Sentenze

Tribunale Ordinario di Verona, Sez. I Civile – Sentenza 1456/2015 del 3.06.2015 (Dott.ssa Marzocca)

Vendita di cose immobile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di VERONA
PRIMA SEZIONE CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice unico dott. ssa Raffaella Marzocca ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. r.g. 13632/2012 promossa da

A. M. S., (c.f. ), con l’ADS avv. L. V. rappresentata e difesa dall’avv. A. F. , in virtù di mandato posto a margine dell’atto di citazione ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Verona, Via Diaz, n.24;

-ATTORE

contro

P. S., (c.f. ), contumace;

L. S., (c.f. ), rappresentata e difesa dall’avv. Z. A. T., in virtù di mandato posto a margine della comparsa di costituzione e risposta, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in LUNGADIGE MATTEOTTI 12 VERONA ;

-CONVENUTI

Avente ad oggetto: Vendita di cose immobili – Domanda di annullamento del contratto ex art. 428 c.c.All’udienza del 06/11/2014 le parti hanno precisato le seguenti:

CONCLUSIONI
Per Fattore: come da foglio allegato al verbale di udienza:
In via principale:

– accertata l’incapacità di intendere e di volere della signora A. M. S. al momento della stipula del contratto di vendita di nuda proprietà stipulato in data 28 dicembre 2004 innanzi al Notaio V. F. rep. n. 107.371, raccolta n. 10.475 e registrato a Soave il 13/01/2005, ed accertata altresì la malafede degli altri contraenti. L. S. e P. S., annullarsi ai sensi dell’art. 428, 2 comma, c.c. il contratto stesso ed ordinarsi al Conservatore dei Pubblici Registri Immobiliari di Verona di procedere alta relativa trascrizione della sentenza:

– condannarsi altresì la convenuta L. S. per responsabilità processuale aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c. per aver resistito in giudizio con malafede e colpa grave. In ogni caso :

– Spese e compensi di causa oltre rimborso forfettario IVA e CPA, interamente rifusi:

Per parte convenuta L. S.: come da foglio allegato al verbale di udienza:

Voglia l’ill.mo Tribunale di Verona, contrariis reiectis,

In via preliminare in rito: accertarsi e dichiararsi il difetto di legittimazione attiva dell’Avv. L. V. nella sua qualità di amministratore di sostegno della sig.ra A. M. S. e per l effetto dichiararsi l’inammissibilità delle domande giudiziali azionate dall’Avv. L. V. per conto di A. M. S..

Nel merito in via principale: rigettarsi la domanda di annullamento del contratto di vendita di nuda proprietà del 28/12/2004 per atto Notaio V. F. rep. n 107.371, Racc n. 10475, in quanto infondata in fatto ed in diritto.

In via riconvenzionale subordinata: 1) nella denegata ipotesi di accoglimento della domanda attorea condannarsi A. M. S. a restituire alla sig.ra L. S. il prezzo di vendita percepito risultante dal rogito notarile Notaio V. F. rep. n. 107.371, Racc. n 10475, pari ad € 30.140,00 oltre interessi legali dalla data di stipula al saldo effettivo.

2) accertarsi e condannarsi A. M. S. a rimborsare le spese sostenute da L. S. per la cura e l’assistenza della sorella nella misura che sarà determinata in corso di causa o liquidata in via di Giustizia.

Vittoria di spese, diritti ed onorari di causa.

In via istruttoria: si richiamano le istanze istruttorie formulate nella seconda memoria ex art. 183 comma VI c.p.c. depositata in data 11/06/2010 e si insiste per l ‘ammissione delle istanze non accolte ed in particolare si insiste affinché venga sentila personalmente la sig.ra A. M. S..

Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione ex art. 132 c.p.c.

A. M. S., in persona del suo amministratore di sostegno Avv. L. V., quest’ultima autorizzata a promuovere la presente causa dal competente Giudice Tutelare del Tribunale di Verona, sez. distaccata di Soave (decreto n. 3442/09, 41/08 ADS, n. 4322 cron. del 23.11.2009), conveniva in giudizio P. S. e L. S. (entrambi fratelli dell’attrice) chiedendo l’annullamento ai sensi dell’alt. 428, 2 comma, c.c. del contratto di vendita di nuda proprietà stipulato in data 28 dicembre 2004 innanzi al Notaio V. F. rep. n. 107.371, raccolta n. 10.475 e registrato a Soave il 13/01/2005, previo accertamento dell’incapacità di intendere e di volere di A. M. S. ai momento della stipula e della malafede degli altri contraenti, L. S. e P. S., con ordine al Conservatore dei Pubblici Registri Immobiliari di Verona di procedere alla relativa trascrizione della sentenza.Si costituiva in giudizio solo la convenuta L. S., la quale chiedeva, in via principale, il rigetto della domanda di annullamento del contratto di vendita di nuda proprietà e in via riconvenzionale subordinata, nell’ipotesi di accoglimento della domanda attorea, la restituzione del prezzo di vendita nonché, con ulteriore domanda, l’accertamento e la condanna al rimborso delle spese sostenute da L. S. per la cura e l’assistenza della sorella, nella misura determinata in corso di causa o liquidata in via di giustizia.

P. S. non si costituiva e pertanto ne veniva dichiarata la contumacia.

In corso di causa veniva svolta CTU medico psichiatrica al fine di accertare la capacità di intendere e volere della attrice A. M. S. e venivano escussi i testimoni ammessi.

Ritenuta la causa matura per la decisione le parti precisavano le conclusioni così come riportate in epigrafe e la causa trattenuta in decisione.

Ritiene questo giudice che la azione esercitata da parte attrice ai sensi dell’art. 428 c.c. debba accolta per le seguenti ragioni.

Preliminarmente si rileva come sia pacifica la legittimazione attiva della Amministratrice di sostegno dell’attrice che ha esercitato l’azione di impugnazione del contratto. Infatti è stata formulata rituale istanza al giudice tutelare (doc I in atti) il quale, letti gli atti e ritenuta tale azione nei preminente interesse della beneficiaria, ha autorizzato l’atto straordinario non ricompreso nei generali poteri dell’ads di cui al decreto di nomina (doc. 2 in atti). È ovvio che tale tipo di poteri speciali vengono inseriti in un decreto di nomina solo se la vicenda è conosciuta prima della nomina dell’ADS. Altrimenti viene autorizzata la normale gestione del patrimonio in relazione alle ragioni che hanno indotto i medici della Usi 20 a richiedere la nomina dell’amministratore di sostegno. In particolare si osserva che tra le azioni che la beneficiaria non era ritenuta in grado di compiere dai medici che hanno promosso il ricorso si dice “la paziente non è mai stata in grado di amministrare il denaro e non sembra in grado di curare l’amministrazione straordinaria dei suoi beni (casa di proprietà)”. In relazione a tale indicazione, una volta appreso che la beneficiaria si era spogliata della casa di proprietà (che ancora gli operatori ritenevano che gli appartenesse), venuta l’ADS a conoscenza della situazione medica in cui la stessa si trovava nel momento in cui aveva compiuto l’atto dispositivo (e ciò emergeva ictu oculi al sol leggere la cartella clinica del ricovero della stessa, tenendo conto che l’atto è stato compiuto nel bel mezzo di tale ricovero durato oltre 4 mesi), verificato peraltro che non vi erano neppure entrate in denaro in corrispondenza al periodo di compimento dell’atto, appare evidente che l’ADS doveva tutelare l’interesse della beneficiaria e per fare ciò ha utilizzato lo strumento giuridico previsto ex lege (richiesta ed autorizzazione del GT). Risulta quindi non necessaria la audizione della beneficiaria al fine di ottenere la sua manifestazione di volontà espressa e ciò non solo in relazione e alla luce del disturbo mentale della attrice. In ogni caso dalle testimonianze acquisite (efr testimonianza sig. R. del 26.3.2012 sui capitoli 28 e 29 di parte attrice) risulta che l’avv, L. V. aveva comunicato ad A. M. S. che essa aveva solo l’usufrutto della sua casa e la signora aveva avuto una forte reazione piangendo e lamentando che non aveva più la casa e chiedendosi cosa le avevano fatto i fratelli.

Premesso ciò, si conclude che l’ADS aveva piena legittimazione di richiedere al giudice il compimento dell’atto a tutela della beneficiaria e dei suoi interessi patrimoniali ed ottenuta l’autorizzazione stessa di intraprendere il giudizio.

Scendendo, quindi, nel merito è opportuno sottolineare che, affinché l’incapacità naturale possa comportare l’invalidità del contratto a prestazioni corrispettive è necessario che il contraente sia affetto nel momento della stipula negoziale da un difetto di mente tale da impedirgli di rendersi conto della rilevanza dell’atto giuridico compiuto e che tale stato di menomazione possa ritenersi conosciuto dall’altro contraente, in tal senso dovendosi intendere il richiamo che l’art. 428 cc fa al concetto di malafede.

Occorre distinguere le posizioni dei due convenuti in quanto diverse sono state le difese.

In relazione alla posizione del convenuto contumace P. S., si deve rilevare come lo stesso, tramite missiva inviata dal difensore Avv. Verga (missiva peraltro sottoscritta personalmente dal P. S.), ha dichiarato: “Il mio assistito mi fa presente che l’atto di vendita di nuda proprietà del 28.12.2004 – Notaio Vomelia – era stato concordalo al fine di tutelare gli interessi della sorella A. M. S., stante il suo precario stato di salute psichica, da eventuali possibili interventi di terze persone interessate ad approfittare della situazione sopra indicata. Il signor P. S., mio tramite, manifesta fin d’ora la propria disponibilità a prestare il proprio assenso alla restituzione della quota dell immobile sito in Albaredo d’Adige, oggi formalmente a lui intestata ma di fatto della sorella A. M. S.”. Tale dichiarazione, firmata personalmente dal P. S., ha valore di confessione stragiudiziale. Esso contiene entrambi i presupposti per dichiarare l’annullamento: l’indicazione dello stato precario di salute psichica dell’attrice (confermato poi dalle risultanze istruttorie di causa) e la conoscenza dello stesso da parte del fratello il quale dichiara che l’atto è stato compiuto proprio per evitare l’approfittamento da parte di persone terze, con ciò palesando la conoscenza che il fratello (e non solo) aveva della incapacità e condizionabilità della sorella in relazione alla sua malattia mentale. Pertanto la domanda di annullamento del contratto svolta nei suoi confronti deve essere necessariamente accolta. Diversa la posizione assunta dalla convenuta L. S. la quale nega l’incapacità naturale della sorella; nega, anche ove fosse provata la sua incapacità, la propria conoscenza dell’incapacità stessa e quindi la sua malafede nella stipulazione dell’atto di compravendita.

In primo luogo si osserva che la dichiarazione resa dal fratello, sebbene solo per lo stesso possa valere come confessione stragiudiziale, certamente per la convenuta vale come argomento di prova.

Tale elemento, peraltro, è solo rafforzativo di un quadro generale probatorio che è completamente nel senso della sussistenza di tutti i presupposti necessari dell’azione.

Sull’incapacità naturale.

Quanto allo stato di incapacità naturale dell’attrice si osserva che è certificato dal Dottor Carcereri Gerardo che l’attrice abbia avuto ricoveri psichiatrici fin dal 1983 (efr doc. 17 di parte attrice: dichiarazione di cui al certificato del 28.2.2006).

F., inoltre, pacifico che il 29.2.2000 A. M. S. sia stata dichiarata “Invalida con totale e permanente inabilità lavorativa al 100% e con necessità di assistenza continua, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita” dalla Commissione di Prima Istanza della ULSS 20 di Verona con diagnosi di “Grave psicosi dissociativa” e con anamnesi. Numerosi ricoveri ospedalieri per “grave sindrome psicotica dissociativa”; attualmente la paziente è ricoverata in Divisione Psichiatrica. Paziente confusa, disorientata, in stato euforico e disforico (efr documento 4 di parte attrice).

È altresì acquisita agli atti (doc 11 di parte attrice) la cartella clinica della attrice che è stata ricoverata nel reparto di Psichiatria di Soave dal 5.9.2004 al 25.1.2005, con diagnosi di accoglimento “Stato comatoso post critico” e risulta sottoposta a periodici ricoveri per tutto il 2004.

Si è disposta, pertanto, CTU al fine di accertare se A. M. S. Soave, al momento in cui ha compiuto l’atto giuridico di disposizione della nuda proprietà della sua casa e ciò il 28.12.2004, fosse capace o meno di intendere e volere.

Il CTU ha premesso che la stessa è affetta da “psicosi ciclica mista a cicli rapidi, con una graduale grave compromissione delle funzioni cognitive in paziente con importante disturbo di personalità”. Dopo una breve analisi del percorso altalenante della malattia, fatto di momenti sempre più brevi di equilibrio psichico della attrice, il CTU a pagina 8 della perizia focalizza la valutazione della capacità nel periodo in cui fu sottoscritto l’atto di vendita della nuda proprietà ai fratelli affermando che: “Un giudizio è attualmente possibile con criterio di certezza poiché in quel periodo la paziente era ricoverata in Psichiatria a Soave ed era quotidianamente monitorata dai medici curanti che redassero un dettagliato diario clinico. Orbene nei giorni in questione la paziente viene descritta come “inadeguata e disorganizzata” (vedi documentazione) ed in tali condizioni permase quasi fino alla dimissione (25 gennaio 2005) quando fu trasferita a Villa Santa Chiara e migliorò solo dopo un trattamento con ECT. Non vi sono pertanto dubbi che al momento delta firma dell’atto notarile la paziente fosse in condizione di non comprendere l’atto che stava compiendo”.

Entrambi i consulenti di parte hanno dichiarato al perito di accettare le suesposte considerazioni. Il consulente dell’ufficio ha quindi conclusivamente dichiarato che: “visto l’esito degli accertamenti eseguiti e tenuto conto della condivisione dei consulenti tecnici di parte, ribadisco che al momento della sottoscrizione dell’atto notarile di vendita della nuda proprietà della propria abitazione, la sig.ra A. M. S. non aveva la capacità di intendere e di volere”. La perizia redatta risulta coerente e ben motivata. Analizza puntualmente tutto il materiale clinico e la documentazione medica disponibile (peraltro concentrata proprio nel periodo della stipula dell’atto negoziale) e perviene ad una conclusione razionale con un iter logico rigoroso ed argomentato.

Non coglie nel segno la contestazione della convenuta in merito al fatto che la capacità di intendere e volere fosse stata già valutata dal Notaio (che peraltro non è medico) e ciò aderendo all’orientamento pacifico della Cassazione secondo cui: “L’atto pubblico redatto dal notaio fa fede fino a querela di falso relativamente alta provenienza del documento dal pubblico ufficiale che l’ha formato, alle dichiarazioni al medesimo rese ed agli altri fatti dal medesimo compiuti, ma tale efficacia probatoria non si estende anche ai giudizi valutativi che lo stesso abbia eventualmente svolto, tra i quali va compreso quello relativo al possesso, da parte di uno dei contraenti, della capacità di intendere e di volere” (efr Cass. Civ. n. 9649/2006; Cass. Civ. n. 3787/2012).

Sulla malafede.

La malafede ricorre, qualora il soggetto con cui si contrae abbia conoscenza della menomazione intellettiva e volitiva della controparte e, ciononostante, non si astenga dal concludere il contratto.

Ancora, va specificato che, secondo l’insegnamento costante della Suprema Corte, ai fini dell’annullamento del contratto concluso da un soggetto in stato d’incapacità naturale, è sufficiente la malafede dell’altro contraente così come sopra delineata, senza che sia richiesto un grave pregiudizio per l’incapace; laddove, in concreto, tale pregiudizio si sia verificato, esso tuttavia ben può costituire un sintomo rivelatore di detta malafede. Nell’ipotesi in esame, a prescindere dal pregiudizio derivato all’attrice dalla conclusione del contratto di compravendita e su cui si tornerà, la malafede della signora L. S. risulta del tutto evidente sol che si consideri la situazione in cui la attrice si trovava quando è stata prelevata dai familiari dall’ospedale. Innanzitutto la stessa era in ospedale dal 5 settembre 2004 ed era definita come disorientata dal personale medico nel diario clinico. Inoltre fin dal maggio dello stesso anno la signora L. S. aveva dichiarato di aver iniziato le pratiche per l’interdizione per la sorella (fatto confermato anche attraverso le testimonianze acquisite agli atti del processo), salvo poi verificarsi in concreto che ciò non aveva mai fatto davvero.

La stessa convenuta sostiene inoltre nel proprio atto di essere l’unica dei familiari che si occupava di A. M. S. seguendone le condizioni di salute. Appare dunque davvero incredibile che proprio lei non si sia resa conto dell’incapacità della sorella, percepita invece chiaramente dal fratello come risulta dalle sue stesse dichiarazioni.

Nel caso in esame sussiste peraltro anche il pregiudizio. Non vi è infatti nessuna traccia del pagamento dei circa 30.000 euro che L. S. dichiara di aver effettuato per pagare la villetta della sorella (e di cui peraltro nessun accenno fa il fratello nella sua missiva nella quale dichiara che si trattava solo di una intestazione formale a loro ma sostanzialmente il bene era di A. M. S.). La convenuta si trincera dietro la quietanza di pagamento contenuta nell’atto di compravendita che, si ricorda, si è fin qui accertato essere stato stipulato da persona incapace di intendere e di volere. La convenuta aveva la delega del conto della sorella fin dal 2002. Laddove avesse pagato la sorella si presume che il versamento l’avrebbe fatto nel conto della stessa, su cui sia lei che P. S. avevano la delega. Ed invece non solo non risulta nessun versamento per l’intero anno 2004 fatto da nessuno dei due fratelli (che avrebbero dovuto pagare entrambi circa 30.000.00 euro ciascuno per l’acquisto) ma addirittura risulta dall’estratto conto dell’anno 2004 un bonifico dal conto della attrice (A. M. S.) ai conto della convenuta (L. S.) del valore di 30.000,00 nel periodo in cui parte attrice era pacificamente ricoverata in ospedale. Si riscontra inoltre un prelievo in contanti della somma di euro 15.000,00 effettuato evidentemente da qualcuno che aveva la delega e sempre nel periodo in cui Anna Maria era ricoverata in ospedale nella divisione psichiatrica.

Tanto già basta a dichiarare l’annullamento dell’atto di compravendita.

Tenuto conto tuttavia della strenua difesa della convenuta che in via riconvenzionale ha chiesto anche la restituzione del prezzo versato per la quota di metà della nuda proprietà dell’immobile (di cui non solo non vi è prova ma anzi vi è prova di un prelievo di un bonifico di pari cifra ma a suo favore di cui la convenuta non ha mai dato neppure una minima giustificazione) e ha chiesto altresì la determinazione di una somma in via equitativa per aver prestato cura alla sorella e sostenuto delle spese nel suo interesse (che da fine 2005 circa si trova presso la comunità di Montecchia) e per la conservazione dei suoi beni (di cui non solo la convenuta è ancora nuda proprietaria ma risulta dalle prove testimoniali che la stessa abbia anche abitato il suddetto immobile, senza nulla versare alla sorella che era comunque ancora usufruttuaria della stessa e sul cui conto venivano addebitato le utenze di luce acqua e gas nonostante pacificamente non ci vivesse) è opportuno, anche per dare già adesso conto delle ragioni della condanna per lite temeraria di cui si dirà di seguito, ripercorrere sinteticamente l’iter che ha condotto al contratto di compravendita e le prove raccolte nel presente giudizio.

– Il 26.5.2004 risulta che L. S. abbia dichiarato all’assistente sociale Corradi di aver già iniziato per la sorella la pratica di interdizione (cfr. doc. 13 di parte attrice e cfr doc. 5 di parte attrice del 6.11.2009 nel quale il medico doti. Carcereri certifica la attività clinico assistenziale svolta nel 2004 a favore di A. M. S. Soave). Tale documento è stato confermato nell’udienza dei 26.3.2012 dal medico dottor Carcereri che l’ha seguita dal 1985 al 2010. Anche la signora Corradi è stata sentita, all’udienza del 22.10.2012 ed ha confermato il doc. 13 nel quale la stessa ha annotato in data 26.5.2015 le dichiarazioni resele dalla signora Luigina “è stata aperta da poco la pratica per l’interdizione di A. M. S.”. Il 5 settembre 2004 A. M. S. viene ricoverata in psichiatria con diagnosi di accoglimento “Stato comatoso post Critico” (cfr doc. lidi parte attrice).

– Non risulta da nessun atto che la stessa avesse necessità di vendere la sua casa. Nel suo conto corrente il 31.8.2004 A. M. S. aveva 21.049,00 euro. Il 23 Settembre 2004 le veniva accreditato sul conto la somma di euro 30.735,00 derivante dall’eredità di Soave Bruno (1/4 del conto del predetto) pertanto la stessa disponeva a quel tempo di oltre 50.000,00 euro.

– Il 12.10.2004 dal conto corrente di A. M. S. risulta in uscita un bonifico verso il conto della sorella Luigina di 30.000,00 euro. A. M. S. era in ospedale e la cartella clinica dell’11.10.2004 e del 12.10.2004 confermano la sua presenza in ospedale (doc. 11 foglio n. 5).

– L’8.11.2004 dal conto di A. M. S. risulta un prelievo contante di euro 15.000,00. Dal diario clinico della stessa (foglio n. 9 e 10 del doc. I) risulta che A. M. S. era nel giorno predetto ed il giorno precedente in ospedale.

– Il 27 dicembre 2004 A. M. S. andava in permesso con i propri familiari che poi la riportavano il 29 dicembre 2004.

– Il 28 dicembre 2004 vendeva la nuda proprietà del proprio immobile. L’atto contiene la dichiarazione che la stessa aveva già ricevuto dai fratelli 60.000 euro circa per il pagamento. Dall’estratto conto di tutto il 2004 tuttavia non solo non risulta nessun versamento ma risultano prelievi (di cui 30.000 circa a L. S.) di circa 45.000,00.

– L’attrice ha depositato in giudizio una perizia di stima della nuda proprietà dell’immobile de quo da cui risulta un valore di almeno 139.000 euro (doc. 6 di parte attrice).

– Parte convenuta la ha contestata in quanto perizia di parte, non ha però chiesto una CTU sul valore dell’immobile dichiarando che il minor prezzo di 60.000 euro circa era stabilito in relazione ai legami familiari ed all’assistenza prestata.

– Il fratello P. S. ha dichiarato che l’immobile era solo formalmente intestato a lui ma sostanzialmente di A. M. S., (efr doc. I2 bis di parte attrice) e che l’atto era stato compiuto in ragione delle condizioni di salute di A. M. S. e per evitare l’approfittamento delle stesse da parte di terzi.

Dall’intera ricostruzione della vicenda attraverso il cospicuo materiale probatorio raccolto (ed analiticamente riportato) consegue senza dubbio l’annullamento del contratto stipulato in data 28.12.2004, in quanto stipulato da persona incapace di intendere e volere al momento della stipula, incapacità di cui i contraenti erano sicuramente a conoscenza in relazione ai rapporti familiari stretti e di assistenza ed evincibile altresì dall’evidente pregiudizio recato quanto a fronte della disposizione della nuda proprietà non vi è la prova che nessun pagamento sia stato effettuato (la convenuta dice che non sa come la sorella abbia impiegato il denaro; la stessa convenuta che aveva la delega ad operare sul conto della sorella) e la quietanza rilasciata nell’atto notarile e resa da persona incapace di intendere e di volere, risulta a maggior ragione travolta dall’annullamento dell’atto in difetto, si ribadisce, di qualsiasi prova sull’effettivo versamento del prezzo dichiarato come riscosso. In ogni caso si sarebbe verificato il pregiudizio essendo la vendita avvenuta a prezzo presuntivamente inferiore (di oltre la metà) a quello stimato da perito di parte. Prezzo che il fratello mai dichiara di aver corrisposto riconoscendo anzi trattarsi di una intestazione formale. Conseguentemente la domanda attrice deve essere accolta.

La domanda riconvenzionale della convenuta di restituzione del prezzo deve essere invece rigettata in quanto l’art. 1443 c.c. prevede che se il contratto è annullato per incapacità di uno dei contraenti questi non è tenuto a restituire all’altro la prestazione ricevuta se non nei limiti in cui è stata rivolta a suo vantaggio. Nel caso in esame non vi è nessuna prova che la prestazione, ove effettivamente eseguita (e della quale si dubita seriamente per le ragioni già diffusamente addotte), sia stata rivolta a vantaggio dell’incapace perché anche a voler ritenere che il prezzo di circa 30.000,00 euro sia stato versato dalla convenuta, poiché la attrice era incapace ed era in ospedale ricoverata, l’unico modo per renderla a suo vantaggio sarebbe stato versare il prezzo nel conto corrente della stessa. Invece di tale versamento non vi è traccia. Né la convenuta ha specificato quando e come sia stato effettuato il pagamento. Per tali ragioni la domanda di restituzione del prezzo va rigettata.

Quanto alla domanda di liquidazione di equo indennizzo per l’attività di assistenza svolta a favore della attrice A. M. S. si osserva:

dalle testimonianze raccolte risulta che L. S. ha prestato assistenza ad A. M. S.. Risulta che la stessa abbia partecipato ai colloqui e si sia interessata della sorella.

La convenuta sostiene di avere speso 2.500 euro per la tinteggiatura dell’immobile di cui A. M. S. dopo il 28.12.2004 era solo usufruttuaria (e peraltro dal febbraio 2005 o da poco oltre circa risulta che la stessa si trovasse nella comunità di Montecchia), 2.000 euro per sistemare rimpianto elettrico, 2.500 per la sistemazione dell’impianto di irrigazione, 1.250,00 per i tendaggi, 15.000 euro per la cura del giardino dell’immobile, spese di viaggio per andare a trovare la sorella, assunzione di dipendenti in più presso il suo bar di cui non poteva occuparsi appieno dovendo prestare cure alla sorella (circa 43.000.00 euro). Alcuni dei lavori suddetti dichiara di averli svolti il figlio di L. S., a titolo di cortesia salvo poi dichiarare di essere state compensato dalla madre (2.000 euro per l’impianto di irrigazione e 10.000 euro per la cura settimanale del giardino in cui fu anche realizzato un orto).

I testi assunti hanno confermato che alcune spese (per tinteggiatura e tendaggi e viaggi) per la casa de quo sono state pagate da L. S. che si assentava dal bar dalla stessa gestito. Nessuno ricorda il valore dei lavori sostenuti. Non vi è neppure una fattura in atti. Peraltro la sorella S. A. ha dichiarato che la convenuta dopo la morte del loro padre è rimasta a vivere, con sua figlia ed il convivente, nella casa di cui era divenuta nuda proprietaria per effetto dell’atto di cui si discute, casa della quale era ancora usufruttuaria A. M. S.. E non risulta che la convenuta le abbia mai versato nulla per tale utilizzo. Non è provato inoltre con quali soldi siano stati pagati i lavori effettuati da L. S. che occupando l’immobile pure ne ha beneficiato, la quale, era delegata ad operare sul conto della sorella fino almeno al 26.11.2008, data in cui è stato nominato l’ADS. Non solo. Dagli estratti conto corrente di cui al doc. 20 del conto intestato ad A. M. S. risultano addebiti di utenze a mezzo RID in conto corrente dal 2005 al 2008 di telefono, luce acqua e gas e prelievi in contanti di somme tra i 500,00 e i 1.500,00 curo. Risulta dagli atti che A. M. S. sia stato spesso domiciliata presso la comunità di Montecchia e “Fuori Centro” (cfr doc. 16 di parte attrice in cui il 18.2.2005 se ne programmava l’inserimento per la settimana successiva, cfr doc. 18 di parte attrice in cui nel febbraio del 2006, nella prima richiesta di ADS formulata dai medici si indicava quella come domiciliazione, cfr doc. 2 di parte attrice in cui al momento della nomina di ADS si indicava quello come domicilio il 26.11.2008) il che fa dubitare del suo effettivo interesse all’esecuzione di tutti quei lavori sull’immobile. Parte convenuta comunque deposita documenti per spese sostenute nel 2009- 2010 per fatture di acqua, gas e luce (circa 1.000 euro) ed Equitalia (circa 2.000 euro), luci cimiteriali ed altre (una anche intestata proprio alla convenuta presso altro indirizzo: cfr doc. 3 bolletta di Gritti Gas a favore di L. S., Via Villa Mattina n. I per euro 119,00).

Quindi si può concludere che L. S. abbia effettivamente prestato cure ed attenzioni alla sorella e che abbia effettuato esborsi per la conservazione dell’immobile e per il suo utilizzo (luce, acqua gas). Ma non è stato provato che la stessa abbia pagato con propri denari tali spese (per le quali sarebbe stato sufficiente allegare il proprio estratto conto con prelievi contestuali ai pagamenti delle bollette). Non è stato provato come sono stati impiegati i 30.000 euro bonificati a lei stessa dal conto della sorella A. M. S. il 12.10.2004. Non vi è poi riscontro dell’impiego dei 15.000 euro prelevati in contanti il 18.11.2004, somme che non si può escludere che siano state destinate a spese relative all’immobile. In ogni caso non vi è alcuna prova che le abbia sostenute personalmente L. S. impiegando i propri risparmi e le dichiarazioni del figlio e della badante in tal senso appaiono de relato e prive del benché minimo riscontro documentale che, ove sussistente, la convenuta avrebbe ben potuto fornire.

Per tali ragioni anche tale domanda riconvenzionale deve essere rigettata ritenendosi che non risulti provato che i pagamenti sostenuti per l’immobile deirusufruttuaria provengano da L. S. e che eventuali spese sostenute non siano state coperte dalle somme prelevate dal conto di A. M. S., pari ad almeno 30.000 euro.

Devono poi considerarsi adempimenti di obblighi familiari, in assenza di diversi riscontri, le prestazioni rese dalla convenuta per le cure e l’assistenza prestate alla sorella.

Gli esiti della lite inducono a porre le spese di CTU definitivamente a carico di parte convenuta soccombente, con obbligo di rimborso a favore della parte attrice per la quota dalla stessa anticipata.

Le spese di lite seguono parimenti la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

Quanto alla domanda di condanna alle spese per aver resistito temerariamente anch’essa deve essere accolta. In ogni caso, infatti, a prescindere dall’allegata tardività della domanda attorea in tal senso, si tratta di un potere del giudice ai sensi dell’art. 96, 3 comma c.p.c.

Già a seguito dell’invio della lettera di P. S. la convenuta avrebbe dovuto desistere dalla prosecuzione della causa. Troppi erano i riscontri già sussistenti della stipula di un contratto annullabile. Nessuna prova invece del pagamento del prezzo da parte dei convenuti. Nessuna prova valida in merito all’aver sostenuto, con denari propri, spese nell’interesse della sorella. Prelievi effettuati dalla convenuta sul conto della sorella senza giustificativi, di cui non può essere disposta la restituzione in mancanza della domanda di parte attrice in tal senso.

Tale somma può essere equitativamente determinata in euro 5.000,00.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione respinta ovvero assorbita, così dispone:

In accoglimento della domanda attorea, accertata l’incapacità di intendere e di volere della signora A. M. S. al momento della stipula del contratto di vendita di nuda proprietà stipulato in data 28 dicembre 2004 innanzi al Notaio V. F. rep. n. 107.371, raccolta n. 10.475 e registrato a Soave il 13/01/2005, ed accertata altresì la malafede degli altri contraenti, L. S. e P. S., annulla ai sensi dell’art. 428, 2 comma, c.c. e 1425 c.c. il contratto predetto ed ordina al Conservatore dei Pubblici Registri Immobiliari di Verona di procedere alla relativa trascrizione della sentenza.

Rigetta le domande riconvenzionali formulate dalle convenuta per le ragioni di cui in motivazione.

Condanna la parte convenuta L. S. a rimborsare alla parte attrice le spese di lite, che in mancanza di nota spese, si liquidano in € 13.402,00 per compensi professionali, oltre il 15% per rimborso forfettario delle spese generali, oltre i.v.a. e c.p.a. come per legge.

Pone definitivamente a carico di parte convenuta L. S. le spese di consulenza tecnica con obbligo di rimborso alla parte attrice per la quota dalla stessa anticipata.

Condanna altresì parte convenuta L. S. al pagamento della somma di euro 5.000,00 ex art. 96, 3 comma, c.p.c. a favore della parte attrice.

Così deciso, Verona il 25/5/2015

Il Giudice

Dott.ssa Raffaella Marzocca

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