Di leggi, normative e anglicismi. Una questione di lingua

Bail-in, Jobs Act, spending review, welfare, stepchid adoption, whistleblower, house providing e home restaurant. Questi sono solo alcuni degli esempi di una contaminazione linguistica che, anno dopo anno, si fa sempre più evidente nella fase di redazione delle leggi italiane. Sebbene la lingua giuridica sia sempre stata una delle più resistenti all'”invasione dello straniero”, ultimamente le barriere si sono fatte deboli e, in molti punti, presentano dei varchi.
A mettere in evidenza la situazione è lo studio pubblicato dal Servizio per la qualità degli atti normativi del Senato (ripreso, su Facebook, anche dall’Accademia della Crusca). Il rapporto, nelle sue venti pagine, può essere riassunto come segue: le leggi hanno ancora un buon grado di resistenza, mentre i provvedimenti attuativi e le relazioni illustrative sono più permeabili agli anglicismi.
La permeabilità linguistica, secondo Sabino Cassese (giudice emerito costituzionale), è dovuta alla sempre minore attenzione che si rivolge alla scrittura delle leggi, «soprattutto per pigrizia». Un’abitudine che prende ispirazione dalla vita di tutti i giorni: «La tendenza è a ripetere parole che sono entrate nell’uso comune», spiega Sabino.
L’attività di monitoraggio viene mandata avanti anche dall’Accademia della Crusca tramite il gruppo Incipit, incaricato di controllare il linguaggio delle leggi e della comunicazione sociale pubblica in generale alla ricerca di neologismi o prestiti linguistici. «Il nostro scopo è la ricerca della chiarezza,» spiega il presidente Claudio Marazzini, «raggiunta attraverso sostituti trasparenti e italiani comprensibili a tutti». Una scarsa trasparenza, infatti, «va contro l’interesse del cittadino», e questo nel senso che, citando una battuta lanciata dallo stesso presidente, «la norma deve essere chiara a tutti, come un comando di un generale all’esercito. Se non viene compreso, si perde la guerra».
Una battuta, quella del presidente dell’Accademia, ma che rivela una grande verità. Dacché l’italiano giuridico risultava incomprensibile, ora ci si mettono anche anglicismi e prestiti vari. Una buona occasione per ripensare alle modalità di scrittura delle leggi o per promuovere programmi che educhino i giovani e non alla loro lettura? Pensandoci bene, non sarebbe male la seconda opzione.