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Il diniego di permesso umanitario

Il permesso per motivi umanitari può essere rilasciato su richiesta del cittadino straniero qualora ricorrano gravi motivi di carattere umanitario. Esso può essere chiesto e rinnovato anche in mancanza di passaporto e senza i requisiti previsti per altre tipologie di permessi come la disponibilità di mezzi di sostentamento, di mezzi per far ritorno nel proprio paese o di un alloggio. Con una durata variabile dai 6 mesi ai 2 anni, rinnovabile fino a quando dura la situazione che ne ha permesso il rilascio, esso permette:

  • lo svolgimento di attività lavorativa;
  • l’accesso al Servizio Sanitario Nazionale;
  • l’accesso ai centri di accoglienza dei comuni;
  • l’accesso alla formazione.

Il Procuratore generale di Bologna ricorre in Appello per richiedere la riforma dell’ordinanza che concede la protezione umanitaria ad un sedicente soggetto maliano.
Ciò che viene denunciato dall’appellante è l’automatica applicazione delle informazioni generali del Mali, pur di fronte alla chiara strumentalità della domanda di protezione posta in essere da uno straniero di identità e provenienze incerte.
D’altro canto l’appellato difende l’ordinanza impugnata, insistendo sulla veridicità della violenza familiare e della  impossibilità a tutelarsi in Patria a causa dell’ instabilità e delle violenze politiche; inoltre egli invoca la correttezza della protezione per la sua attuale condizione italiana caratterizzata dall’impegno profuso nella socializzazione e nel volontariato.
Il giudice, nella sentenza 185/2017 della Corte d’Appello di Bologna, accoglie le richieste dell’appellante. Il fatto che il soggetto maliano abbia più volte allegato una diversa identità, oltre alla più totale ignoranza sulle reali condizioni socio-politiche del Mali, rendono palese la strumentalità della richiesta di parte convenuta.
Più che un’immigrazione umanitaria quella del caso di specie sembra uno dei più classici casi di immigrazione economica, non meritevole di protezione umanitaria.

Leggi il testo integrale – Corte d’Appello di Bologna, sentenza n. 185/2017

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Michel Simion

Dottore in Giurisprudenza, Università degli Studi di Verona. Tesi in diritto costituzionale giapponese, appassionato di letteratura asiatica.

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