Trattativa Stato-mafia: l’atto d’accusa della procura

«Io al Governo gli devo vendere i morti».
Esordisce così, citando le parole di Totò Riina, il pubblico ministero Roberto Tartaglia. «Questo processo riguarda i rapporti indebiti fra Cosa nostra e alcuni esponenti delle istituzioni,» continua Tartaglia spiegando perché sono sotto processo sia mafiosi – Riina, Brisca, Bagarella – sia alcuni esponenti delle istituzioni: l’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri e gli ufficiali del Ros, i generali Antonio Subranni, Mario Mori, e il colonnello Giuseppe De Donno. «Dell’Utri,» in particolare, «ha fatto da motore, da cinghia di trasmissione del messaggio mafioso. Gli uomini del Ros hanno fatto invece da anello di collegamento fra Cosa nostra e le istituzioni».
Questo l’inizio dell’atto di accusa dei pubblici ministeri Nino Di Matteo, Vittorio Teresi, Francesco Del Bene e Francesco Tartaglia nel processo riguardante la Trattativa Stato-mafia.
Niente mezzi termini, specialmente per gli uomini dello Stato che durante la stagione delle stragi intrattennero un dialogo segreto con Vito Ciancimino, l’ex sindaco di Palermo: «Una parte importante delle istituzioni è stata spinta da esigenze personali, politiche, egoistiche, da ambizioni di potere contrabbandante da ragion di Stato». Continua Tartaglia, sono uomini che «hanno violato ogni regola e ogni principio, operando una mediazione con modalità occulte». In particolare, «Mori e De Donno hanno mediato tra Cosa nostra e pezzi dello Stato con modalità occulte e hanno garantito a Vito Ciancimino e altri esponenti delle istituzioni che la trattativa proseguisse, tenendo fuori l’autorità giudiziaria e creando una zona franca dai principi dello Stato di diritto. Le regole sono state sospese con risultati disastrosi».
Il comportamento enunciato, sempre secondo Tartaglia, «ha realizzato due obiettivi storici di Cosa nostra: aumentare la forza dell’organizzazione mafiosa e addirittura confermare e orientare la volontà di Cosa nostra di attaccare lo Stato frontalmente. Hanno orientato perfino la scelta degli obiettivi da colpire che nel tempo sono cambiati rispetto a quelli iniziali. Non più politici ritenuti traditori come Lima e Mannino, ma obiettivi come quelli di Roma, Firenze e Milano che rispondevano meglio alla logica di quella mediazione: aumentare l’allarme sociale». Allarme aumentato grazie anche all’espansione delle stragi nell’Italia continentale e che avevano destabilizzato il pentito Gaspare Spatuzza, il quale sfogandosi con il boss Giuseppe Graviano pronunciò le parole: «Ci stiamo portando morti che non sono nostri». La risposta glaciale del boss, come raccontato da Spatuzza: «È buono, così quelli che si devono muovere si danno una smossa».
 

Fonte: Repubblica.it