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Corte UE: legittimo il divieto del velo islamico al lavoro se vale per tutti i simboli religiosi

Corte di Giustizia dell’Unione europea – sentenza n. C-344/20

L’impresa che all’interno dei suoi locali vieta di indossare qualsiasi tipo visibile di simboli religiosi, filosofici o spirituali non commette discriminazione. L’importante è che la regola valga per ogni genere di confessione; al contrario, si configurerebbe una disparità di trattamento in conflitto con la direttiva 2000/78.

È la decisione espressa dalla sentenza n. C-344/20 della Corte di Giustizia dell’Unione europea, con la quale si è risposto alle domande sollevate dal Tribunale del Lavoro di Bruxelles.

Il caso

Una lavoratrice di fede musulmana aveva sollevato il caso contro un azienda che aveva scartato la sua candidatura per un tirocinio perché, nel corso del colloquio, aveva affermato che si sarebbe rifiutata di non indossare il velo. La regola interna della società era chiara: all’interno dei locali è vietato indossare qualsiasi tipo di indumento o segno visibile della propria fede religiosa.

Il passo successivo è stato la causa per discriminazione presso il Tribunale del Lavoro di Bruxelles. Secondo la ricorrente, il divieto era in conflitto con la legge belga contro le discriminazioni.

Se il divieto è generalizzato, non è automaticamente discriminazione

Ricevuti i dubbi del Tribunale del Lavoro, la Corte di Giustizia UE hanno risposto con un bilanciamento di interessi: libertà personale e libertà di impresa.

L’art. 1 della direttiva 2000/78 dice che le convinzioni personali e religiose rientrano nella stessa libertà a rischio di discriminazione, il che può tradursi in una differenza di trattamento nel caso in cui una norma apparentemente neutra si traduca in svantaggio per chi aderisce a una determinata religione o ideologia. L’impresa in questione, quindi, deve dimostrare di avere un’esigenza reale al fine di adottare una regola simile; in questo modo si deve ponderare anche la libertà di impresa.

Da qui si conclude che il divieto di mostrare la propria appartenenza religiosa sul luogo di lavoro non è automaticamente discriminazione, ma serve un motivo legittimo. L’importante è che il divieto riguardi tutte le religioni e correnti di pensiero.

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