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Separazione delle Carriere: Cosa ne pensano i Magistrati?

La proposta di riforma che prevede la separazione delle carriere tra pm e giudice ha l’avallo anche di qualche magistrato. Il commento di Lina Corbeddu pubblico ministero presso il tribunale di Roma.
Mancano 100 giorni alla chiusura della raccolta firme che gli avvocati dell’unione camere penali italiane hanno promosso in favore di una proposta di legge costituzionale, di iniziativa popolare,  per la separazione delle carriere nella magistratura. Il traguardo delle 50 mila firme è stato già raggiunto e superato ma i banchetti dei penalisti continuano a stazionare davanti ai Tribunali italiani al refrain  “separare per migliorare”. Ne avevamo già parlato 
L’iniziativa dell’unione delle camere penali è osteggiata da molti magistrati. Lo scorso sei maggio il gruppo dei giudici aderenti all’associazione Magistratura Indipendente invitava “i propri rappresentanti al Comitato Direttivo Centrale a sollecitare una immediata presa di posizione dell’Anm (Associazione nazionale magistrati, l’organismo rappresentativo di giudici e pm, ndr) in relazione all’iniziativa patrocinata dalle Camere Penali di una proposta di legge di iniziativa popolare in materia di separazione delle carriere, ribadendo che qualsiasi intervento in materia di obbligatorietà dell’azione penale rappresenta un grave vulnus all’iniziativa della magistratura come disegnata dalla nostra Costituzione”.
Anche lo stesso presidente dei penalisti veronesi, Federico Lugoboni, aveva detto a Giuridica.net che la partecipazione all’iniziativa da parte dei magistrati fosse pressoché inesistente.
Tuttavia ci sono anche tra loro, fatte le dovute considerazioni sulla complessità della possibile riforma, alcune voci che si schierano a favore della separazione delle carriere.
A cominciare dall’ormai stra-citato giudice siciliano, ucciso 25 anni fa da quella organizzazione chiamata Mafia, che aveva cercato di distruggere. Giovanni Falcone in un’intervista a Repubblica del 1991, un anno prima della strage di Capaci, commenta il fallimento della sua strategia di lotta alla mafia fatta di pool, maxi processi e uso dei pentiti che prima della sua decaduta aveva contribuito a infliggere duri colpi a Cosa nostra. In una parte dell’intervista, Falcone, commenta il nuovo codice di procedura penale entrato in vigore qualche anno prima, il 24 ottobre 1989.
Riprendendo pedissequamente  da quell’intervista di Repubblica (qui il testo integrale  )il giudice dice afferma che: “la questione centrale, che non riguarda solo la criminalità organizzata, sta nel trarre tutte le conseguenze sul piano dell’ ordinamento giudiziario che il passaggio dal processo inquisitorio al processo accusatorio comporta. Se questa riforma dell’ ordinamento non sopravviene rapidamente il nuovo processo è destinato a fallire. Un sistema accusatorio parte dal presupposto di un pubblico ministero che raccoglie e coordina gli elementi della prova da raggiungersi nel corso del dibattimento, dove egli rappresenta una parte in causa. Gli occorrono, quindi, esperienze, competenze, capacità, preparazione anche tecnica per perseguire l’ obbiettivo”.
Falcone incalza affermando di essere assolutamente favorevole alla separazione delle carriere in magistratura e anzi che il pubblico ministero : “nel dibattimento non deve avere nessun tipo di parentela col giudice e non essere, come invece oggi è, una specie di para- giudice. Il giudice – continua Falcone –  in questo quadro, si staglia come figura neutrale, non coinvolta, al di sopra delle parti. Contraddice tutto ciò il fatto che, avendo formazione e carriere unificate, con destinazioni e ruoli intercambiabili, giudici e Pm siano, in realtà, indistinguibili gli uni dagli altri. Chi, come me, richiede che siano, invece, due figure strutturalmente differenziate nelle competenze e nella carriera, viene bollato come nemico dell’ indipendenza del magistrato, un nostalgico della discrezionalità dell’ azione penale, desideroso di porre il Pm sotto il controllo dell’ Esecutivo. E’ veramente singolare che si voglia confondere la differenziazione dei ruoli e la specializzazione del Pm, con questioni istituzionali totalmente distinte”.
E veniamo a noi, dopo questo doveroso riferimento, Giuridica.net ha cercato di capire se il disinteresse dei magistrati espresso da Lugoboni e la contrarietà definita da Magistratura Indipendente, rappresentassero l’approccio condiviso da tutti i giudici a proposito della separazione delle carriere. Evidentemente no. Il pubblico ministero del tribunale di Roma Lina Corbeddu si dice, infatti, “ampiamente favorevole”.
Il magistrato però puntualizza. “Occorre dividere le funzioni tra giudicante e inquirente per dare più garantismo. Senza però dimenticare che concorsi divisi, ovviamente doverosi, devono però non incidere sulla indipendenza della funzione del pubblico ministero. Infatti occorre sempre ricordare che il pubblico ministero non è come l’avvocato una parte privata, ma continua ad essere una parte pubblica che garantisce  e tutela non il singolo, ma la collettività. Soddisfa quindi le garanzie di tutela della società. Purtroppo il grosso problema della divisione delle carriere dovrà affrontare il nodo cruciale della obbligatorietà della azione penale. Poiché separando le carriere e prevedendo concorsi diversi potrebbe venirne intaccato, lasciando  quindi alla discrezionalità del PM la scelta se perseguire o meno determinati  reati. E  – conclude Corbeddu – fintanto che la Costituzione ne prevede l’obbligatorietà il problema è difficilmente risolvibile”.

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Stefania Di Ceglie

Giornalista

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