Corte Costituzionale: illegittimo il "decreto ILVA" del 2015

I salti carpiati legislativi non piacciono a nessuno. Non se ne capisce il senso e l’intenzione del legislatore può facilmente andare contro gli interessi di chi, proprio dalla legge, dovrebbe essere tutelato.
È il caso del “decreto ILVA” 2015 – il quale permetteva la prosecuzione del lavoro all’interno degli impianti nonostante il sequestro ordinato dall’autorità giudiziaria – bocciato per incostituzionalità dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 58 del 23 marzo 2018.
A essere considerati illegittimi sono due articoli in particolare:

Base per il giudizio della Corte sono i principi della sentenza n. 85 del 2013: si conferisce al legislatore, pur in presenza di sequestri da parte dell’autorità giudiziaria, il potere di intervenire per consentire la prosecuzione dell’attività in un particolare impianto produttivo di interesse strategico nazionale, ma solo a condizione che vengano tenute in considerazione sì le esigenze di tutela dell’ambiente, della salute e dell’incolumità dei lavori, ma anche le esigenze dell’iniziativa economica e la continuità occupazionale. Nel caso dell’ILVA, secondo la Corte, il legislatore avrebbe tenuto conto solo delle esigenze dell’iniziativa economica. Tutte le altre, sacrificate.
Inoltre, la norma in oggetto viene ritenuta illegittima anche per il modo in cui è stata mantenuta in vigore. Inizialmente introdotta con un decreto-legge in seguito al sequestro dell’impianto, la norma è stata abrogata con la legge di conversione di un altro decreto, ma allo stesso tempo trasposta all’interno della stessa legge di conversione, coadiuvata dalla presenza di una clausola che manteneva per il passato gli effetti già prodotti.