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La minaccia di licenziamento è estorsione

Corte di Cassazione – sentenza n. 3724/2022, sez. Seconda Penale

Commette reato di estorsione il datore di lavoro che minaccia di licenziare i dipendenti che non accettano una retribuzione inferiore.
È quanto ha affermato la Corte di Cassazione con sentenza n. 3724/2022, con la quale si è accolto il ricorso di alcuni lavoratori e si è annullata la sentenza di appello.

Il caso

I ricorrenti prestavano servizio anche per venti ore al giorno, svolgendo compiti non compresi nelle mansioni e subendo vessazioni da parte del datore di lavoro; il tutto senza corrispondere un giusto compenso.
Riguardo alla paga, poi, il titolare era chiaro: o così o si era liberi di lasciare il lavoro.

Minaccia ed estorsione

Esaminati gli atti, il giudice di merito aveva escluso la sussistenza dell’estorsione perché il lavoratore era comunque libero di scegliere se proseguire o no il rapporto di lavoro. Questa interpretazione, però, non coincide con quanto osservato dalla Cassazione: «Non considera che la stessa nozione di minaccia implica proprio che sia rimessa alla vittima del reato la scelta della condotta ultima da adottare, ma nella consapevolezza che ove questa dovesse essere diversa da quella rappresentata e pretesa dal soggetto attivo, si avrebbe la conseguenza del male ingiusto prospettato»; in questi termini, quindi, ne consegue che l’estorsione è proprio il reato per cui è necessaria la cooperazione della vittima mediante costrizione.

Per di più, la “libertà di andarsene” non è da intendere come concessione di libertà di scelta. L’alternativa proposta dal datore di lavoro è comunque iniqua e illegittima, quindi sufficiente per creare una «peculiare condizione di debolezza delle persone offese, per le particolarità del contesto economico e, specificamente, dell’ambiente familiare di provenienza» di cui chi minaccia può approfittare per crearsi un vantaggio. Tuttavia, per integrare la minaccia è sufficiente la costrizione del lavoratore «ad accettare condizioni di lavoro inique e deteriori dietro la minaccia dell’interruzione del rapporto di lavoro, restando indifferente il contesto socio ambientale e familiare in cui tale coartizione viene effettuata».

Per questi motivi, la sentenza è stata annullata e rinviata al giudice competente.

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