Commento a sentenza: Tribunale di Savona, sentenza n. 79/2018

In che cosa consiste la responsabilità ex art. 2048 c.c. dei genitori (così come dei tutori, precettori e maestri d’arte) per i fatti illeciti commessi dai figli (o allievi) minorenni?
Secondo la dottrina e la giurisprudenza maggioritarie si tratta senz’altro di una responsabilità per colpa e su questo punto il riferimento non può non essere alle presunzioni di culpa in educando e culpa in vigilando.
Il Tribunale di Savona nella sentenza n. 79/2018 ha sviluppato un interessante excursus intorno a questa norma densa di contenuti e crocevia di numerose questioni e dubbi interpretativi dottrinali e giurisprudenziali.
In primis il Giudice si premura di chiarire il rapporto di genere a specie che sussiste tra l’art. 2047 c.c. e l’art. 2048 c.c., vale a dire la distinzione che intercorre tra soggetto incapace di intendere o di volere e soggetto minorenne non penalmente imputabile ma dotato della capacità naturale: il solo fatto che il soggetto non sia penalmente imputabile non lo trasforma automaticamente in un soggetto incapace naturale ex art. 2047 c.c. (cfr., ex multis, Cass. civ., 26 giugno 2001, n. 8740), ma se il soggetto è anche incapace naturale allora la fattispecie ricade necessariamente all’interno dell’art. 2047 c.c.
Dopo aver operato questo primo distinguo, il Giudice si rifà al prevalente orientamento giurisprudenziale che considera la fattispecie di cui all’art. 2048 c.c. una responsabilità diretta per fatto proprio colpevole, consistente nel non aver impedito il fatto dannoso mediante l’adozione di un comportamento idoneo a tal fine (cfr. Cass. civ., 20 ottobre 2005, n. 20322; Cass. civ., 28 marzo 2001, n. 4481; Cass. civ., 9 ottobre 1997, n. 9815).
Tale responsabilità si fonderebbe su una duplice presunzione di colpa di natura specifica (e qui entrano in gioco le predette presunzioni di culpa in vigilando e di culpa in educando) che consisterebbe non tanto nel non aver impedito il verificarsi del fatto dannoso, bensì in una condotta anteriore a tale momento e che si estrinseca nella violazione dei doveri inderogabili posti a carico dei genitori dall’art. 147 c.c., vale a dire nel loro «obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni» mediante «una costante opera educativa, finalizzata a correggere comportamenti non corretti ed a realizzare una personalità equilibrata».
Trattato anche questo aspetto, il Giudice passa ad analizzare la questione della prova liberatoria di cui all’art. 2048, co. 3, c.c., consistente nella dimostrazione di non aver potuto impedire il fatto.
In particolare si insiste sul contenuto della prova (solo apparentemente negativa) che i genitori, i tutori, i precettori e i maestri d’arte debbono fornire per superare la presunzione di colpa insita nell’art. 2048, co. 1 e 2 c.c.: si deve dimostrare, in positivo, di aver impartito al figlio o all’allievo una buona educazione (il che vale ad escludere la culpa in educando) e di aver adeguatamente vigilato sul minore in modo da prevenire la commissione dell’illecito (ciò per vincere la presunzione di culpa in vigilando), «il tutto in conformità alle condizioni sociali, familiari, all’età, al carattere e all’indole del minore»; pertanto non è sufficiente una mera dimostrazione in negativo di non aver potuto materialmente impedire la commissione del fatto, ma è necessario dimostrare di aver impartito al figlio o all’allievo un’educazione sufficiente per una corretta vita di relazione in rapporto al suo ambiente, alle sue abitudini e alla sua personalità.
Dott.ssa Veronica Foroni

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