Tentata ricostituzione del partito fascista: come si applica la legge Scelba?
Corte di Cassazione – sentenza n. 10569/2021, prima sez. penale
Come funziona il reato di tentata ricostituzione del partito fascista? Deve esserci violenza o basta che in una manifestazione si ostentino simboli appartenuti al regime nazifascista?
È quanto ha esaminato la prima sezione penale di Cassazione con sentenza n. 10569/2021, esaminando il comportamento di un’appartenente all’estrema destra italiana durante una manifestazione.
Il fatto
Roma, 18 e 28 settembre 2009. L’imputata partecipava a due manifestazioni organizzate dall’associazione paramilitare “Sturmabteilung” (trad. “Squadre d’assalto”) di chiara ispirazione filonazista. Durante gli eventi, l’imputata veniva ripresa da tv e fotografi mentre sfilava insieme ai compagni indossando abiti che ricordavano le divise naziste e facendo ripetutamente il saluto nazista; fatti mai smentiti nel corso dei giudizi di merito.
Se da una parte non è stata messa in dubbio la condotta dell’imputata, dall’altra la difesa ha cercato di dimostrare come la semplice ostentazione dei simboli nazionalsocialisti (senza violenza) non metta a rischio la democrazia e non possa configurarsi come tentata ricostituzione del partito fascista, ma solo in un moto nostalgico protetto dalla libertà di espressione. La Corte di Cassazione, però, non la pensa così.
La sentenza
Come dimostrato dalle prove audiovisive, i comportamenti tenuti dall’imputata e dagli altri partecipanti «rimandavano univocamente all’ideologia filonazista e ai valori politici di discriminazione razziale e di intolleranza sanzionati dalla disposizione dell’art. 5 legge n. 645 del 1952». Pur in assenza di violenza, quindi, tali condotte sono da considerarsi come un reato di pericolo concreto nei confronti dell’ordine democratico. La legge Scelba, infatti, non punisce a prescindere le manifestazioni del pensiero e dell’ideologia fascista (libertà garantita dall’art. 21 della Costituzione), ma il pericolo di ricostituzione «in relazione al momento e all’ambiente in cui sono compiute, attentando concretamente alla tenuta dell’ordine democratico e dei valori ad esso sottesi».
Nel caso preso in esame, secondo quanto sostenuto dalla Corte, ci sono tutti i presupposti per identificare la propaganda di una lotta politica basata sulla violenza, sulla superiorità e odio razziale. Questi sono valori che sono tesi anche al proselitismo.
Per questo motivo, scatta la condanna al pagamento delle spese processuali più una somma di 3.000 euro.