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Commento a sentenza: Tribunale di Gorizia, n. 2/2018

L’asbesto, più comunemente noto come “amianto” (in greco amiantos significa immacolato, incorruttibile, mentre asbesto significa perpetuo, inestinguibile), è un composto di minerali altamente versatile e altrettanto nocivo per la salute, molto utilizzato negli anni 50, 60 e 70 nel settore edilizio e delle costruzioni.
Le polveri di amianto, sostanza cancerogena, sono per loro natura incolori, inodori, insapori, invisibili, volatili e perenni e si possono depositare ad ampio raggio sia nei luoghi aperti che in quelli chiusi privi di adeguati impianti di ricambio d’aria, misure di smaltimento o abbattimento delle sostanze sottili; per tali ragioni in molti Paesi ne è stata vietata l’estrazione, l’importazione e l’utilizzo (in Italia è stato bandito con la L. n. 257/1992).
La pericolosità insita in tale sostanza era già nota a partire dagli anni 20, quando si era cominciato a parlare di patologia tumorale da amianto, a cui avevano fatto seguito alcuni studi epidemiologici prodotti tra gli anni 50 e 60 che produssero un grande eco nei Paesi industrializzati.
Pertanto è assodato già da moltissimo tempo che l’amianto possa provocare il cancro negli esseri umani (in particolare, tumore ai polmoni e mesotelioma) oltre all’asbestosi, tipica malattia da inalazione di fibre di amianto (mortale e gravemente invalidante, inserita nelle malattie professionali dalla L. n. 455/1943), che peraltro si possono sviluppare nell’organismo anche a notevole distanza di tempo dall’esposizione.
Gli effetti drammatici sulla salute dei lavoratori che si trovarono a diretto contatto con l’amianto sono purtroppo noti a tutti e tali tristi vicende furono e sono tuttora oggetto di numerose pronunce giurisprudenziali.
La giurisprudenza nel tempo, nel riconoscere giustizia ai lavoratori vittime da amianto, ha affermato in materia di responsabilità del datore da esposizione dei propri dipendenti che la questione della mancata conoscenza degli effetti letali dell’amianto anche a basse esposizioni è del tutto irrilevante ai fini della responsabilità del datore; invero le misure protettive da adottare per evitare il mesotelioma sarebbero state quelle già previste dall’ordinamento per prevenire l’asbestosi, dal momento che in entrambi i casi le misure sarebbero state prescritte per tutelare il medesimo bene salute del lavoratore esposto.
La responsabilità del datore di lavoro pertanto sussiste per il solo mancato rispetto delle norme dettate dal legislatore in materia di salute e sicurezza sul lavoro se da tale omissione derivi una qualunque conseguenza pregiudizievole permanente per un dipendente.
Sulla base di tale principio il Tribunale di Gorizia, in funzione di Giudice del Lavoro, nella sentenza n. 2/2018 ha accolto le pretese risarcitorie avanzate iure hereditatis e iure proprio dalla parte ricorrente e collegate alla patologia letale che ha colpito un loro caro, lavoratore deceduto a causa di mesotelioma epitelioide.
Il Giudice in motivazione ha affermato che se è consolidata la grande nocività per la salute dell’inalazione di amianto, tale inalazione «è reputata conseguenza diretta, potenzialmente mortale e comunque sicuramente produttrice di una significativa abbreviazione della vita a causa delle patologie respiratorie e cardiocircolatorie a essa correlate, allora la mancata eliminazione – o riduzione significativa – delle fonti di produzione ha comportato il rischio del tutto prevedibile dell’insorgere di una malattia gravemente lesiva della salute dei lavoratori; il fatto che solo successivamente siano state conosciute altre conseguenze di particolare lesività, non può escludere il rapporto di causalità con l’evento e il requisito della prevedibilità dell’evento medesimo; non c’è ragione di escluderlo, nello specifico, perché le misure di prevenzione da adottare per evitare l’insorgenza della malattia conosciuta erano identiche a quelle richieste per eliminare o ridurre gli altri rischi, anche non conosciuti. Ne deriva, sotto il profilo obiettivo, che ben può affermarsi che la mancata adozione di “quelle” misure ha cagionato l’evento e, sotto il profilo soggettivo, che l’evento era prevedibile perché erano conosciute conseguenze potenzialmente letali della mancata adozione di quelle misure».

Dott.ssa Veronica Foroni

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Veronica Foroni

Laureata in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Verona, tesi "Il consenso informato ai trattamenti sanitari nei soggetti incapaci tra esigenze di protezione della salute e tutela dell'autodeterminazione", relatore Prof. Riccardo Omodei Salè (110/110). Frequento la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali, Università degli Studi di Trento e Verona. Praticante avvocato e tirocinante presso Tribunale di Verona - III sez. civile (magistrato referente dott. Massimo Vaccari). Appassionata di biodiritto e bioetica, mi interesso dei temi di diritto civile relativi a persone e famiglia (in particolare della tutela dei soggetti incapaci).

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