Sentenze

Tribunale di Pordenone, Sez. Lavoro – Sentenza n. 27/2016 del 4.04.2016 (Dott. A. Riccio Cobucci)

INVALIDITÀ CONTRATTI A TERMINE E RISARCIMENTO DANNI

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Tribunale di Pordenone
Sezione Lavoro

Il Tribunale di Pordenone, in funzione di Giudice del Lavoro, in persona del dott. Angelo Riccio Cobucci pronuncia la seguente

SENTENZA

nella causa in materia di lavoro e di previdenza promossa con ricorso depositato il 5 agosto 2011

DA

XXX, C. R., C. G., C. N., C. M., D. F., XXX, G. V., P. M. T., P. A., S. S. e Z. J. rappresentati e difesi dall’avv. XX

RICORRENTI

CONTRO

XXX E D. R. rappresentato e difeso dall’A. D. S. D. T.
Oggetto: INVALIDITÀ CONTRATTI A TERMINE E RISARCIMENTO DANNI
Causa discussa e decisa all’udienza del 4 febbraio 2016 sulle seguenti

CONCLUSIONI

PER I RICORRENTI
IN VIA PREGIUDIZIALE PRINCIPALE:
RESISTENTE
Accertata l’illegittimità sia sotto il profilo costituzionale sia in riferimento ai principi comunitari dell’art. 9 comma 18 Decreto Legge 13.05.2011 n. 70, disapplicarsi la normativa nazionale contrastante con i principi del diritto comunitario.
IN VIA PREGIUDIZIALE SUBORDINA.:
Rimettersi alla Corte di Giustizia le seguenti questioni:
a) se la previsione dell’allegato alla direttiva 1999/70/CE, clausola 5, come già interpretata dalla Corte di Giustizia CE, osti alla disciplina nazionale di cui al comma 18 del D. L. n. 70/2011, la quale esclude dall’applicazione del D. Lgs. 368/2001 (attuativo della direttiva 99/70/CE) i contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze del personale docente ed XXXXXX ed, in particolar modo, esclude, per tale categoria di lavoratori, la conversione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato, quale sanzione per l’utilizzo abusivo di contratti a termine.
b) se i principi generali del vigente diritto comunitario, della certezza del diritto, della tutela del legittimo affidamento, della uguaglianza delle armi del processo, dell’effettiva tutela giurisdizionale, del diritto ad un tribunale indipendente e, più in generale, ad un equo processo, garantiti dall’art. 6, n. 2, del Trattato sull’Unione Europea (così come modificato dall’art. 1.8 del trattato di Lisbona e al quale fa rinvio l’art. 46 del trattato sull’Unione) è in combinato disposto con l’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e con gli artt. 46, 47 e 52, n. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea come recepiti dal Trattato di Lisbona, debbano essere interpretati nel senso di ostare all’emanazione da parte dello Stato italiano, dopo un arco temporale apprezzabile, di una norma difforme rispetto al dettato da interpretare e contrastare con l’interpretazione dell’organo titolare della funzione nomofilattica, norma oltretutto rilevante per la decisione di controversie in cui lo stesso Stato Italiano è coinvolto come parte.
NEL MERITO In via principale:
– Previo accertamento che il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e dXXXX R. ha illegittimamente stipulato con i ricorrenti più contratti di lavoro a tempo determinato in successione tra loro, dichiararsi la nullità dell’apposizione del termine ai suddetti contratti e, per l’effetto, dichiararsi che i ricorrenti hanno diritto a veder convertire in contratto di lavoro a tempo indeterminato la successione di contratti a tempo determinato in precedenza stipulati a far data dal primo contratto ovvero dalla decorrenza degli altri contratti stipulati tra le parti o dalla diversa data ritenuta di giustizia.
Condannarsi conseguentemente il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e dXXXX R. e l?U. S. R. per il Friuli Venezia Giulia in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro-tempore a convertire i contratti di lavoro stipulati con i ricorrenti in contratto a tempo indeterminato a far data dal primo contratto ovvero dalla decorrenza degli altri contratti stipulati tra le parti o dalla diversa data ritenuta di giustizia, con conseguente ricostruzione della carriera ai fini previdenziali, pensionistici, di anzianità e retributivi.
– Accertarsi e dichiararsi il diritto dei ricorrenti ad ottenere l’equiparazione del proprio trattamento economico e giuridico durante gli anni di preruolo a quello del personale docente di ruolo e, per l’effetto, condannarsi il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e dXXXX R. e l’U. S. R. per il Friuli Venezia Giulia in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro-tempore, a ricostruire la carriera dei ricorrenti considerando per intero ai fini giuridici ed economici tutti i periodi di servizio svolti in costanza di rapporti di lavoro a tempo determinato, a corrispondere ai ricorrenti una retribuzione rivalutata in forza della predetta ricostruzione nonchè al pagamento delle differenze retributive dovute in base alla ricostruzione di carriera, come da conteggi che si allegano per ciascun ricorrente o nella diversa maggiore o minore somma ritenuta di giustizia, oltre interessi legali sulle somme da rivalutarsi a decorrere dalle rispettive scadenze.
In via subordinata:
– Accertato e dichiarato il ricorso abusivo da parte della pubblica amministrazione ad una successione di contratti o rapporti a tempo determinato, condannarsi ex art. 36 c. 4 D. Lgs. N. 165/2001 così come modificato dall’art. 4 D. L. n. 4/06-conv. con L. n. 4/06 conv. con L. n. 80/06 l’Amministrazione resistente al risarcimento dei danni subiti e subendi dai ricorrenti nella misura equivalente alla capitalizzazione delle retribuzioni che i ricorrenti avrebbero percepito per tutta la durata della vita lavorativa decorrente dal primo contratto o dalla data dell’ammontare ritenuto di giustizia, che l’adito Giudice riterrà di applicare secondo i criteri emersi dalla giurisprudenza di merito e di legittimità o secondo equità ex art. 1226 c.c., nella misura di 12 mensilità della retribuzione globale o di fatto, o nella diversa misura che verrà ritenuta di giustizia, oltre interessi legali e alla rivalutazione monetaria dalla data della domanda al saldo;
– Accertarsi e dichiararsi il diritto dei ricorrenti all’attribuzione, a far data dall’inizio per ciascuno di essi del rapporto, degli scatti di anzianità con relativa progressione retributiva negli anni decorsi, a far data dal 1° contratto a termine di assunzione o diversa individuanda data, e per l’effetto, come da conteggi allegati o nella misura minore o maggiore che sarà ritenuta di giustizia;
– Condannarsi conseguentemente il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e dXXXX R. e l’U. S. R. per il Friuli Venezia Giulia in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro-tempore al pagamento in favore dei ricorrenti delle rispettive somme corrispondenti all’accertato diritto dall’inizio del rapporto o diversa individuanda data, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria.
Con riserva di ulteriormente dedurre, produrre e richiedere in via istruttoria.
Si chiede, qualora venga ritenuto necessario, l’ammissione di una CTU volta a determinare le differenze retributive e gli aumenti stipendiali dovuti ai ricorrenti.
Dichiararsi cessata la materia del contendere in ordine alla domanda di stabilizzazione formulata da C. P., C. R., C. G., C. N., C. M., D. F., F. G., G. V., P. M. T., P. A., S. S. e Z. J. per l’intervenuta immissione in ruolo degli stessi.
Spese ed onorari di causa rifusi.
PER IL RESISTENTE
Rigettarsi il ricorso avversario in ogni sua parte siccome infondato in fatto e in diritto. Spese rifuse.
IN FATTO E IN DIRITTO
Nel presente contenzioso è già sospeso e successivamente riassunto dopo che la Corte Costituzionale, sollecitata dal Tribunale di Napoli a pronunciarsi sulla più generale questione di legittimità del sistema di reclutamento del personale scolastico, aveva direttamente investito anche su ulteriori correlate problematiche la Corte di Giustizia che interveniva con la sentenza 26/11/14 N. 22 le domande formulate dagli attori indicati in rubrica tutti dipendenti del convenuto Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca quali docenti in forza di vari contratti a tempo determinato succedutisi negli anni ed utilizzati in supplenze annuali o fino al termine delle attività didattiche per ricoprire posti vacanti con ricorso depositato in data 5/8/11 concernono:
A) l’invocata illegittimità della clausola appositiva dei vari termini per aver gli stessi diretti interessati incontestabilmente maturato più di 36 mesi di attività lavorativa a tempo determinato a copertura di posti vacanti al fine di soddisfare esigenze continuative;
B) l’accertamento del diritto ad essere stabilizzati o, in difetto, all’ottenimento del risarcimento del danno;
C) l’accertamento del diritto a vedersi riconoscere l’anzianità di servizio calcolata dal primo contratto e la conseguente progressione stipendiale al pari del personale di ruolo in forza del principio di non discriminazione.
Pretese tutte ritenute infondate dall’Amministrazione resistente che concludeva per il loro rigetto.
Ciò premesso, rileva l’adito Tribunale quanto segue, disattesa ogni diversa ulteriore domanda od eccezione.
Sub A) Il necessario punto di partenza è certamente costituito dalla direttiva 1999/70/CE che ha dato attuazione all’accordo quadro sui contratti a tempo determinato del 18/3/99, il cui scopo èquello di garantire “Il rispetto del principio di non discriminazione” (come afferma la clausola 1 punto a) e nello stesso tempo (come si legge nella successiva lettera b) prevenire gli “ABUSI DERIVANTI DALL’UTILIZZO DI UNA SUCCESSIONE DI CONTRATTI O RAPPORTI DI LAVORO A TEMPO DETERMINATO”.
Obiettivi questi poi concretizzati dalla clausola 4, intitolata appunto “Principio di non discriminazione” (ove è previsto al co 1 che “i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive”) e dalla clausola 5 intitolata “MISURE DI PREVENZIONE DEGLI ABUSI”, ove è previsto che “per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e delle prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifiche di lavoratori, una o più misure relative a:
a) ragioni oggettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti;
b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi;
c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti”.
A questa direttiva lo Stato Italiano ha dato attuazione con il D. Lvo N. 368/01, poi modificato dall’art. 1 co 40 legge N. 247/07 (che ha introdotto nell’art. 5 il comma 4 bis secondo cui “qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i 36 mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l’altro, IL RAPPORTO DI LAVORO SI CONSIDERA A TEMPO INDETERMINATO”).
A propria volta l’art. 9 co 18 d.l. 70/11 ha introdotto nell’art. 10 D. Lvo N. 368/01 il comma 4 bis che così testualmente recita: “stante quanto stabilito dalle disposizioni di cui all’art. 40 co 1 della legge 27/12/97 N. 449 e successive modificazioni, all’art. 4 co 14 bis della legge 3 maggio 1999 N. 124 e all’art. 6 co 5 decreto legislativo 30/3/2001 N. 165 sono altresì esclusi dall’applicazione del presente decreto i contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze del personale docente ed A., considerata la necessità di garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo anche in caso di assenza temporanea del personale docente ed A. con rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed anche determinato.
In ogni caso non si applica l’art. 5 co 4 bis del presente decreto.
Appare nondimeno opportuno ricordare che nell’ambito del settore scolastico opera la speciale previsione di cui all’art. 4 della legge N. 124/99, a valere sia per il personale docente che per quello amministrativo, tecnico ed ausiliario, in base alla quale:
1. Alla copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento che risultino effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l’intero anno scolastico, qualora non sia possibile provvedere con il personale docente di ruolo delle dotazioni organiche provinciali o mediante l’utilizzazione del personale in soprannumero, e sempre che ai posti medesimi non sia stato già assegnato a qualsiasi titolo personale di ruolo, si provvede mediante il CONFERIMENTO DI SUPPLENZE ANNUALI IN ATTESA DELL’ESPLETAMENTO DELLE PROCEDURE CONCORSUALI per l’assunzione di personale docente di ruolo.
2. Alla copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento non vacanti che si rendano di fatto disponibili entro la data del 31 dicembre e fino al termine dell’anno scolastico si provvede mediante il CONFERIMENTO DI SUPPLENZE TEMPORANEE FINO AL TERMINE DELLE ATTIVITÀ DIDATTICHE. Si provvede parimenti al conferimento di supplenze temporanee fino al termine delle attività didattiche per la copertura delle ore di insegnamento che non concorrono a costituire cattedre o posti orario.
3. Nei casi diversi da quelli previsti ai commi 1 e 2 si provvede con supplenze temporanee.
Le tre ipotesi di supplenza risultano, pertanto, correlate ad esigenze di carattere diversificato ma tutte accomunate dalla intrinseca temporaneità delle stesse.
Le procedure selettive, secondo quanto previsto dal comma 2 dell’art. 1 della stessa legge (che interviene a modificare l’art. 400 D. Lvo N. 297/14) AVREBBERO DOVUTO ESSERE ESPLETATE CON CADENZA TRIENNALE. Ciò posto:
1) Questo giudice concorda con la convenuta Amministrazione nel ritenere che tale speciale disciplina non possa considerarsi abrogata a seguito dell’introduzione del D. Lvo N. 368/01 proprio per il fatto di delineare la stessa un sistema in sè compiuto la cui persistente vigenza discende dalla sua specialità rispetto alla disciplina generale dettata: per i rapporti di lavoro a termine dal D. Lvo 368/01 e dall’espresso richiamo contenuto al co 8 dell?art. 70 D. Lvo N. 165/01.
A tali conclusioni è pervenuta come è noto anche la sentenza N. 10127/12 della Corte di Cassazione.
Ne consegue che, in presenza di tale normativa di settore, che espressamente consente l’apposizione del termine ai contratti di lavoro nei diversi casi di supplenza, va ESCLUSA L’APPLICAZIONE, IN VIA DIRETTA, AL SETTORE DELLA SCUOLA, DELLE NORME DI CUI AL D. LVO N. 368/01 LE QUALI NON POSSONO PERTANTO RAPPRESENTARE UN PARAMETRO DIRETTO PER LA VERIFICA DELL’EVENTUALE ABUSIVITÀ DEL RICORSO A FORME DI LAVORO FLESSIBILE.
2) Per quanto ulteriormente attiene alla compatibilità tra tale sistema normativo e le fonti di provenienza comunitaria, occorre altresì evidenziare che con la sentenza del 26/11/14 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, adita dalla C. Costituzionale, ha dichiarato che “la clausola 5 punto 1 dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato deve essere INTERPRETA. NEL SENSO CHE OSTA AD UNA NORMATIVA NAZIONALE, quale quella di cui trattasi nei procedimenti principali, CHE AUTORIZZI, IN ATTESA DELL?ESPLETAMENTO DELLE PROCEDURE CONCORSUALI PER L’ASSUNZIONE DEL PERSONALE DI RUOLO NELLE SCUOLE STA.LI, IL RINNOVO DEI CONTRATTI DI LAVORO A TEMPO DETERMINATO PER LA COPERTURA DI POSTI VACANTI E DISPONIBILI DI DOCENTI NONCHÉ DI PERSONALE AMMINISTRATIVO, TECNICO ED AUSILIARIO, SENZA INDICARE TEMPI CERTI PER L’ESPLETAMENTO DI DETTE PROCEDURE CONCORSUALI ED ESCLUDENDO QUALSIASI POSSIBILITÀ, PER TALI DOCENTI E DETTO PERSONALE, DI OTTENERE IL RISARCIMENTO DEL DANNO A CAUSA DI UN SIFFATTO
RINNOVO.
Risulta infatti che tale normativa “da un lato non consente di definire criteri obiettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo di tali contratti risponda effettivamente ad un’esigenza reale, sia idoneo a conseguire l’obiettivo perseguito e sia necessario a tale fine e, dall’altro, non prevede nessun’altra misura diretta a prevenire e a sanzionare il ricorso abusivo ad una successione di contratti di lavoro a tempo determinato”.
Con riferimento alle altre supplenze la C. ha invece rilevato:
(92) “occorre innanzitutto ricordare che, nell’ambito di un’amministrazione che dispone di un organico significativo, come il settore dell’insegnamento, è inevitabile che si rendano spesso necessarie sostituzioni temporanee a causa, segnatamente, dell’indisponibilità di dipendenti che beneficiano di congedi per malattia, maternità o altri. La sostituzione temporanea di dipendenti in tali circostanze può costituire una ragione obiettiva ai sensi della clausola 5 punto 1 lett. a) dell’accordo quadro, che giustifica sia la durata determinata dei contratti conclusi con il personale supplente, sia il rinnovo di tali contratti in funzione delle esigenze emergenti”.
Applicando ora detti principi all’ordinamento italiano, è ragionevole desumere che il sistema delle supplenze a termine non è, di per sè e automaticamente, contrario alla normativa comunitaria.
Questa infatti non impedisce di attribuire rilievo “come situazione idonea a giustificare la stipula di plurimi contratti di lavoro a termine” all’obbligo imposto dall’art. 97 della Costituzione, di fare ricorso ad appositi sistemi di selezione per la copertura dei posti in organico.
Come correttamente ed in modo condivisibile sostenuto dalla Corte d’Appello di Trieste (appellata S. S.):
-è logico ritenere che sia impossibile coprire tempestivamente i posti vacanti mediante i concorsi ordinari e quindi che, negli intervalli fra una procedura concorsuale e l’altra “se predefiniti e delimitati” sia legittimo fare ricorso ad assunzioni a termine.
IN CONCRETO PERÒ IL SISTEMA DELL’IMMISSIONE IN RUOLO TRAMITE GRADUATORIE ED IL MECCANISMO DELLE SUPPLENZE CHE ALIMENTA QUESTE GRADUATORIE HA DI FATTO SOPPIANTATO LO STRUMENTO CONCORSUALE; E L’ESITO DI CIÒ CHE LE RIPETUTE ASSUNZIONI A TERMINE SONO DIVENUTE IL SISTEMA ORDINARIO E STABILE (E NON INVECE TEMPORANEO E OCCASIONALE) UTILIZZATO NEL COMPARTO SCUOLA PER FAR FRONTE – BEN OLTRE IL LIMITE DEI 36 MESI – ALLE SCOPERTURE DI ORGANICO (e ciò per avere a disposizione un numero di lavoratori, docenti e personale A., sufficiente a garantire l’espletamento del servizio scolastico).
E PALESEMENTE QUESTA SITUAZIONE NON È COMPATIBILE CON I PRINCIPI SANCITI DALLA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA SOPRA RICORDA..
È QUINDI IMPOSSIBILE, ALLA LUCE DELLA SENTENZA MASCOLO, CONTINUARE AD AFFERMARE CHE IL COMPARTO SCUOLA È IMPERMEABILE RISPETTO ALLA DISCIPLINA GENERALE DEL LAVORO A TERMINE DETTA., PER IL SETTORE PRIVATO, DAL D. LVO N. 368/01 E PER QUELLO PUBBLICO DAL D. LVO N. 165/01.
In punto supplenze temporanee poi va ulteriormente aggiunto che nel caso di specie il Ministero resistente ha fondato le proprie ragioni su UN DATO MERAMENTE FORMALE SENZA NULLA A BEN VEDERE ALLEGARE E DIMOSTRARE IN ORDINE ALLA SUSSISTENZA IN CONCRETO DEL CARATTERE TEMPORANEO che, come noto, rappresenta l’indefettibile presupposto legittimante l’apposizione del termine.
Deve pertanto concludersi nel senso che, IN MANCANZA DI SPECIFICHE INDICAZIONI, GLI INCARICHI CONFERITI DEBBONO RITENERSI EQUIVALENTI A QUELLI ANNUALI CONCORRENDO, QUALORA RIPETUTI NEL TEMPO, AL SUPERAMENTO DELL’ANZIDETTO LIMITE TRIENNALE.
In definitiva la comprovata prestazione (come avvenuto nel caso di specie) di attività ad opera di soggetti rientranti nel corpo di personale docente, ovvero amministrativo, tecnico ed ausiliario per un periodo temporale eccedente il triennio comporta inconfutabilmente l’illegittimità dell’apposizione del termine ai contratti di lavoro.
Sub B) Circa le conseguenze giuridiche di tale illegittimità, appare opportuno il preliminare richiamo a taluni significativi passi della sentenza della C. del 26 novembre 2014 secondo cui:
(77) Quando il diritto dell’Unione non prevede sanzioni specifiche nell’ipotesi in cui vengano nondimeno accertati abusi spetta alle autorità nazionali adottare misure che devono rivestire UN CARATTERE NON SOLO PROPORZIONATO ma anche SUFFICIENTEMENTE ENERGICO E DISSUASIVO per garantire la piena efficacia delle norme adottate in applicazione dell’accordo quadro.
(79) Quando si è verificato un ricorso abusivo ad una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato, si deve poter applicare una misura che presenti garanzie effettive ed equivalenti di tutela dei lavoratori al fine di sanzionare debitamente tale abuso e cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione.
(80) A tale proposito occorre ricordare che, come sottolineato ripetutamente dalla Corte, L’ACCORDO QUADRO NON ENUNCIA UN OBBLIGO GENERALE DEGLI STATI MEMBRI DI PREVEDERE LA TRASFORMAZIONE DEI CONTRATTI DI LAVORO A TEMPO DETERMINATO IN UN CONTRATTO A TEMPO INDETERMINATO. Infatti la clausola 5 punto 2 dell’accordo quadro lascia, in linea di principio, agli Stati membri la cura di determinare a quali condizioni i contratti o i rapporti di lavoro a tempo determinato vadano considerati come conclusi a tempo indeterminato.
Da ciò discende che l’accordo quadro non prescrive le condizioni in presenza delle quali si può fare uso dei contratti a tempo indeterminato.
Alla luce di quanto testualmente riportato, in presenza in una normativa interna che, come si riferirà a breve, vieta espressamente la conversione dei rapporti di lavoro in esame in contratti a tempo indeterminato, non discende dall’accordo quadro quale conseguenza inevitabile l’obbligo di conversione del contratto.
Peraltro né la C. né altra fonte normativa di derivazione comunitaria possono e intendono imporlo come sanzione necessaria stante anche l’esistenza di ulteriori idonee sanzioni previste in via alternativa.
Occorre a questo punto richiamare il disposto dell’art. 36 V comma D. Lvo N. 165/01 in base al quale
-In ogni caso la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori,
da parte delle pubbliche amministrazioni, NON PUÒ COMPORTARE LA COSTITUZIONE DI RAPPORTI DI LAVORO A TEMPO INDETERMINATO CON LE MEDESIME PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI, ferma restando ogni responsabilità e sanzione.
IL LAVORATORE INTERESSATO HA DIRITTO AL RISARCIMENTO DEL DANNO DERIVANTE DALLA “PRESTAZIONE DI LAVORO IN VIOLAZIONE DI NORME IMPERATIVE”.
Peraltro l’art. 29 co 4 D. Lvo N. 81/15 fa ESPLICITAMENTE SALVO QUANTO DISPOSTO DALL’ART. 36 D. LVO N. 165/01.
Orbene tale divieto di conversione è da ritenersi applicabile a tutti i rapporti di lavoro a tempo determinato nel pubblico impiego, inclusi quelli del settore scolastico, essendo la scelta di ricollegare alla violazione di norme imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego dei lavoratori da parte delle amministrazioni pubbliche conseguenze di carattere esclusivamente risarcitorio, in luogo della conversione a tempo indeterminato per i lavoratori privati, giustificata dalle peculiarità che distinguono il rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici dal rapporto di lavoro intrattenuto con datori privati (C. Costit. Sent. 27/3/03 N. 89).
Ha sostenuto in proposito la Suprema Corte a Sezioni Unite (9/3/2015 N. 4685):
-In forza di questo principio ed in ragione della mancata emanazione di specifica disciplina del contratto a tempo determinato nel lavoro pubblico privatizzato da parte del D. Lvo N. 368/01, la Cassazione ha ritenuto che il lavoratore assunto a termine, in caso di violazione delle norme poste a sua tutela, ha diritto non alla conversione del rapporto ma al solo risarcimento del danno (Sez. Lav.?21/8/13 N. 19371, 20/3/12 N. 4471?).
La disposizione del D. Lvo N. 165/01 art. 36 ora in esame è stata ritenuta conforme alla disciplina europea in materia di contratto di lavoro a termine contenuta nell’accordo quadro 18/3/99 allegato alla Direttiva del Consiglio 28/6/99, 1999/70/CE relativa all’accordo quadro C., U. e C. sul lavoro a tempo determinato.
Si è inoltre significativamente precisato:
– che per essere effettivo il risarcimento del danno non deve essere subordinato ALL’OBBLIGO, GRAVANTE SU DETTO LAVORATORE, DI FORNIRE LA PROVA DI AVER DOVUTO RINUNCIARE A MIGLIORI OPPORTUNITÀ DI IMPIEGO SE DETTO OBBLIGO HA COME EFFETTO DI RENDERE PRATICAMENTE IMPOSSIBILE O ECCESSIVAMENTE DIFFICILE L’ESERCIZIO DEI DIRITTI CONFERITI DALL’ORDINAMENTO DELL’UNIONE (sentenza P.);
– che rappresenta una violazione del diritto UE come interpretato dalla C. qualificare la tutela avverso l’abuso di contratti a termine illegittimi esclusivamente in termini di risarcimento del danno in senso stretto con il porre a carico del lavoratore l’onere di provare il danno effettivamente patito per effetto della illegittima apposizione del termine, così richiedendo un elemento mai preso in esame dalla C., che invece HA SEMPRE CONFIGURATO TALE DANNO IN MODO SPECIFICO COME DANNO SANZIONE.
-La figura del danno sanzione è prevista dal D. Lvo N. 165/01 art. 36 che configura la tutela patrimoniale ivi prevista non solo come una forma di rifusione dei danni effettivamente subiti ma come UNA VERA E PROPRIA SANZIONE A CARICO DELLA P.A. PER IL COMPORTAMENTO “ILLEGITTIMAMENTE TENUTO NEI CONFRONTI DEI DIPENDENTI”
D’altra parte solo in tal modo il risarcimento del danno sanzione rappresenta una forma ADEGUA.
ED EQUIVALENTE DI TUTELA come richiesto dalla giurisprudenza della C.
Cass. Sez. Lav. 30/12/2014 N. 27481 ove si parla espressamente anche di “danno comunitario”. In senso conforme anche per l’utilizzo di detta espressione vedasi pure Cass. Sez. Lav. 23/1/15 N. 1260.
Quanto ai criteri concretamente rinvenibili:
1) Si è ipotizzato che questo risarcimento possa consistere in una somma pari a quella prevista dall’art. 18 Statuto dei lavoratori per il caso in cui il dipendente eserciti l’opzione per l’indennità sostitutiva della reintegra, ma trattasi di fattispecie oggettivamente assai diverse da quella in esame, considerato che nel caso di abusiva reiterazione del contratto di lavoro a termine da parte di una PA non esiste né un licenziamento né un diritto soggettivo alla stabilizzazione.
Manca poi la possibilità di graduare la sanzione in ossequio ai principi di proporzionalità ed adeguatezza.
2) In merito all’applicazione dell’art. 8 L. N. 604/66 (che riguarda il licenziamento per di più nell’ambito di imprese di piccole dimensioni) viene prevista un’indennità troppo limitata per valere come misura effettivamente risarcitoria e, nello stesso tempo, dissuasiva rispetto alla illegittima reiterazione del contratto a termine, soprattutto in ipotesi di un lungo protrarsi nel tempo.
3) Appare pertanto più consono il riferimento all’art. 32 legge 4/11/2010 N. 183 che contempla un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Trattasi di norma che – per quanto inserita nel fenomeno di conversione del rapporto a termine illegittimo (che nel caso di specie completamente difetta) – appare tuttavia più aderente nell’individuazione di una misura risarcitoria e sanzionatoria adeguata al caso concreto.
Relativamente infine al quantum debeatur va precisato quanto segue.
– Il patrocinio degli odierni attori in sede di note conclusive ha dato atto dell’avvenuta stabilizzazione di tutti i ricorrenti.
– In punto determinazione dell’indennità risarcitoria, ritiene l’adito Tribunale congruo – in relazione alla disamina del periodo di inizio della sequela dei contratti a termine, del loro numero e durata – liquidare a favore di ciascuno dei docenti un’indennità risarcitoria commisurata a quattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Le indennità liquidate ai ricorrenti debbono ritenersi comprensive del diritto al ristoro per gli intervalli non lavorativi, in quanto inclusiva di tutti i danni – retributivi e contributivi – subiti dal lavoratore (Cass. N. 14996/12).
Sub C) si evidenzia che il disposto della clausola 4 dell’accordo quadro allegato alla Direttiva N. 1999/70/CE prevede testualmente al punto 1 che “Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato NON POSSONO ESSERE TRATTATI IN MODO MENO FAVOREVOLE DEI LAVORATORI A TEMPO INDETERMINATO comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, A MENO CHE NON SUSSISTANO RAGIONI OGGETTIVE” mentre per il successivo punto 4 “I criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive”.
Secondo quanto ritenuto dalla Corte di giustizia UE (sentenza 22 dicembre 2010 procedimenti riuniti C 444/09 e C 456/09 G.) la clausola N. 4 punto 1 è incondizionata e sufficientemente precisa da poter essere invocata nei confronti dello Stato da parte dei dipendenti assunti con contratti a tempo determinato al fine di veder riconosciuti i benefici economici collegati alla maturazione dell’anzianità di servizio.
Nel caso di specie deve pertanto valutarsi se ricorrono, per il personale della scuola, “motivazioni oggettive” idonee a giustificare, ai sensi della citata clausola, la diversità del regime giuridico applicabile al servizio prestato con contratti di lavoro a tempo determinato in posizione pro-ruolo, secondo quanto previsto dall’art. 485 T.U. N. 297/94, e a quello prestato da parte dei dipendenti immessi in ruolo poiché, in mancanza, la normativa nazionale dovrà essere disapplicata.
In tal senso non rileva, innanzitutto, il fatto che la differenza di trattamento consegua all’applicazione di una norma interna generale ed astratta, evidentemente contenuta in una legge o in un contratto collettivo, ed inoltre si “richiede che la disponibilità di trattamento in causa sia giustificata dalla sussistenza di elementi precisi e concreti, che contraddistinguono il rapporto di cui trattasi, nel particolare contesto in cui si iscrive e in base a criteri oggettivi e trasparenti, al fine di verificare se tale disponibilità risponda ad una reale necessità, sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e risulti a tal fine necessaria”; detti elementi “possono risultare segnatamente dalla particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi contratti a tempo determinato e dalle caratteristiche inerenti a queste ultime o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro” (vedasi sentenza 13/9/07 causa C ? 307/05 D. C. A.).
Al punto 48 di tale ultima pronuncia si afferma altres? che la nozione di condizioni di impiego di cui alla clausola 4 punto 1 dell?accordo quadro dev?essere interpretata nel senso che essa pu? servire da fondamento ad una pretesa come quella in esame nella clausola principale, che mira ad attribuire ad un lavoratore a tempo determinato scatti di anzianit? che l?ordinamento interno riserva ai soli lavoratori a tempo indeterminato.
Nel caso di specie, vista la vincolatività dei principi espressi dalla clausola 4 della direttiva, ne deriva che la ragione oggettiva utile alla differenziazione del trattamento economico deve risiedere in una ragione oggettiva diversa dalla esistenza di disposizione normativa o dalla organizzazione del servizio, ma in una oggettiva e proporzionale (principio di proporzionalità sempre presente nell’ordinamento dell’UE) differenza del rapporto o della prestazione, ovviamente diversa dalla mera temporaneità del rapporto.
Orbene nell’ipotesi per cui è causa:
1. Non emerge da alcuna disposizione normativa che è richiesta ed esigibile dal personale non di ruolo una prestazione qualitativamente diversa, per cui la ragione giustificatrice deve stimarsi insussistente (cfr. XXXXXXXX sentenza D. C. A., punti 53 e 58 e G. G. e I. T., 55);
2. Il modello organizzativo delle supplenze adottato dallo Stato Italiano non può costituire giustificazione della diversità di trattamento, perché espressamente esclusa dalla clausola 4 che vieta una giustificazione basata sulla circostanza che il rapporto di lavoro sia, per scelta del datore di lavoro, a termine (cfr. XXXXXXXX sentenza G. e I. T., punti 56 e 57);
3. Non vi è diversità di selezione differente tra personale di ruolo e non di ruolo, visto il doppio canale di accesso al ruolo (cfr. C. Costituzionale sentenza N. 41/11; nello stesso senso, ex plurimis, Cass. Civ. S.U. ordinanza N. 3399 del 13/2/08) posto che per il personale docente ed A. l’accesso ai ruoli avviene per il 50% ed oltre (considerato che le graduatorie concorsuali nel tempo si esauriscono, per cui l’immissione in ruolo avviene a quel punto solo dalla graduatoria ad esaurimento) tramite le graduatorie ad esaurimento.
A fronte delle ripetute pronunce, favorevoli ai lavoratori, il resistente tenta di rappresentare una serie di argomentazioni poco convincenti e basate su scelte legislative, logiche, politiche e vincoli di bilancio che nulla hanno a che fare con la parità di trattamento rispetto alla quale non si vede veramente in quale rapporto di causa- effetto esse si trovino.
Significativamente anche la Corte d’Appello di TS con sentenza pronunciata il 26/11/15 (soggetto appellato S. S.) si è espressa sul punto nel senso che in particolare non rileva la necessità di garantire la flessibilità del personale della Scuola (e ciò di adeguarne sempre la consistenza al mutevole andamento della domanda) e nello stesso tempo di salvaguardare la tenuta economico finanziaria del sistema: si tratta infatti di esigenze che possono essere richiamate allo scopo di giustificare l’utilizzo (ampio e prolungato) del lavoro a termine, mentre non sembra che possano rendere legittima la disparità di trattamento fra diverse categorie di lavoratori, dato che non ineriscono alla natura e alle caratteristiche delle mansioni di ciascuna.
Né si può dire che questa disparità sia giustificabile con il perseguimento di finalità di politica sociale, non essendo propriamente tale l’obiettivo di ottenere un risparmio di spesa mediante il pagamento ai lavoratori a termine di retribuzioni inferiori (in quanto non commisurate all’anzianità) rispetto a quelle erogate ai loro omologhi assunti a tempo indeterminato.
La difficoltà di computo dell’anzianità dei lavoratori assunti a termine costituisce poi un ostacolo esclusivamente materiale, che certo non può impedire il riconoscimento del diritto.
L’unico argomento utile ai fini di giustificare la disparità di trattamento di cui si discute è pertanto quello fondato sulla pretesa diversità ontologica tra lavoratori a termine e lavoratori a tempo indeterminato.
IN CONCRETO PER QUESTA DIVERSITÀ NON ESISTE, né per quanto riguarda le funzioni, dato che tutti concorrono allo stesso modo all’espletamento del medesimo servizio, né per quanto riguarda le modalità di accesso al lavoro poiché i lavoratori di ruolo sono, in buona parte, degli ex precari assunti a tempo indeterminato per effetto dello scorrimento delle graduatorie in cui sono tuttora inseriti i loro colleghi a termine; né infine per quanto riguarda il contenuto del rapporto, essendo diritti e doveri uguali sia per i lavoratori di ruolo che per i supplenti.
Del resto il Ministero non ha mai spiegato come e perché l’intensità del vincolo sarebbe maggiore per gli uni piuttosto che per gli altri.
Non può infine l’adito Tribunale esimersi dal rilevare che, nonostante l’immissione in ruolo, PERMANE L’INTERESSE ATTUALE E CONCRETO DEI SOGGETTI DIRETTAMENTE INTERESSATI ad insistere per l’accoglimento della domanda in quanto:
1) al momento dell’avvenuta stabilizzazione la ricostruzione della carriera non riconosce l’aumento retributivo maturato negli anni di precariato, ma parte da una condizione retributiva aggiornata alla sola data di immissione in ruolo;
2) la stessa Amministrazione ammette che, ai sensi dell’art. 485 D. Lvo 297/94, vengono riconosciuti i primi 4 anni di servizio per intero sia ai fini giuridici che economici, mentre il periodo eccedente – riconosciuto per i due terzi ai fini giuridici ed economici, per il restante terzo anche ai fini economici, ma solo al 16° anno di anzianità secondo il seguente prospetto:
– primi 4 anni: 100% a fini giuridici ed economici;
– periodi successivi: 2/3 a fini giuridici ed economici;
– ulteriore terzo: dopo 16 anni e solo a fini economici;
– residuo terzo a fini giuridici: NESSUN RICONOSCIMENTO.
Sicché la ricostruzione si rivela parziale in quanto
– non viene riconosciuto ai fini giuridici un terzo del periodo di servizio eccedente il quadriennio;
– non aggiorna la retribuzione con gli arretrati retributivi maturati nei singoli anni per effetto dell’anzianità di servizio, nel senso che per tutti gli anni di contratto annuale la retribuzione rimane invariata, senza incidenza dell’anzianità, e al momento dell’immissione in ruolo viene solo aggiornata, con i limiti esposti, a partire da quel momento prendendo a parametro il minimo tabellare.
Per tutte le considerazioni che precedono va pertanto riconosciuto il diritto degli odierni attori all’immediato riconoscimento sia ai fini giuridici che economici dell’anzianità maturata in tutti i servizi non di ruolo prestati sin dal primo giorno nonché della progressione stipendiale prevista dall’art. 53 L. N. 312/80.
Consegue pure la condanna della convenuta Amministrazione al pagamento delle differenze retributive, entro i limiti della prescrizione quinquennale ex art. 2948 N. 4 cc., tra quanto percepito e quanto l’interessata avrebbe avuto diritto a percepire considerando gli scatti di anzianità complessivamente maturati, maggiorate degli interessi legali dalle singole scadenze al saldo.
Ed invero il cumulo di rivalutazione ed interessi rimane nella fattispecie escluso per effetto dell’art. 22 co 36 L. 23/12/94 N. 724, norma dichiarata costituzionalmente illegittima solo quanto all’impiego privato con sentenza N. 459/2000 della Consulta.
Si ravvisano nondimeno giusti motivi, attese le complessive ragioni della decisione in relazione anche alle singole questioni trattate ove è ancora aperto il dibattito giurisprudenziale, per porre a carico della convenuta Amministrazione soltanto la metà delle spese di lite, che in tal misura si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale di Pordenone in funzione di Giudice del Lavoro in persona del dott. Angelo Riccio Cobucci, definitivamente pronunciando nell’ambito del procedimento promosso con ricorso da C. P., C. R., C. G., C. N., C. M., D. F., F. G., G. V., P. M. T., P. A., S. S., Z. J. e depositato il 05.08.2011, così provvede disattesa ogni diversa domanda od eccezione
Dato preliminarmente atto dell’avvenuta stabilizzazione di tutti gli odierni ricorrenti
1) Accerta e dichiara l’illegittimità delle clausole appositive del termine ai contratti stipulati dai ricorrenti in forza dell’avvenuto superamento del termine di 36 mesi e per l’effetto.
2) Condanna il Ministero resistente al pagamento a favore di ciascuna attrice e/o attore dell’indennità risarcitoria pari a 4 (quattro) mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
3) Accerta e dichiara altresì il diritto degli odierni attori alla medesima progressione stipendiale spettante al personale di ruolo con conseguente trattamento economico in funzione degli scatti di anzianità maturati, ai fini dell’adeguamento previdenziale ed in ragione dei periodi di servizio effettivamente prestati sin dal primo contratto.
4) Condanna per l’effetto la convenuta Amministrazione a corrispondere agli odierni attori le differenze retributive tra quanto percepito e quanto gli interessati avrebbero avuto diritto a percepire nel limite del termine prescrizionale di cui all’art. 2948 n. 4 c.c., oltre interessi legali dalla maturazione delle singole poste creditorie al soddisfo.
5) Condanna infine il Ministero resistente a rifondere agli odierni attori la metà delle spese di lite, che in tal misura liquida in € 2.700,00, oltre accessori.
Fissa per il deposito della motivazione il termine di 60 giorni dall’odierna pronuncia.
Così deciso in Pordenone il 04.02.2016.
IL GIUDICE
Dott. ANGELO RICCIO COBUCCI

VUOI CONSULTARE ALTRE SENTENZE
DEL TRIBUNALE DI PORDENONE?
logo-grande

Rimani sempre aggiornato sui nostri articoli e prodotti
Mostra altro

staff

Redazione interna sito web giuridica.net

Articoli correlati

Lascia un commento

Back to top button