CivileDiritto dei consumatori

Contratti negoziati fuori dai locali commerciali

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Contratti negoziati fuori dai locali commerciali. Area pubblica o aperta al pubblico: la Suprema Corte chiarisce i limiti

Cassazione Civile, sez. VI, Sentenza n. 22863 del 28 ottobre 2014

I contratti conclusi in luogo pubblico o aperto al pubblico al di fuori della sede commerciale del venditore sono soggetti all’applicazione del D. Lgs. 15.01.1992, n. 50, il cui art. 5 dispone che tali pattuizioni debbano contenere l’informazione – per la quale è richiesta la forma scritta ad substantiam – a tutela del consumatore circa il suo diritto di recedere dal contratto entro il termine di 7 giorni. L’ampiezza dell’espressione «in luogo pubblico o aperto al pubblico al di fuori della sede commerciale del venditore» ha più volte ingenerato difficoltà interpretative, dal momento che spesso i venditori dislocano la propria attività al di fuori dei locali commerciali, all’interno di stands fieristici ove il privato accede con l’evidente volontà di acquisire informazioni e/o acquistare prodotti. Un contratto sottoscritto in tali circostanze può essere soggetto alla tutela di cui al D. Lgs. N. 50/1992 per il consumatore?

La Suprema Corte, con una decisione interpretativa delle disposizioni di cui al D. Lgs. 15.01.1992, n. 50, ha chiarito che: «Il testo letterale delle norme di cui al D.Lgs. 15 gennaio 1992, n. 50, che ha dato attuazione alla Direttiva n. 85/577/CEE in materia di contratti negoziati fuori dei locali commerciali, deve essere interpretato in coerenza con le finalità perseguite dalla Direttiva. Ne consegue che la disposizione di cui all’art. 1, comma 1, lett. c) del Decreto medesimo, là dove include fra le fattispecie meritevoli di tutela i contratti o le note d’ordine che il consumatore sottoscriva in area, pubblica o aperta al pubblico – fattispecie che fra l’altro non è inclusa fra quelle elencate dalla Direttiva – deve essere interpretata nel senso che non qualunque luogo pubblico od aperto al pubblico giustifica la peculiare tutela di cui alla normativa, bensì solo quei luoghi pubblici o aperti al pubblico che non siano di per sé destinati alle negoziazioni, ed ai quali il consumatore acceda per finalità estranee a quella di comprare, di vendere o di contrattare, si che l’eventuale iniziativa del professionista lo colga di sorpresa e impreparato alla difesa dei suoi interessi, (cfr. terzo e quarto Considerando della Direttiva).

Non si può dire, quindi, che le negoziazioni che si svolgano nell’ambito degli stands allestiti dagli operatori all’interno di una fiera o di un salone di esposizione, siano in linea di principio assoggettabili alle disposizioni del D.Lgs. n. 50 del 1992 cit., art. 1, comma 1, pur se si tratti di luoghi ai quali il pubblico possa liberamente accedere. In questi casi da un lato l’attività imprenditoriale non può propriamente ritenersi esterna alla sede dell’impresa, trattandosi di attività solo temporaneamente dislocata in luogo diverso dalla sede legale e dall’ordinaria sede commerciale. «Dall’altro lato non si può in linea di principio affermare che il consumatore che acceda di sua iniziativa allo stand fieristico ed ivi concluda un affare si possa considerare in situazione tale da venire sorpreso e colto impreparato dalle offerte commerciali in cui si imbatte, dato che normalmente vi si reca proprio per conoscere e valutare tali offerte».

[/fusion_text] SCARICA IL PDF Di Francesco Cerotto, Avvocato del Foro di Perugia e Grafologo Giudiziario

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Francesco Cerotto

Avvocato in Perugia e Grafologo giudiziario. Referente Regionale Umbria dell?A.GRA.GI. (Associazione Grafologi Giudiziari); Iscritto all?albo dei CTU (Grafologo - Grafologia Peritale) presso il Tribunale di Perugia, svolge la professione in qualit? di CTU o CTP presso tutti i Tribunali del territorio nazionale.

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