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Corte Europa e Xylella: l’Italia è venuta meno ad alcuni obblighi

Il caso riguardante il batterio Xylella Fastidiosa non si è ancora esaurito. Con sentenza del 5 settembre 2019, la Corte di giustizia europea ha dichiarato che l’Italia non ha rispettato gli «obblighi ad essa incombenti in forza della decisione della Commissione». Tali obblighi erano sostanzialmente due:

  1. rimuovere immediatamente tutte le piante infette in una fascia di 20 km dalla zona contaminata;
  2. garantire il monitoraggio della presenza del batterio all’interno della zona di contenimento.

Il caso

La vicenda ha inizio nel 2013, quando per la prima volta in Unione Europea viene data rilevanza alla presenza del batterio Xylella sulle piante di ulivo in Puglia. La diffusione, come constatato, dipende da un particolare insetto in grado di spostarsi di 100 metri in 12 giorni, e così capace di fare da vettore per la diffusione.

La decisione della Commissione europea (Decisione di esecuzione UE 2015/789, 18 maggio 2015) arriva nel 2015: si imponevano agli Stati membri misure di eradicazione consistenti nel «rimuovere immediatamente non solo le piante infette, ma anche tutte le piante ospiti […] situate in un raggio di 100 metri attorno a quelle contagiate, e ciò non solo nella zona infetta ma anche nella zona limitrofa, detta “cuscinetto”». Tali misure sono state poi dichiarate legittime, in base al diritto dell’Unione, nel 2016.

Nel 2016, però, la Xylella si è già diffusa in alcune parti della regione, rendendo impossibile la sua eradicazione. In questi termini, la Commissione europea modifica la sua decisione passando dall’eradicazione al contenimento del batterio. Le misure previste prevedono un monitoraggio costante del territorio interessato e l’abbattimento immediato delle sole piante infette presenti in un raggio di 20 km a partire dal bordo della zona infetta (più precisamente, nelle province di Brindisi e Taranto).

 Passano due anni e, visti gli inadempimenti italiani, la Commissione presenta un ricorso ai danni dell’Italia. Il motivo è il seguente:  si ritiene che «l’Italia non si sia conformata alla sua richiesta di intervenire immediatamente per impedire la diffusione della Xylella».

Il mancato abbattimento

Il primo punto contestato dalla Corte europea è il mancato e immediato abbattimento delle piante infette nell’area di 20 km a partire dalla zona infetta. Non si contesta l’Italia ha fatto, ovvero la rimozione delle piante molti mesi dopo la decisione, piuttosto la valenza del termine ‘immediatamente’. Non vale a nulla giustificarsi tirando in ballo vari problemi di natura burocratica e giuridica, in quanto la situazione interna agli Stati membri non giustifica «l’inosservanza degli obblighi e dei termini risultanti dal diritto dell’Unione». In questo senso, l’Italia avrebbe dovuto «adottare misure nazionali di emergenza che prevedessero procedure più rapide per superare tali ostacoli».

Il monitoraggio fallace

In secondo luogo, la Corte specifica che l’Italia non ha garantito gli opportuni monitoraggi annuali necessari nella zona di contenimento. L’ispezione, in realtà, è stata eseguita, ma in tempi che la Commissione ritiene inopportuni: da agosto 2016 a maggio 2017, un periodo durante il quale le piante possono non presentare le foglie utili al rilevamento della presenza del batterio e, soprattutto, comprendente la primavera dell’anno successivo, stagione i volo dell’insetto portatore della Xylella.

In conclusione, è giusto riportare che la Corte ha respinto la domanda tramite la quale la Commissione era diretta a «far constatare un costante e generale inadempimento da parte dell’Italia dell’obbligo di impedire la diffusione della Xylella». Come anche previsto nella direttiva 2009/4 (Misure di protezione contro l’introduzione nella Comunità di organismi nocivi e vegetali o ai prodotti vegetali e contro la loro diffusione) non è venuto meno l’obbligo di «adottare tutte le misure necessarie per impedire la diffusione del batterio», come anche «l’obbligo di leale cooperazione sancito dall’articolo 4 del Trattato sull’Unione Europea».

Per saperne di più, leggi la sentenza integrale.

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