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Denigra i propri capi su Facebook: licenziato per insubordinazione

Corte di Cassazione – sentenza n. 27939/2021, sez. Lavoro

Denigrare i proprio capi su Facebook è sufficiente affinché scatti il licenziamento per insubordinazione.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 27939/2021.

Il caso

Si respinge così il ricorso di un ex-manager Telecom, il quale aveva perso il posto di lavoro per aver pubblicato alcuni post che offendevano onore e reputazione dei suoi superiori. L’attacco su Internet, secondo i giudici di merito, è sufficiente affinché possa scattare il licenziamento per insubordinazione (quindi per giusta causa); senza contare la diffamazione da valutare in sede penale.

L’insubordinazione

Al centro della decisione c’è proprio il il concetto di insubordinazione. Questo, spiegano i giudici di Cassazione, non è solo legato al rifiuto del lavoratore di rispettare la volontà dei superiori, ma riguarda «qualsiasi altro comportamento atto a pregiudicare l’esecuzione e il corretto svolgimento di dette disposizioni nel quadro dell’organizzazione aziendale». Detto questo, post simili a quelli pubblicati dal ricorrente possono minare l’organizzazione aziendale in termini di autorevolezza dei superiori.

Le prove

La difesa aveva provato a tirare in ballo la non ammissibilità delle prove acquisite, in quanto i post in oggetto erano rivolti solo agli amici. La Cassazione ricorda, invece, che un profilo pubblico non è «assistito da segretezza per la sua conoscibilità anche da terzi». Principio che non vale per le chat private, le quali sono da considerare come «corrispondenza privata chiusa e inviolabile».

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Redazione interna sito web giuridica.net

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