto, per sua omissione o per omissione del proprio procuratore, non abbia fatto istanza di anonimizzazione ex art. 52 del Codice della Privacy.

Considerata l’inapplicabilità ex post, successivamente all’emissione del provvedimento, del citato articolo, una possibile applicazione dell’Articolo 7 sarebbe l’unico strumento di tutela per gli interessati.

A detta dello scrivente l’applicabilità dell’Articolo 7 si scontra con due ordini di problemi, oltre a quelli già citati e relativi all’impossibilità di modificare, rettificare o aggiornare i Provvedimenti giudiziari.

Da un primo punto di vista infatti si deve valutare la possibilità di chiedere l’applicazione dell’articolo 7 in relazione alle copie dei provvedimenti depositati presso le cancellerie e le segreterie delle Autorità Giudiziarie.

In tal caso appare evidente l’inapplicabilità di tale previsione, in quanto in contrasto con le esigenze di giustizia e/o processuali, oltre al fatto che implicherebbe l’intervento diretto sul provvedimento, cosa inattuabile se non con opportuni strumenti giuridici.

Secondo un diverso punto di vista, invece, l’applicabilità dell’articolo 7 può riguardare la successiva pubblicazione dei provvedimenti nelle banche dati di pubblico accesso.

In quel caso, infatti, la richiesta di aggiornamento dei dati non sarà più rivolta direttamente alla cancelleria dell’Autorità Giudiziaria, o alla sua Cancelleria, ma al soggetto che ha provveduto alla pubblicazione ed alla diffusione.

Anche in tal caso la modifica del Provvedimento apparirebbe inattuabile, poiché comporterebbe una distorsione tra la reale copia del provvedimento e quanto diffuso. Tuttavia potrebbe ritenersi applicabile in primo luogo l’anonimizzazione del Provvedimento, con la rimozione dei dati personali dell’interessato. In secondo luogo potrebbe renderesi altresì possibile l’aggiornamento dei dati, inteso nella possibilità di un soggetto di veder inserito a margine i dati relativi a diversi ed ulteriori procedimenti o fasi processuali (Pensiamo ad esempio al successivo Giudizio di Legittimità).

Un giudizio di opportunità

Il Garante, all’epoca della pubblicazione della banca dati da parte della Suprema Corte disse:

“La pubblicazione in rete cambia profondamente l’informazione – anche quella giuridica – nel significato, nel fine, nel valore, ma anche nei rischi. La pubblicazione sul web di dati preziosi quali quelli ricavabili da una sentenza e dai principi che vi sono affermati è indubbiamente più “democratica” perché raggiunge (potenzialmente) tutti i cittadini, mettendo a disposizione un patrimonio informativo importante, anche a coloro i quali, probabilmente, non si sarebbero mai avvicinati a una rivista giuridica. Ma questa facilità nell’accesso – che è una straordinaria risorsa per i singoli e le istituzioni – è anche, paradossalmente, la più grande fonte di rischio delle pubblicazioni on-line, suscettibili di indicizzazione, riproduzione decontestualizzata, alterazione, finanche manipolazione e per questo in alcun modo assimilabili alle pubblicazioni cartacee.”

Proprio in funzione di tale “democraticità”, sebbene non necessario, il garante chiede agli editori ed ai gestori delle banche dati di porsi nell’ottica degli interessati, interrogandosi:

Ma ciò vuol dire che chiunque ha, anche, il diritto di conoscere a chi appartiene tutto lo spaccato di vita che emerge, in ogni dettaglio, da una sentenza, civile, penale o amministrativa che sia?

La pubblicità della sentenza equivale a mettere a nudo, con nomi e cognomi, le ragioni di un divorzio; l’infermità che determini una pronuncia d’interdizione; il danno esistenziale subito dalla vittima di un grave reato; il desiderio di una morte “dignitosa” che spinga il paziente in fase terminale a rifiutare le cure salva-vita; l’asperità di un conflitto che induca il lavoratore a convenire in giudizio il suo datore di lavoro? È davvero indispensabile – per consentire il doveroso controllo su di un potere esercitato, appunto, nel nome del popolo – identificare i protagonisti di vicende così profondamente umane, perché personali e privatissime?

E ai fini della conoscenza dei principi giuridici affermati dalla giurisprudenza, è necessario dare un nome alle parti, ai testimoni, a chiunque sia anche solo incidentalmente citato in sentenza. Siamo stati sinora abituati – vero, anche se non è detto che sia un bene – a identificare le sentenze con il nome delle parti, avendone letto massime e commenti su riviste giuridiche. Ma, ed è questo il punto, la divulgazione “libera” sul web, con accesso indiscriminato perché privo di ogni filtro è davvero identica alla pubblicazione della stessa sentenza su di una rivista giuridica cartacea?

Una questione di “indicizzazione”

Il rischio che può conseguire è quello della libera indicizzazione da parte di Google.
Se infatti pensiamo alle banche dati già esistenti, come detto, il problema sembrava porsi in misura molto ridotta, visto il costo di accesso alle stesse e visto che i soggetti che hanno interesse ad accedervi sono per lo più professionisti, assoggettati a codici deontologici e comunque per motivi di informazione giuridica.

Aprire una banca dati al pubblico, liberamente indicizzabile dai motori di ricerca, avrebbe conseguenze devastanti per la riservatezza, apparendo addirittura in contrasto con lo stesso principio di informazione giuridica, in quanto la decontestualizzazione che ne seguirebbe sarebbe tale da estraniarle da ogni contesto e renderle sullo stesso piano di articoli di cronaca, ricette di cucina e video su Youtube.

Proprio il concetto di linking, il modo in cui funziona ed opera, ed il modo di allineare ogni risultato su un’unica pagina, attraverso la forte decontestualizzazione, appare un grosso elemento di criticità che potrebbe venire incontro a tale scelta.
Per tale motivo appare evidente che lasciare la possibilità ai motori di ricerca di prendere tutti i provvedimenti ed inserirli tra i risultati della SERP sarebbe rischioso.

Il consiglio sarebbe quindi di non lasciare la libera indicizzazione, attesa comunque la libera pubblicazione delle sentenze nei limiti previsti, e nell’ottica di una possibile tutela successiva attraverso l’esercizio del Diritto all’Oblio.

Da Dirittiweb.it

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Andrea Rinaldo

Praticante abilitato al patrocinio. Laureato in Giurisprudenza ed appassionato di informatica. Mi occupo di propriet? intellettuale, industriale, privacy ed ICT. Autore di Dirittiweb.it

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