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Saluto romano: quando rientra nell’apologia del fascismo?

Quello di apologia del fascismo è senz’altro uno dei reati più intricati della storia italiana. Se da un lato si vuole punire l’utilizzo di simboli e ideologie appartenute a un regime che ha portato il Paese alla rovina (nonché la riorganizzazione del periodo fascista), dall’altra si manifesta l’esigenza di difendere la libertà di pensiero e di parola dell’individuo come principio fondamentale della stessa Repubblica che si vuole tutelare.

Costituzione e legge Scelba

Il primo esempio di contrasto all’apologia del fascismo è contenuto nella XII disposizione transitoria e finale della Costituzione Italiana:

«È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista».

La sua traduzione normativa è la legge Scelba del 1952 (n. 645, 20 giugno 1952), la quale nell’art. 1 chiarisce cosa si intende per ‘riorganizzazione del partito fascista’:

«Quando un’associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista.»

Nell’art. 4, specificando le pene previste, si delinea che ‘l’apologia del fascismo’ avviene quando chiunque «pubblicamente esalta esponenti, princìpi, fatti o metodi del fascismo oppure le finalità antidemocratiche proprie del partito fascista».

Fin qui, è semplice inquadrare il saluto romano come apologia del fascismo. Tuttavia, la normativa italiana si complica.

Legge Mancino

Anche questa centrale per valutare i casi di esternazioni e manifestazioni di stampo fascista, la legge n. 205 del 25 giugno 1993 introdusse una serie di norme atte a costrastare discriminazioni razziali, etniche e religiose; si tratta dell’attuazione dei principi contenuti nella convenzione di New York del 1966. Si punisce la diffusione di idee basate sull’odio e la superiorità razziale, chi istiga a tali comportamenti o chi fonda partiti/organizzazioni basati su tali principi.

La giurisprudenza fino a oggi

Sono numerosi i casi in cui il giudice si è trovato a dover decidere quale normativa applicare.

Due sentenze della Corte Costituzionale (una del 1957 e una del 1958) hanno confermato che il saluto romano non è reato, in quanto per apologia si intende «una esaltazione tale da potere condurre alla riorganizzazione del partito fascista»; ciò salverebbe tutti quei partiti che si dichiarano fascisti ma non puntano alla riorganizzazione del partito fascista in sé.

La questione del saluto, poi, è fonte di giudizi diversi fra loro.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 21409/2019, aveva ritenuto giusto punire un avvocato per aver fatto il saluto romano durante una seduta del Consiglio comunale di Milano. La motivazione: «la libertà di manifestazione del pensiero cessa quando trasmoda in istigazione alla discriminazione e alla violenza di tipo razzista» (soprattutto in contesto istituzionale).

Il tribunale di Varese (ne abbiamo già parlato qui), poi, aveva condannato un docente per aver scambiato con uno studente all’uscita della classe. La motivazione risede nel fatto che «in alcun frangente il gesto del saluto romano può perdere la sua insita gravità, ancor di più se posto in essere da un insegnante – ossia un soggetto che ricopre un ruolo educativo rilevante e delicato nella scuola e nella società – innanzi ai suoi allievi».

A febbraio 2019, invece, il Tribunale di Milano ha assolto quattro esponenti di Lealtà e Azione accusati di apologia del fascismo durante una commemorazione. «Benché sia indubbio che sia stato posto in essere un gesto avente una precisa simbologia fascista (ossia il saluto romano) […] le circostanze concrete tuttavia portano a escludere che tale gesto si sia verificato in ambiti tali da determinare un serio pericolo di riorganizzazione del partito fascista».

Conclusione

Si evince che, in mancanza di una legislazione chiara in merito, la valutazione rimane a piena discrezione del giudice. L’unico punto fermo è che il saluto romano non costituisce reato quando in esso non siano racchiusi discriminazione/incitamento all’odio o volontà di riorganizzazione del partito fascista.

Fonti
Agi
Costituzione Italiana
Corte di Cassazione
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