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La concorrenza sleale parassitaria

Nella sentenza n. 219/2018 del Tribunale di  Bologna la parte attrice ha convenuto in giudizio una società gestente una struttura alberghiera chiedendo il riconoscimento di atti di concorrenza sleale parassitaria ex art. 2598 c.c.
Il pomo della discordia risiede nell’offerta ai clienti di una borraccia ricaricabile gratuitamente presso i distributori di bevande in hotel, considerata una pedissequa imitazione di un servizio già offerto dalla parte attrice.
Non solo è contestato «l’utilizzo di nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i segni distintivi legittimamente usati da altri» ma anche «il valersi direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda».
La parte convenuta impernia la sua difesa sostenendo invece che «entrambe le strutture offrivano gadget che però si differenziavano, e in ogni caso appariva a prima vista evidente come la presentazione delle due strutture ricettive fosse caratterizzata da elementi assolutamente differenti che non potevano in alcun modo accomunarle o creare confusione nell’utente del web o nel potenziale cliente».
Dopo avere sentito entrambe le ragioni, il giudice richiama la sentenza n. 3478/2009 della Cassazione, secondo cui «il fine ultimo del divieto di imitazione servile risiede nella concorrenza confusoria, ossia quella volta a creare confusione con i prodotti del concorrente tale da stornare il consumatore dalla reale fonte di produzione».
Preso atto che l’onore probatorio è carico dell’attore, il giudice respinge la richiesta; non solo la mancanza di prova sull’asserita confusione lesiva ma a fortiori la differenza di logo e denominazione hanno portato il giudice in questa direzione.

Leggi il testo integrale – Tribunale di Bologna, sentenza n. 219/2018

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Michel Simion

Dottore in Giurisprudenza, Università degli Studi di Verona. Tesi in diritto costituzionale giapponese, appassionato di letteratura asiatica.

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