Sentenze

Tribunale Ordinario di Milano, Sez. Speciale in Materia d'Impresa – Ordinanza 25.05.2015 (Dott. Marangoni)

Concorrenza sleale
TRIBUNALE ORDINARIO DI MILANO
SEZ. SPECIALIZZAZATA IN MATERIA D’IMPRESA
 
ORDINANZA
Fatto e diritto
1.Con ricorso ex art. 700 c.p.c. depositato in data 20.3.2015, le societàche gestiscono i servizi di radio taxi in Milano, Torino e Genova (TAXIBLU s.e.- Taxiblu Consorzio Radiotaxi Satellitare soc. coop., SOCIETÀ COOPERATIVA PRONTO TAXI s.e. a r.I., COOPERATIVA RADIO TAXI TORINO s.e., COOPERATIVA RADIOTAXI GENOVA s.e., ITALTAXI SERVICE s.r.l.), alcuni operatori del servizio taxi nelle stesse città (E. L. B., C. S., A. BI., A. AI. C., D. A., V. CE.) alcune organizzazioni sindacali e associazioni di categoria del settore taxi a livello locale (ASSOCIAZIONE SINDACALE S.A.T.M./C.N.A. – Sindacato Artigiano Taxisti di Milano e provincia, ASSOCIAZIONE UNICA MILANO E LOMBARDIA, T.A.M. – Tassisti Artigiani Milanesi, UNIONE ARTIGIANI DELLA PROVINCIA DI MILANO, FEDERAZIONE NAZIONALE UGL TAXI, ASSOCIAZIONE TUTELA LEGALE TAXI) hanno chiesto in via cautelare al Tribunale di inibire a UBER lNTERNATIONAL B.V., UBER INTERNATIONAL HOLDING B.V., UBER B.V., RAlSER OPERATIONS B.V., UBER ITALY s.r.l. e alla persona fisica R. N. l’utilizzo del servizio UBER POP, con conseguente blocco e/o oscuramento del sito internet e dell’applicazione informatica, oltre ulteriori domande connesse alla misura inibitoria e tese a dare efficace attuazione alla stessa.
Le parti ricorrenti hanno esposto che le società resistenti avrebbero ideato l’app UBER POP, applicazione on line facilmente fruibile dall’utente della rete mediante installazione sullo smartphone e attraverso la quale verrebbe offerto un servizio del tutto equiparabile a quello di un radio taxi.
In particolare, una persona interessata a spostarsi da un luogo ad un altro della città è allo stato il servizio UBER POP sarebbe disponibile nelle città di Milano, Torino, Genova e Padova anziché chiamare un tradizionale taxi – rectius centrale radio taxi – potrebbe mediante l’app messa a punto dalle resistenti servirsi di un autista Uber, che sempre mediante l’app verrebbe incaricato di volta in volta di fornire il trasporto. In considerazione della prestazione dell’autista Uber di raggiungere l’utente in un determinato punto della città al fine di condurlo in un altro, scelto unicamente dal passeggero mediante l’app, il servizio in questione risulterebbe identico a quello pubblico offerto dai taxi.
Le resistenti, attraverso l’app, si occuperebbero di reclutare gli autisti cui affidare di volta in volta la fornitura del trasporto, gestirebbero la fase di messa in contatto delle persone interessate a spostarsi in città con i guidatori e, infine, riceverebbero il pagamento della prestazione di trasporto resa, di cui solo una percentuale minima verrebbe destinata all’autista. Tali aspetti getterebbero pertanto luce sull’essenzialità del ruolo delle resistenti nel funzionamento del metodo Uber, atteso che i singoli guidatori se non esistesse l’app UBER POP non potrebbero svolgere il servizio di trasporto, a differenza invece dei tassisti, per i quali il radio taxi costituirebbe una mera modalità di acquisizione del servizio.
Le società resistenti avrebbero dunque ideato e organizzato un sistema m sostanza di radio taxi, attraverso il quale i guidatori reclutati offrirebbero un servizio di taxi abusivo, attesa la violazione di questi ultimi di tutte le regole di natura pubblicistica che disciplinano il settore, tanto quelle che individuerebbero i requisiti soggettivi che devono possedere gli operatori di trasporto pubblico non di linea, quanto quelle che disciplinerebbero le modalità di svolgimento del servizio stesso.
Secondo la tesi delle ricorrenti, dunque, sulla base della violazione delle norme di natura pubblicistica, o, comunque, dell’utilizzo di mezzi – l’app UBER POP – non conformi ai principi della correttezza professionale, le attività dei resistenti andrebbero qualificate sul piano giuridico alla stregua di condotte di concorrenza sleale ex art. 2598 n. 3 c.c., posto che la violazione delle norme pubblicistiche consentirebbe alle società resistenti di acquisire un vantaggio concorrenziale, consistente nella possibilità per gli autisti aderenti al servizio di non sostenere determinati costi – indispensabili per fornire regolarmente il servizio dei taxi – e conseguentemente di offrire, nel mercato in cui agiscono i ricorrenti, il medesimo servizio a prezzi, tuttavia, notevolmente inferiori rispetto alle tariffe praticate dagli operatori del pubblico servizio.
Poiché le società resistenti attraverso l’app gestirebbero direttamente il servizio di trasporto a fini di lucro, la loro condotta – ancorché siano i singoli guidatori a violare materialmente le norme pubblicistiche di settore – dovrebbe ritenersi sul piano giuridico più grave rispetto a quella dei conducenti, con la conseguenza che sarebbero le società resistenti a doversi considerare i principali autori della concorrenza sleale verso le parti ricorrenti.
Sotto il profilo del periculum in mora, secondo le ricorrenti l’attività contestata avrebbe quale conseguenza quella di un mancato guadagno per gli operatori dei taxi, a causa dell’idoneità dell’applicazione di UBER POP a sviare la clientela, indotta a scegliere il servizio offerto dai resistenti in ragione della sua maggiore economicità, e ad arrecare un danno all’immagine agli operatori del settore.
Inoltre nelle more della presentazione del ricorso la città di Milano si appresta ad ospitare la manifestazione di Expo 2015, evento che per l’elevato numero di turisti attesi costituisce una occasione di ottimi guadagni, che in assenza di una inibitoria andrebbero tuttavia condivisi con soggetti concorrenti, che esercitano il servizio di trasporto in maniera abusiva; il conflitto fra i tassisti in possesso di regolare licenza e i conducenti aderenti al sistema UBER POP – che sarebbe peraltro in procinto di essere reso disponibile anche in altre città italiane – starebbe acquisendo peraltro crescente rilievo, oltre che sul piano concorrenziale, anche su quello sociale e di ordine pubblico, sia per le tensioni acuitesi in seno alla categoria dei tassisti che in ragione del pericolo per la collettività di incorrere in autisti abusivi.
2. Con memoria congiunta si sono costituite in giudizio tutte le società resistenti, le quali hanno chiesto il rigetto del ricorso e in via subordinata, in caso di accoglimento della domanda di inibitoria, di limitare il blocco del funzionamento dell’applicazione UBER POP al solo servizio che riguarda le richieste che provengono dall’Italia e di ordinare ex art. 669 undecies c.p.c. ai ricorrenti di prestare congrua cauzione di Euro 500.000,00.
Non si è invece costituito il resistente R. N..
In via preliminare, le società resistenti hanno sollevato un’eccezione di carenza di legittimazione attiva della società ricorrente ITALTAXI SERVICE s.r.l., in quanto non si tratterebbe di una cooperativa di tassisti né di un ente rappresentativo degli stessi, bensì di un mero fornitore di servizi contabili e amministrativi a favore di imprese che esercitano il servizio taxi.
Sempre in via preliminare, è stato eccepito un difetto di legittimazione passiva delle società resistenti UBER ITALY s.r.l., UBER INTERNATIONAL B.V. e UBER INTERNATIONAL HOLDING B.V., in quanto dalla prospettazione delle ricorrenti risulterebbero coinvolte nel servizio oggetto della domanda inibitoria esclusivamente UBER B.V. e RASIER OPERATIONS B.V. Infatti UBER ITALY s.r.l. svolgerebbe unicamente attività di consulenza in favore delle altre società del gruppo, mentre per quanto riguarda UBER INTERNATIONAL B.V. e UBER INTERNATIONAL HOLDING B.V., per esse non sarebbero ravvisabili condotte illecite a loro specificamente riconducibili.
Nel merito, le società resistenti hanno contestato che UBER POP possa ritenersi un servizio di trasporto di taxi, in quanto si tratterebbe di una applicazione informatica che serve a favorire forme di trasporto condiviso, realizzate direttamente dagli utenti. Sul piano sociale, tale sistema sarebbe, infatti, espressione della nuova concezione di utilizzazione dell’autovettura in maniera condivisa, al fine di abbattere i costi di impiego dell’auto privata e di ridurre l’inquinamento. Attraverso il sistema elaborato dalle resistenti si sarebbe creata una community, alla quale prendono parte solo coloro che installano sullo smarthphone l’app UBER POP: tale peculiarità metterebbe in risalto il carattere privato del trasporto, in quanto per usufruire del servizio sia come guidatore che come passeggero è necessario aderire al gruppo Uber. L’ideazione della piattaforma tecnologica sarebbe pertanto volta esclusivamente a dotare di maggiore efficienza forme di condivisione di trasporto privato, allargandone la cerchia dei fruitori.
Ciò varrebbe ad escludere il carattere abusivo di tale forma di trasporto. In particolare, infatti, i guidatori di UBER POP condividerebbero volontariamente con gli utenti il tragitto, potendo non accettare la richiesta in arrivo, mentre i taxi offrirebbero un servizio pubblico e senza possibilità di rifiutare la prestazione. Ancora, gli autisti UBER POP e le persone che usano tale servizio formerebbero un gruppo chiuso, che interagisce esclusivamente attraverso la app. mentre i tassisti svolgerebbero un servizio “di piazza”, che prevede lo stazionamento sul luogo pubblico ed implica la destinazione dell’auto all’uso pubblico, in quanto offerta alla collettività senza necessità di pattuizioni. Infine, i guidatori UBER POP otterrebbero un mero rimborso delle spese di viaggio e dei costi relativi al veicolo, definito sempre attraverso la piattaforma, mentre i tassisti verrebbero remunerati a titolo di corrispettivo mediante tariffe amministrate.
Dunque il rapporto che si instaura fra i passeggeri e gli autisti attraverso l’applicazione UBER POP sul piano giuridico andrebbe qualificato come un contratto atipico, espressione del principio di autonomia negoziale di cui all’art. 1322 c.c. e, di conseguenza, non trattandosi di un servizio di trasporto pubblico, non si profilerebbe alcuna violazione delle norme pubblicistiche.
In ogni caso, secondo le resistenti, la prospettata violazione da parte dei guidatori di UBER POP delle norme pubblicistiche non sarebbe comunque di per sé sufficiente ad integrare un illecito anticoncorrenziale.
Infatti, la violazione di norme che impongono all’imprenditore semplici oneri – tra cui, appunto, le norme che subordinano l’esercizio di determinate attività imprenditoriali all’ottenimento di licenze – non porrebbe l’autore di tale violazione in una posizione di vantaggio concorrenziale a meno che la stessa non sia accompagnata anche dalla violazione di norme che comportano dei costi. A tale riguardo, si osserva come non vi sarebbe una stretta correlazione fra i costi sostenuti dai tassisti per la rivendita della licenza, atteso che essi riguarderebbero un mercato secondario fra privati, e i corrispettivi del servizio di trasporto; inoltre le tariffe amministrate indicherebbero dei massimali che non corrisponderebbero a dei valori fissi e, quindi, consentirebbero l’applicazione di sconti ovvero di prezzi più bassi, opzione che sarebbe contemplata anche dal regolamento tariffario del servizio taxi.
Peraltro non vi sarebbe in realtà alcuno sviamento di clientela, in quanto UBER POP sarebbe destinata ad un gruppo chiuso e definito di utenti formatosi sulla piattaforma.
Infine, sempre sotto il profilo del fitmus boni iuris, le società resistenti offrono una interpretazione dell’art. 2598 c.c. orientata al principio costituzionale di libertà dell’iniziativa economica ex art. 41 Cost, che tenga quindi in considerazione come il servizio UBER POP miri a soddisfare l’interesse della collettività, da valutarsi anche secondo una lettura conforme ai principi antitrust, ostativi alla formazione di monopoli e pro concorrenziali. L’intento dei ricorrenti di fermare il servizio UBER POP confliggerebbe con i principi fondamentali previsti dal Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) di libertà di stabilimento, di libera prestazione di servizi, e della concorrenza, che formando dei vincoli per l’ordinamento interno imporrebbero una ricostruzione evolutiva del quadro normativa nazionale, e segnatamente della legge n. 21/1992 e dell?art. 86 C.d.S.
Per quanto riguarda il periculum in mora, hanno infine contestato che vi sarebbe la prova dell’idoneità delle condotte censurate a provocare in concreto un grave danno e del presupposto dell’urgenza, in considerazione del fatto che l’azione cautelare è stata esperita a distanza di un anno dall’inizio dell’attività di UBER POP.
Non vi sarebbe in realtà alcuna prova degli effetti dello sviamento di clientela e delle conseguenze negative sull’immagine dei ricorrenti generate dall’attività delle resistenti; né tanto meno sarebbe possibile riscontrare un collegamento eziologico fra il servizio UBER POP e la prospettiva per i tassisti di vedersi erosa la propria quota di mercato, prospettiva che in ogni caso non presenterebbe i connotati del pregiudizio imminente e irreparabile, i quali, invece, devono sussistere per la concessione della misura in via cautelare.
3. Appare necessario premettere all’analisi della concreta fattispecie in esame un sia pur sommario richiamo alla disciplina del particolare settore regolato in via generale dalla L. 21/92 e che attiene agli autoservizi pubblici non di linea, cioè caratterizzati dalla loro complementarietà rispetto agli altri servizi di linea in quanto vengono effettuati, su richiesta del trasportato, in modo non continuativo o periodico, su itinerari e secondo orari stabiliti di volta in volta.
In particolare il servizio taxi si rivolge ad una utenza indifferenziata, prevede uno stazionamento in luogo pubblico, comporta tariffe e turnazioni di servizio predeterminate in via amministrativa e l’obbligatorietà della prestazione del servizio in favore della richiesta dell’utente (v. art. 2 L. 21/92). Trattasi di soggetti operanti in un settore imprenditoriale privato che svolge un servizio pubblico in regime di licenza e il rilascio di tale autorizzazione da parte del comune competente presuppone la preventiva iscrizione del richiedente in un apposito ruolo provinciale dei conducenti di veicoli adibiti ad autoservizi pubblici non di linea. Tale iscrizione è condizionata dal possesso dello specifico certificato di abilitazione professionale rilasciato dall’Ufficio Provinciale della Motorizzazione civile a seguito di esame.
Va altresì rammentato che l’art. 82 del C.d.S. nel differenziare i vari tipi di veicoli in base all’utilizzazione economica di essi, distingue l’uso privato del veicolo da quello in favore di terzi, intendendosi in tale seconda categoria il veicolo utilizzato, dietro corrispettivo, nell’interesse di persone diverse dall’intestatario della carta di circolazione.
Tra gli usi in favore di terzi è espressamente incluso il servizio di piazza (taxi) per trasporto di persone mentre in via generale l’utilizzazione di un veicolo per un uso diverso da quello indicato nella carta di circolazione è vietato ed assoggettato, ove si verifichi, a sanzione amministrativa (art. 82, comma 8 C.d.S.).
In particolare l’art. 86 C.d.S. regola poi l’ipotesi in cui venga adibito un veicolo a servizio di piazza (taxi) senza il possesso della licenza prevista dall’art. 8 L. 21192 prevedendo per tale ipotesi l’applicazione di specifica sanzione amministrativa.
Il quadro così rapidamente tracciato – al quale devono essere aggiunti i singoli regolamenti comunali che stabiliscono i requisiti e le condizioni per il rilascio delle licenze, il numero delle stesse, le modalità di svolgimento del servizio e i criteri di determinazione delle tariffe – consente di rilevare con evidenza la sostanziale impossibilità che un servizio analogo a quello svolto dai taxi possa essere svolto da un soggetto privo di licenza.
Tale forma di controllo sull’accesso al mercato nonché la previsione di un regime amministrato attinente principalmente alla regolazione dell’attività (tumazione obbligatoria) ed alla determinazione delle tariffe non pare presentare in sé elementi di effettivo conflitto con principi di libera concorrenza anche a livello comunitario.
Per un verso va osservato che l’art. 41 Cost. prevede che la libera iniziativa economica privata possa essere oggetto di regolazione e di indirizzo, mentre sul piano comunitario in forza dell’articolo 58 TFUE, in materia di trasporti la libera prestazione di servizi è disciplinata non dall’articolo 56 TFUE, bensì dal titolo VI della terza parte del Trattato FUE, che concerne la politica comune dei trasporti (v. Corte Giustizia UE, sentenza 22 dicembre 2010, Yellow Cab Verkehrsbetrieb, causa C-338/09). Tuttavia le attività di taxi e di noleggio con conducente non rientrano nell’ambito di applicazione delle disposizioni adottate, sul fondamento dell’articolo 91, paragrafo 1, TFUE, ai fini della liberalizzazione dei servizi di trasporto.
Infatti l’art. 3, comma Il bis, L. 148/11 (legge di conversione del decreto legge 13 agosto 2011, n.138) ha previsto espressamente che i servizi di taxi e noleggio con conducente non di linea, svolti esclusivamente con veicoli categoria MI (veicoli destinati al trasporto di persone, aventi al massimo otto posti a sedere oltre al conducente) sono esclusi dall’abrogazione delle restrizioni in materia di accesso ed esercizio delle attività economiche previste dall’ordinamento in conformità alla direttiva 2006/123/CE.
Peraltro l’art. 6 D.Lgs. 59/10 (che ha proceduto al recepimento nell’ordinamento interno della direttiva 123/2006 in materia di libera circolazione dei servizi) rivolto specificamente ai “Servizi di trasporto” aveva già escluso che le disposizioni contenute in tale decreto si applicassero, tra l’altro, anche ai servizi di trasporto urbani di taxi.
Nessuna violazione del parametro comunitario potrebbe dunque essere prospettata sotto il profilo della violazione della direttiva comunitaria n. 123/2006, né le parti resistenti hanno peraltro affrontato in maniera compiuta tale specifico profilo.
Evidenti a parere di questo giudice sono invece i profili di pubblico interesse che devono ritenersi a fondamento dell’intervento regolatore pubblico, ove si consideri che il servizio pubblico non di linea appare anch’esso rivolto a soddisfare – in via complementare e integrativa rispetto ai servizi di linea – il pubblico interesse alla garanzia della mobilità, che impone la predisposizione di servizi resi in via indifferenziata alla comunità e con la necessaria continuità e regolarità in ogni luogo e momento della giornata. A ciò si aggiunga anche la necessità di garantire altresì la sicurezza e l’integrità personale degli utenti di tali servizi attraverso il controllo dei requisiti personali – di buona condotta e tecnici – dei soggetti privati ammessi alla licenza, della sicurezza tecnica dei veicoli a tal fine utilizzati (visite meccaniche di controllo periodiche) nonché della predisposizione di adeguate misure assicurative in caso di danni alla persona.
La piena autonomia del legislatore nazionale di applicare a tale settore una specifica regolamentazione implicante la concessione di un titolo autorizzatorio per l’esercizio della stessa appare dunque in sé certa, come sembra potersi anche desumere dalla natura degli interventi svolti dall’AGCM in relazione a tale settore (v. in particolare la segnalazione AS277 rivolta al Parlamento in data 3.3.2004, ma anche la più recente AS1137 del 4.7.2014) che sono stati rivolti a segnalare esigenze di più accentuata liberalizzazione del settore non già rispetto alla presenza di una barriera all’accesso costituita dalla licenza, bensì evidenziando i diversi profili critici attinenti alle modalità di regolamentazione del servizio (contingentamento delle licenze, maggiore flessibilità dei turni ecc.).
4. Il fondamento concorrenziale dell’azione intrapresa dalle parti ricorrenti impone la verifica dell?effettiva sussistenza di un rapporto di concorrenza, da valutarsi in relazione alla concreta attività svolta dalle parti ed alla effettiva capacità di esse di essere rivolta alla stessa clientela, effettiva o potenziale.
Gli elementi rilevabili in atti ed evidenziati dalle argomentazioni dalle parti sono tali, a parere di questo giudice, da confermare che l’attività svolta dalle società resistenti sia effettivamente ed oggettivamente interferente con il servizio taxi organizzato dalle società, svolto dai titolari di licenze e assistiti dalle organizzazioni sindacali che figurano tra le parti ricorrenti.
Sebbene infatti non vi siano elementi per affermare che gli autisti aderenti al sistema gestito mediante l’applicazione alla libera circolazione dei servizi contattino di loro iniziativa i potenziali clienti stazionando sulla pubblica via, tuttavia la richiesta di trasporto trasmessa dall’utente mediante l’app UBER POP oltre ad essere modalità tecnica già utilizzata dalle cooperative dei taxisti appare di fatto del tutto assimilabile al servizio di radio taxi da anni in uso diffuso in tutte le città.
Tramite tale applicazione l’utente richiede il servizio dal luogo in cui si trova – senza doversi spostare sulle aree di stazionamento predisposte – e l’autista più prossimo si reca a prelevare l’utente per iniziare il trasporto, così di fatto realizzandosi la medesima specifica modalità operativa che compone il servizio “su piazza” e che non può essere delimitato alla sola modalità di stazionamento su area pubblica ma esteso a tutte le forme di contatto tra autista ed utente in cui il trasporto individuale non origina – come nel servizio di noleggio con conducente – presso la sede del vettore.
Sussiste altresì l’ulteriore requisito della remunerazione del servizio fornito dall’autista contattato tramite UBER POP.
Se già le originarie asserzioni svolte dalle società resistenti quanto alla natura di mero rimborso spese di quanto pagato dall’utente per il trasporto risultavano di incerto fondamento – in quanto tali tariffe risultavano genericamente giustificate come “orientativamente” stabilite in relazione alle tariffe ACI, senza ulteriori approfondimenti – la produzione documentale eseguita dalle ricorrenti con la loro memoria di replica sembra dimostrare senza alcun dubbio la natura di vero e proprio corrispettivo che deve essere riconosciuto a tale pagamento.
In effetti il meccanismo del “Surge” determina un aumento dei prezzi in connessione di un prevedibile aumento della domanda, sia in relazione a particolari eventi (manifestazioni, scioperi ecc.) che rispetto al livello generale della domanda registrabile in aree diverse della città (doc. 50 fase. ric.), così sganciandosi obbiettivamente quanto pagato dall’utente da qualsiasi parametrazione pertinente ad un presunto rimborso spese che evidentemente non può essere influenzato da tali eventi occasionali ed esterni.
A parere di questo giudice non possono essere ritenuti rilevanti, al fine di escludere che un servizio svolto nelle condizioni innanzi menzionate possa essere equiparato a quello del servizio taxi, le circostanze che gli autisti associati ad UBER POP non siano vincolati a turni obbligatori ed all’onere di accettare tutte le richieste di trasporto ad essi rivolte dagli utenti.
In effetti la tesi sostenuta dalle resistenti appare paradossale, ove si osservi che detti obblighi cui sono soggetti i titolari di licenza per servizio taxi costituiscono di fatto la contropartita del fatto che il settore sia ad accesso regolato (numero di licenze predeterminate) e sono funzionali proprio al soddisfacimento dell’interesse pubblico a che l’utenza possa contare su di un servizio anche in periodi ed orari in cui la domanda è meno intensa.
Proprio il fatto di non essere titolari di licenza consente lo svolgimento del servizio evitando di essere soggetti agli oneri in questione, che tuttavia risultano di fatto fondanti la scelta legislativa di assoggettare tale specifico settore di attività di trasporto ad una regolamentazione amministrativa.
Né appare idonea a determinare una effettiva separazione dell’ambito dei consumatori di riferimento l’affermazione svolta dalle società resistenti circa la destinazione di UBER POP a soggetti che non utilizzerebbero in nessun caso il servizio taxi. Tale affermazione è in sé priva di qualsiasi riscontro reale, mentre assume rilevanza al contrario il fatto obbiettivo che l’intento e l’effetto del servizio prestato è quello di offrire un’alternativa più economica al servizio taxi, e cioè di esaudire ad un prezzo minore la medesima esigenza di spostamento dell’utente da qualsiasi punto di partenza fino ad una destinazione da esso prescelta. Ciò consente di ritenere in tutta evidenza che sussiste con certezza un’area di soggetti comunque interessati al risparmio sul prezzo della corsa di un taxi – che dunque possano essere sviati dall’utilizzazione del servizio pubblico –  che consente anche in via potenziale di ritenere integrato il presupposto proprio dell’illecito concorrenziale relativo alla sostanziale comunanza tra le parti della platea dei consumatori, comunque rilevante anche se parziale.
5. Le società resistenti hanno argomentato che l’attività in questione sarebbe in realtà riferibile ad una community, alla quale prendono parte solo coloro che installano sullo smarthphone l’app UBER POP, così evidenziandosi il carattere privato del trasporto in quanto per usufruire del servizio sia come guidatore che come passeggero è necessario aderire al gruppo Uber.
Richiamato il fatto che – come innanzi sostenuto – il servizio fornito tramite UBER POP integra ai sensi dell’art. 82 C.d.S un uso di terzi del veicolo in quanto esso risulta prestato, dietro corrispettivo, nell’interesse di persone diverse dall’intestatario della carta di circolazione e che un uso siffatto richiede necessariamente un titolo autorizzativo in capo al soggetto che lo esercita (sia per taxi che per noleggio con conducente), la sussistenza di una community non pare in sé sulla base della legislazione vigente poter consentire comunque l’esercizio in forma privata dell’attività innanzi descritta, nemmeno in via occasionale.
Peraltro l’offerta del servizio in questione agli utenti viene svolta in maniera del tutto indifferenziata tramite la proposta di scaricare l’app né tale offerta risulta contraddistinta da alcuna delimitazione o caratterizzazione che ne circoscriva in partenza il pubblico di riferimento, sicché sostanzialmente il servizio viene poi effettivamente svolto in favore di chiunque scelga di avvalersene, cosi come accade anche per chi decida di scaricare app che organizzano in maniera del tutto analoga il servizio svolto da titolari di licenze taxi o di ricorrere alle centrali telefoniche radiotaxi.
In buona sostanza la richiesta di iscrizione al servizio per gli utenti appare di fatto sostanzialmente finalizzata a dare corso al sistema di pagamento del trasporto mediante carta di credito.
6. Le società resistenti hanno peraltro affermato che in realtà UBER POP sarebbe una mera applicazione informatica che serve a favorire forme di trasporto condiviso, realizzate direttamente dagli utenti. Sul piano sociale, tale sistema sarebbe, infatti, espressione della nuova concezione di utilizzazione dell’autovettura in maniera condivisa, al fine di abbattere i costi di impiego dell’auto privata e di ridurre l’inquinamento.
Va qui richiamato quanto già detto rispetto all’impossibilità che soggetti privi di licenza possano svolgere in forma privata un servizio corrispondente a quello di taxi, né peraltro il servizio UBER POP potrebbe legittimamente paragonarsi a forme di condivisione di trasporto su strada la cui liceità pare evidente.
Ci si riferisce in particolare alle forme di car sharing e di ride sharing, già operative da tempo, che in realtà presuppongono che l’autista abbia un suo percorso personale da svolgere – sia in città per andare al lavoro che in occasione di un viaggio verso una specifica destinazione per motivi personali – e che chieda a terzi di condividere il medesimo percorso al fine di dividere le relative spese. La differenza con il servizio UBER POP è palese, ove si osservi che l’autista in tali circostanze esegue il tragitto per un interesse proprio e che in genere le quote richieste ai partecipanti si riducono alla divisione del prezzo della benzina e dei pedaggi autostradali con conseguente inapplicabilità delle sanzioni previste dall’art. 82 C.d.S., non trattandosi di uso del veicolo nell’interesse di terzi mentre nel servizio UBER POP l’autista non ha un interesse personale a raggiungere il luogo indicato dall’utente e, in assenza di alcuna richiesta, non darebbe luogo a tale spostamento.
Ciò sembra ingenerare per la verità anche un dubbio sull’effettiva attitudine di tale servizio a generare vantaggi alla collettività in termini di riduzione di inquinamento atmosferico e consumo energetico, posto che esso sembra al contrario stimolare l’uso di mezzi privati senza che rispetto a tale uso possano essere poste in essere misure di programmazione e regolazione generale della mobilità che sembrano unanimemente considerate come lo strumento principale di intervento nel settore del trasporto urbano e non.
La circostanza che in concreto UBER POP sia un’applicazione informatica non costituisce motivo per escludere la rilevanza della predisposizione e dell’uso della stessa nell’ambito del sistema nel quale essa è inserita.
Invero se le considerazioni innanzi svolte portano a ritenere che l’attività di trasporto urbano non di linea a richiesta di un utente non possano essere svolte che da soggetti titolari di licenza taxi (o di licenza di noleggio con conducente) e che l’autista che svolge tale servizio senza licenza è colui che pone in essere la condotta materiale vietata dal Codice della Strada e dalla normativa statale, regionale e comunale che regolano i servizi pubblici locali non di linea, tuttavia il ruolo delle società resistenti che viene svolto tramite l’applicazione informatica, nella piena consapevolezza che gli autisti aderenti sono privi di qualsiasi licenza appare essenziale per l’esistenza del servizio stesso e di fatto incidente sulla stessa organizzazione di esso, in misura tale da escludere che ci si trovi in presenza di un mero intermediario.
In effetti appare certo in primo luogo che le società resistenti hanno determinato la sostanziale nascita di tale fenomeno, nel senso che prima dell’introduzione di tale app i soggetti privi di licenza avevano un circoscritto perimetro di attività e di possibilità di contatto con gli utenti sostanzialmente a livello di contatto personale mentre UBER POP consente in tutta evidenza un incremento nemmeno lontanamente paragonabile al numero di soggetti privi di licenza che si dedicano all’attività analoga a quella di un taxi e parallelamente un’analoga maggiore possibilità di contatto con la potenziale utenza, così determinando un vero e proprio salto di qualità nell’incrementare e sviluppare il fenomeno dell’abusivismo.
Se dunque l’apporto al settore di tale app appare di fatto decisiva rispetto alla stessa esistenza del fenomeno in questione, deve altresì darsi rilievo allo stimolo che essa fornisce alla diffusione di autisti privi di licenza promuovendone il reclutamento principalmente presso soggetti che mai avevano svolto tale attività, alla piena consapevolezza delle resistenti della mancanza di titoli autorizzativi in capo ad essi è desumibile dal fatto che tra i requisiti richiesti agli aspiranti autisti non compare la menzione di tale requisito e i dati rilevabili dalla carta di circolazione del veicolo mostrano la destinazione di esso ad uso proprio o ad uso di terzi- nonché alla complessiva attività di incasso e pagamento che si attua tramite l’intervento attivo delle resistenti che predispongono anche le tariffe e – soprattutto – le variazioni di tale tariffe (v. meccanismo del “Surge” citato, in doc. 50 fase. ric.).
Il complesso di tali attività sembra dunque oltrepassare l’ambito di operatività di un mero intermediario e involge aspetti direttamente organizzativi e propulsivi del servizio in questione – tanto da doversi approfondire, a parere di questo giudice, anche se il ruolo ricoperto dai responsabili di UBER POP possa in realtà inquadrarsi in quello di vettore ai sensi degli artt. 1678 e 1681 c.c. anche a prescindere dalle statuizioni contrattuali predisposte – e soprattutto esso appare rilevante sul piano dell’illecito concorrenziale in quanto, proprio perché l’applicazione informatica in questione ha di fatto consentito la nascita o comunque un improvviso ed esteso ampliamento di comportamenti non consentiti dalla legislazione nazionale, la sua predisposizione ed utilizzazione apporta un contributo essenziale e insostituibile allo sviluppo di condotte illecite, idonee ad incidere sul mercato in danno dei soggetti ricorrenti, e dalle quale le stesse resistenti traggono diretti benefici economici.
7. Sulla base delle considerazioni innanzi svolte, ritiene dunque il giudicante che la predisposizione e l’utilizzazione dell’app UBER POP integri la fattispecie di illecito concorrenziale di cui all’art. 2598 n. 3 c.c..
Le società resistenti hanno contestato l’applicabilità di tale ipotesi di illecito, connessa alla prospettata violazione da parte dei guidatori di UBER POP di norme pubblicistiche, in quanto tale sola condotta non sarebbe comunque di per sé sufficiente ad integrare un illecito anticoncorrenziale.
A tale proposito vale osservare che la giurisprudenza più recente ha precisato che in tema di concorrenza sleale, i comportamenti lesivi di norme di diritto pubblico non necessariamente integrano, di per sé stessi, atti di concorrenza sleale, ai sensi dell’art. 2598, n. 3, c.c., atteso che l’obbiettivo anticoncorrenziale può essere raggiunto anche attraverso comportamenti che, benché non siano previsti dalla legge, siano connotati dallo stesso disvalore di quelli espressamente regolati. In particolare, la violazione delle norme pubblicistiche è sufficiente ad integrare la fattispecie illecita quando essa è stata causa diretta della diminuzione dell’altrui avviamento ovvero quando essa, di per sé stessa, anche senza un comportamento di mercato, abbia prodotto il vantaggio concorrenziale che non si sarebbe avuto se la norma fosse stata osservata (così Cass. 8012/04).
Nel caso di specie il comportamento delle società resistenti è volto ad organizzare e stimolare la presenza di autisti abusivi sulla piazza ed a trarre da detta attività dei proventi – risulta certamente indissolubilmente connesso all’attività dei singoli autisti che con il loro comportamento violano la normativa di legge che regola il servizio di taxi e ne sfrutta, ampliandole in maniera esponenziale, le capacità di alterazione del mercato soggetto a regolamentazione amministrativa anche a livello tariffario.
È indubbio che la predisposizione dei corrispettivi per i trasporti degli autisti UBER POP- come si è visto (meccanismo del “Surge”) sostanzialmente eseguita dalle società resistenti – rivela la fissazione di tariffe sensibilmente più basse di quelle proprie degli esercenti il servizio taxi, consentita dall’evidente risparmio di costi che gli operatori sprovvisti di licenza non devono sostenere.
Tali costi sono connessi all’acquisto di un veicolo univocamente dedicato all’uso di terzi (che in relazione al più volte citato art. 82 C.d.S. non può essere destinato ad uso proprio del tassista e quindi costituisce bene direttamente ed unicamente strumentale all’esercizio dell’azienda), all’installazione di apparecchi imposti dalla normativa (tassametri), alla stipulazione di contratti assicurativi per usi professionali di importo e garanzie ben superiori ad un contratto di assicurazione per veicolo destinato ad uso proprio (le cui garanzie in favore di terzi trasportati peraltro potrebbero essere negate dalla compagnia di assicurazione ave connesse alla prestazione del servizio UBER POP), all’associazione a servizi che garantiscano potenzialità di contatto con la clientela analoghe a quelle proprie dell’app UBER POP e all’installazione dei relativi apparati (centrale radiotaxi; applicazioni informatiche gestite da cooperative di taxi; impianti radiotrasmittenti e di localizzazione GPS ecc.).
Tali rilievi consentono dunque di confermare che la mancanza di titoli autorizzatoti e l’operatività degli autisti di UBER POP al di fuori degli oneri imposti dal regime amministrato dell’attività comportano un effettivo vantaggio concorrenziale in capo alle società resistenti che concorrono nel loro insieme a definire un comportamento non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a determinare uno sviamento di clientela indebito.
La mancata soggezione degli autisti UBER POP ai costi inerenti al servizio taxi innanzi menzionati consente pertanto l’applicazione di tariffe sensibilmente minori rispetto a quelle del servizio pubblico e non praticabili dal tassista. L’illecito sviamento così determinato di fatto comporta dunque un’alterazione dell’adeguatezza del tariffario imposto ai tassisti in quanto modifica anche il quadro complessivo dei fattori economici che concorrono a determinarlo in concreto (aumento incontrollato dell’offerta) e determina altresì l’ulteriore profili di scorrettezza concorrenziale consistente nella sottrazione degli autisti UBER POP dagli altri oneri e limiti cui i tassisti sono vincolati (rispetto di turni prefissati anche in orari in cui la domanda è minore) e che incidono anch’essi sulla redditività dell’economica di questi ultimi.
8. Sussiste altresì anche l’ulteriore presupposto necessario per l’adozione di misure cautelari ed urgenti, consistente nel periculum in mora.
Appare evidente che la prestazione del servizio contestato sia legata ad un fenomeno in rapida evoluzione e rispetto al quale le società resistenti hanno programmato un’imminente ulteriore estensione ad altre città italiane.
Tale contesto rivela l’esistenza di un progressivo ma intenso ampliamento della diffusione del servizio stesso, che rende di fatto irrilevante il fatto che esso sia stato lanciato da circa un anno posto che il suo crescente successo e la eccezionale capacità di diffusione che consente la rete telematica in un quadro di intensa promozione del servizio rende attuale e sussistente la necessità di provvedere in via d’urgenza in quanto gli effetti pregiudizievoli nel settore – ove si attendesse l’esito di una causa di merito – risulterebbero non compiutamente risarcibili in termini esclusivamente pecuniari.
Inoltre risulta altresì evidente che tale pregiudizio ha una sua peculiare e stringente attualità in quanto esso appare certamente oggi accentuato per effetto del previsto consistente numero di visitatori della manifestazione Expo 2015, che pur interessando direttamente la città di Milano appare suscettibile di ampliare anche l’afflusso turistico in altre città italiane tra le quali anche quelle ove operano parte degli odierni ricorrenti.
9. Quanto agli aspetti soggettivi propri della presente controversia, appare fondata l’eccezione svolta dalle resistenti quanto alla rilevanza nella fattispecie di concorrenza sleale di interessi propri della ITALTAXI SERVICE s.r.l..
Invero appare pacifico che detta società svolga l’attività di fornitura di servizi amministrativi e contabili in favore di imprese che esercitano il servizio taxi. In effetti rispetto all’ipotesi di concorrenza sleale contestata non vi è comunanza di mercato, risultando l’attività contestata svolta invece sul mercato dell’utenza dei servizi di trasporto urbani non di linea.
Lo stato sommario della controversia non consente invece – salvo maggiori approfondimenti in una eventuale sede di merito – di verificare le relazioni intercorrenti tra i vari soggetti giuridici che nel loro complesso risultano comunque coinvolti a vario titolo nell’organizzazione, promozione e diffusione del servizio UBER POP. Se i rapporti intragruppo tra le varie società olandesi potranno essere adeguatamente affrontati in sede di merito, può peraltro rilevarsi che la società UBER ITALY s.r.l. per ciò che emerge dagli atti e documenti di causa appare invece attivamente partecipe dello sviluppo e della promozione del servizio UBER POP nei territorio nazionale, come rilevabile sia dall’assistenza svolta nei confronti degli autisti che dall’attività svolta dall’amministratore della stessa in occasioni di pubblico confronto.
Le misure cautelari di seguito disposte non possono invece essere rivolte anche nei confronti del resistente non costituito R. N., il quale risulta essere uno degli autisti operanti all’interno del sistema UBER POP.
In effetti egli – pur dando luogo personalmente ai trasporti in forma non autorizzata, e dunque di fatto compartecipe della complessiva attività di concorrenza sleale – appare del tutto estraneo alla predisposizione ed organizzazione del sistema UBER POP e della relativa app, sicché i comandi cautelari richiesti dalle ricorrenti ed incentrati su detta applicazione e sui suoi usi non possono ritenersi effettivamente pertinenti alla posizione del medesimo e dunque privi di effettiva strumentalità rispetto alle domande ipotizzabili nei suoi confronti in sede di merito.
10. In conclusione devono dunque essere emessi provvedimenti di inibitoria che investono sin l?utilizzazione sul territorio nazionale dell’app denominata UBER POP sia del servizio – comunque denominato e con qualsiasi mezzo promosso e diffuso – che organizzi, diffonda e promuova un servizio di trasporto terzi dietro corrispettivo su richiesta del trasportato, in modo non continuativo o periodico, su itinerari e secondo orari stabiliti di volta in volta.
A tale inibitoria va associata anche la relativa penale ex art. 614 bis c.p.c. nella misura determinata in dispositivo.
Non ritiene il giudicante di applicare anche la cauzione richiesta dalle parti resistenti, atteso il quadro normativa esistente che appare chiaro e coerente rispetto alla regolamentazione dello specifico settore del trasporto pubblico urbano.
Se la natura cautelare del presente procedimento non consente la determinazione e condauna al risarcimento del danno, può essere comunque disposta la pubblicazione del dispositivo del presente provvedimento nei termini specificati in dispositivo.
Devono altresì essere liquidate le spese del procedimento in favore delle parti ricorrenti vittoriose, nella misura determinata in dispositivo, attesa l’idoneità delle misure cautelari adottate alla loro stabilizzazione tra le parti senza la necessità di instaurare la relativa causa di merito.
Quanto alle spese relative al rigetto delle domande cautelari svolte da ITALTAXI SERVICE s.r.L, esse possono essere compensate tra le parti, mentre la mancata costituzione in giudizio del resistente N. non comporta la liquidazione in suo favore di alcuna somma a titolo di spese.
P.Q.M.
visto l’art. 669 octies c.p.c.:
1) in parziale accoglimento del ricorso cautelare avanzato da TAXIBLU s.e. – Taxiblu Consorzio Radiotaxi Satellitare soc. coop., SOCIETÀ COOPERATIVA PRONTO TAXI s.e. a r.I., COOPERATIVA RADIO TAXI TORINO s.e., COOPERATIVA RADIOTAXI GENOVA s.e., , E. L. B., C. S., A. BI., A. AI. CAT, D. A., V. CE., ASSOCIAZIONE SINDACALE S.A.T.M./C.N.A. – Sindacato Artigiano Taxisti di Milano e provincia, ASSOCIAZIONE UNICA MILANO E LOMBARDIA, T.A.M. – Tassisti Artigiani Milanesi, UNIONE ARTIGIANI DELLA PROVINCIA DI MILANO, FEDERAZIONE NAZIONALE UGL TAXI, ASSOCIAZIONE TUTELA LEGALE TAXI nei confronti di UBER INTERNATIONAL B.V., UBER INTERNATIONAL HOLDING B.V., UBER B.V., RAISER OPERATIONS B.V., UBER ITALY s.r.l., accertata la concorrenza sleale posta in essere ai sensi dell’art. 2598 n. 3 c.c. dalle parti resistenti, inibisce in via cautelare ed urgente alle medesime l’utilizzazione sul territorio nazionale dell’app denominata UBER POP e comunque la prestazione di un servizio – comunque denominato e con qualsiasi mezzo promosso e diffuso – che organizzi, diffonda e promuova da parte di soggetti privi di autorizzazione amministrativa e/o di licenza un trasporto terzi dietro corrispettivo su richiesta del trasportato, in modo non continuativo o periodico, su itinerari e secondo orari stabiliti di volta in volta;
2) fissa a titolo di penale per il ritardo nell’attuazione dell’inibitoria di cui al capo 1) la somma di € 20.000,00 per ogni giorno di ritardo a decorrere dal quindicesimo giorno successivo alla comunicazione della presente ordinanza;
3) rigetta le domande svolte dalla ricorrente ITALTAXI SERVICE s.r.l. nonché quelle di tutte le ricorrenti nei confronti del resistente R. N. e le altre domande avanzate dalle ricorrenti;
4) dispone la pubblicazione del dispositivo del presente provvedimento per giorni trenta sulla home page del sito www.uber.com nella sua sezione dedicata al territorio italiano in firma leggibile e diretta (senza necessità di rinvio mediante ulteriori link) entro quindici giorni dalla comunicazione della presente ordinanza a cura ed a spese delle resistenti;
5) condanna le parti resistenti UBER INTERNATIONAL B.V., UBER INTERNATIONAL HOLDING B.V., UBER B.V., RAISER OPERATIONS B.V., UBER ITALY s.r.l. in solido tra loro al rimborso delle spese del giudizio in favore delle ricorrenti, liquidate in complessivi € 12.800,00 (di cui € 800,00 per spese ed € 12.000,00 per compensi) oltre rimborso forfettario ex art. 2, comma 2 D.M. 55/14 ed oneri di legge e dichiara compensate le spese tra le parti resistenti e la ricorrente ITALTAXI SERVICE s.r.l.
25 maggio 2015
Giudice Marangoni
 

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