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Assalto al bunker e reato impossibile

Da tempo ci si domanda il senso e l’applicazione pratica del reato impossibile.
Ci ha pensato un giovanissimo colombiano a dargli un senso; il ragazzo ha pensato bene, la mattina di Pasqua, di scavalcare la recinzione piena di spuntoni taglienti, da solo, e di penetrare nella sede della Banca d’Italia per trafugare l’oro custodito nel bunker.
Il PM, dopo aver valutato i fatti, non ha convalidato l’arresto per tentativo di furto, configurando il fatto come reato impossibile. Il motivo è semplice: «non è pensabile tirare giù un portone impenetrabile alle armi con mani e piedi».
A norma dell’art. 49 comma 2 c.p. il reato impossibile si configura quando «per l’inidoneità dell’azione o per l’esistenza dell’oggetto di essa è impossibile l’evento dannoso o pericoloso».
Questa tipologia di reato è definita anche quasi-reato, potendo il giudice disporre una misura di sicurezza senza che vi sia un reato, stante la pericolosità sociale del soggetto in questione.
Proprio la configurabilità della misura di sicurezza pone il discrimine tra il reato impossibile e il tentativo inidoneo, applicabile, come detto, solo nel primo caso.
Non, però, per tutta la dottrina: per i dissidenti il reato impossibile è un doppione del tentativo inidoneo. Si deve parlare di svista legislativa o vi è comunque una ratio? Anche qui ci si divide: per alcuni il reato impossibile è sic et sempliciter un doppione, per altri consente di applicare una misura di sicurezza al tentativo inidoneo, soluzione altrimenti impraticabile.
Accogliendo l’ipotesi della differenziazione, bisogna ora valutarne la reale portata:

  • per taluni il reato impossibile, parlando di reato, è applicabile anche alle contravvenzioni e non solo ai delitti, come il tentativo inidoneo;
  • per altri il reato impossibile afferisce all’inesistenza assoluta dell’oggetto, ossia la non presenza in natura, mentre il tentativo inidoneo all’inesistenza relativa, ossia la non presenza contingente.

La disputa sulla configurabilità del reato impossibile è ancora in corso ma il vero dilemma è se stringere la mano al giovane colombiano o se metterlo in un ospedale psichiatrico. O forse entrambe.
 

Fonte: corriere.it
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Michel Simion

Dottore in Giurisprudenza, Università degli Studi di Verona. Tesi in diritto costituzionale giapponese, appassionato di letteratura asiatica.

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