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Status di rifugiato e protezione sussidiaria. Il caso di un cittadino ivoriano

Commento a sentenza n. 4288/2018 del 28.09.2018, Corte d’Appello di Milano, sez. II civile (leggi la sentenza)

 
Premessa
La sentenza in oggetto affronta l’attuale quanto delicato tema della richiesta d’asilo in Italia, in particolare per ciò che concerne lo status di rifugiato e la protezione internazionale.
L’appellante, cittadino originario della Costa d’Avorio, chiedeva alla Corte d’Appello milanese, in via principale, la riforma del provvedimento della Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, la quale aveva negato l’identificazione nello status di rifugiato; in via subordinata, nella denegata ipotesi in cui non venisse accolta la precedente domanda, il riconoscimento quantomeno della protezione sussidiaria; in via ulteriormente subordinata, in caso di rigetto di entrambe le precedenti domande, di disporre la trasmissione degli atti al Questore di Milano ovvero alla Questura ritenuta competente per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari ex art. 5 comma 6 del d.lgs. 286/1998 (T.U. Immigrazione).
Il Ministero dell’Interno, appellato, resisteva in giudizio insistendo per l’infondatezza di tutte le domande proposte da controparte, in quanto non ne sussistevano i presupposti per nessuna di esse.
La vicenda personale dell’appellante, in questi tipi di valutazioni di fondamentale importanza, consente di comprendere meglio le ragioni alla base della decisione dei Giudici di Milano.
In una prima fase, nel corso dell’audizione avanti la Commissione territoriale il ricorrente spiegava, non senza contraddizioni, il motivo per il quale si trovava irregolarmente nel territorio italiano. Quest’ultimo, cittadino della Costa d’Avorio, dopo aver chiarito la propria situazione familiare, confessava di essersi trovato costretto a lasciare il Paese natio per problemi di matrice domestica con alcuni parenti. In particolare, il fratellastro e lo zio paterno, dopo la morte del padre, armati di fucile, avevano intimato il ricorrente, oltre la madre e la sorella dello stesso, di lasciare immediatamente la casa di famiglia al fine di estrometterli dall’asse ereditario. Innanzi la Commissione, il richiedente asilo, in maniera palesemente contradditoria, dichiarava di aver provato a fare denuncia nei confronti dei suoi aggressori, ma che poi aveva desistito da tale proposito in quanto il fratellastro e lo zio facevano parte di un gruppo di ribelli protetto, a suo dire, dal governo in carica. Riportava, inoltre, che in seguito a ulteriori minacce la madre gli consigliava di lasciare la città, cosa poi avvenuta, fintanto che, in occasione di un viaggio di lavoro in Libia, la polizia lo arrestava per trasporto irregolare di merci. Dalla Libia sarebbe stato poi trasportato in Italia in maniera irregolare e al nostro Paese richiedeva asilo poiché, in caso di ritorno in Costa d’Avorio, teme di essere ucciso dal fratellastro.
La Commissione Territoriale respingeva la richiesta e, in seguito a ricorso ai sensi dell’art. 35 d.lgs. 25/2008, anche il Tribunale di Milano rigettava tutte le domande poi riproposte nel giudizio in appello e riportate in precedenza.
Ai fini della comprensione delle decisioni degli organi menzionati, oltre che della sentenza in commento, è opportuno fare chiarezza sul tenore delle domande proposte e sul significato delle stesse.
Chi è il richiedente asilo?
In questa prima fase, va comunque chiarito il significato di richiedente asilo. Il termine indica una persona che, avendo lasciato il proprio paese, chiede il riconoscimento dello status di rifugiato o altre forme di protezione internazionale. Fino a quando non viene presa una decisione definitiva dalle autorità competenti di quel paese (in Italia è la Commissione Territoriale), la persona è un richiedente asilo e ha diritto di soggiornare regolarmente nel paese, anche se arrivato senza documenti o in maniera irregolare.
Per inciso, si rammenta che le disposizioni sull’accoglienza dei richiedenti asilo, contenute negli artt. 20 e 21 del d.lgs. 25/2008, costituiscono uno degli aspetti normativi più rilevanti e delicati, in particolare per quanto riguarda il coordinamento con le previsioni di matrice europea. In particolare, le norme che disciplinano l’asilo sono regolate a livello comunitario dal Regolamento di Dublino II, per il quale lo straniero può richiedere la protezione internazionale nello Stato dell’Unione Europea nel quale per primo mette piede; sarà dunque il Paese d’arrivo del migrante a esaminare la domanda. Questa disposizione è stata oggetto di forti critiche, ormai da qualche anno, da parte del nostro Governo, in quanto le coste italiane sono l’approdo della maggior parte dei richiedenti asilo.
In ultima battuta, si ricorda che in base all’art. 10 della Costituzione, lo straniero al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge.
Circa lo status di rifugiato: un po’ di chiarezza
La definizione generale di rifugiato, recepita anche in ambito italiano ed europeo, è quella della Convenzione di Ginevra del 1951, un trattato delle Nazioni Unite, ratificato da 145 Paesi; l’Italia ha accolto tale definizione nella L. 722/1954. Il rifugiato è colui «che temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non avendo cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra».
Dal punto di vista giuridico-amministrativo il detto status va riconosciuto a una persona che se tornasse nel proprio paese d’origine potrebbe essere vittima di persecuzioni. Queste ultime, ovviamente, sono azioni che, per la loro natura e la loro frequenza, sono una violazione grave dei diritti umani fondamentali.
Nel caso di specie, tali presupposti non sussistono: le minacce del fratellastro e dello zio non sono tali a integrare quanto richiesto dalla disposizione normativa (per esempio, motivi di razza, religione ecc.).
Segue: circa il beneficiario di protezione umanitaria sussidiaria
Il diritto europeo disciplina lo status di beneficiario di protezione sussidiaria nella Direttiva Qualifiche, quale livello complementare e subordinato di protezione internazionale ulteriore rispetto allo status di rifugiato. Chi beneficia della protezione umanitaria non è riconosciuto come rifugiato, perché non è vittima di persecuzione individuale nel suo paese ma ha comunque bisogno di protezione e/o assistenza perché particolarmente vulnerabile sotto il profilo medico, psichico o sociale o perché se fosse rimpatriato potrebbe subire violenze o maltrattamenti.
La protezione sussidiaria è una forma di protezione internazionale prevista dall’Unione Europea e riconosciuta a chi rischia di subire un danno grave se rimpatriato, a causa di una situazione generalizzata e di conflitto. Inoltre può ottenere la protezione sussidiaria chi corre il pericolo di subire tortura, condanna a morte o trattamenti inumani o degradanti per motivi diversi da quelli previsti dalla convenzione di Ginevra.
La Costa d’Avorio, paese di origine del richiedente asilo, non vede in corso conflitti e la situazione politica risulta essere quantomeno stabile (come da rapporti dell’ONU). Non solo, ma per le minacce subite dai parenti, motivo per il quale viene chiesta protezione, senz’altro potrebbe trovare tutela nell’Autorità di polizia e di sicurezza ivoriane.
Quindi, nemmeno detta domanda può essere accolta nel caso de quo.
Segue: permesso di soggiorno per motivi umanitari ex art. 5 comma 6 d.lgs. 286/1998
Per ciò che concerne l’art. 5 comma 6 del d.lgs. 286/1998, e ultima domanda proposta dall’appellante nel caso in esame, è opportuno menzionare la sentenza n. 4455/2018 con cui la Corte di Cassazione è intervenuta enunciando i criteri ermeneutici rilevanti ai fini di un’appropriata applicazione delle disposizioni in materia di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. La Suprema Corte ritiene che l’integrazione sociale sia un motivo rilevante per la determinazione della vulnerabilità individuale e del riconoscimento della protezione umanitaria. Non solo, ma ritiene necessario anche l’accertamento del fatto che il ricorrente, nel suo paese, corra il rischio di veder sacrificati i propri diritti fondamentali anche per ragioni diverse da quelle per cui opera la protezione internazionale con lo status di rifugiato e con la protezione sussidiaria. Comunque, al giudice del merito spetta sempre il compito di verificare se tale rischio di pregiudizio sia attuale.
Nel caso in esame, la mancata comparizione all’udienza dell’appellante non consente al Giudice di valutare la situazione in concreto, non essendo documentalmente provate le doglianze del richiedente asilo. Se ne trae che, al fine di un corretto esame delle dette domande, è necessaria la valutazione della vicenda personale del soggetto.
Per completezza e in conclusione, si osserva che il Decreto Sicurezza, in vigore dal 5 ottobre 2018, nel modificare il comma 6 dell’art. 5 del d.lgs. 286/2018 ha di fatto abrogato la norma che ammetteva il rilascio del permesso di soggiorno in presenza di «seri motivi, in particolare di carattere umanitario». La giurisprudenza di merito, da ultima un’ordinanza del Tribunale di Firenze, ritiene comunque applicabile la “vecchia” disposizione ai procedimenti pendenti. In altri termini, il D.L. 113/2018 non si applica ai procedimenti in corso, ovvero quelli in cui la domanda di richiesta di asilo è stata presentata prima del 5 ottobre, dal momento che la legge dispone per l’avvenire e non ha effetto retroattivo (art. 11 preleggi).
La decisione della Corte d’Appello di Milano
La Corte d’Appello di Milano conferma quanto già precedentemente statuito dalla Commissione Territoriale e dal Tribunale, seguendo in buona sostanza il medesimo percorso argomentativo.
In primo luogo, si ricorda che la Commissione Territoriale aveva respinto la richiesta di protezione internazionale nelle sue diverse forme, in quanto i motivi della fuga dal Paese di origine del ricorrente riguardano «dissapori familiari legati all’eredità». Il Tribunale, analogamente, ha respinto in toto le domande del cittadino ivoriano. In particolare, per ciò che concerne il riconoscimento dello status di rifugiato, ha sottolineato che le vicende narrate «non raggiungono un sufficiente grado di credibilità intrinseca perché riportate in maniera generica e poco circostanziata e caratterizzate da aspetti di implausibilità».
La Corte d’Appello ha confermato quanto già precedentemente disposto.
Secondo il giudizio della Corte emerge una totale mancanza di credibilità del ricorrente che impedisce di accogliere la richiesta di protezione internazionale primaria e sussidiaria ai sensi dell’art. 14 lett. a) e b) d.lgs. 251/2007. Infatti, è totalmente assente la prova di persecuzione o di un rischio concreto di danno alla persona del ricorrente. La minaccia del fratellastro e dello zio non è tale da integrare i requisiti per la richiesta dello status di rifugiato e di protezione umanitaria sussidiaria, come visti in precedenza.
Non solo, ma per quanto riguarda la sussistenza dei presupposti per la protezione umanitaria sussidiaria i Giudici milanesi evidenziano che, valutata la situazione attuale della Costa d’Avorio, è «da escludere la presenza di un pericolo attuale di danno grave e concreto derivante da situazioni di violenza indiscriminata in un contesto di conflitto armato o internazionale».
Infine, circa il riconoscimento della protezione umanitaria ex art. 5 comma 6 T.U. Immigrazione, la mancata comparizione personale dell’appellante non consente di apprezzare le attuali condizioni di vita del ricorrente, né di valutare ulteriori e attuali specifici motivi di vulnerabilità rilevanti per il riconoscimento di tale tipo di tutela, e di considerare il grado di integrazione del ricorrente nel contesto socio-economico italiano.

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Matteo Morbin

Laureato in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi Verona, tesi in diritto processuale penale dal titolo Iscrizione della notizia di reato nel registro ex art. 335 c.p.p. e principio dell'obbligatorietà dell'azione penale. Praticante avvocato. Frequenta la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali, Università degli Studi di Trento e Verona.

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