L'evasione domiciliare

Commento alla sentenza 27 Aprile 2016 del Tribunale di Catanzaro, gentilmente segnalata dal GOT Dott ssa Maria Clausi del Foro di Catanzaro.
 
Nella sentenza 27 Aprile 2016 del Tribunale di Catanzaro, un soggetto viene imputato ex art. 385 c.p. per essersi allontanato indebitamente e senza autorizzazione dal proprio domicilio, in cui stava scontando il residuo di pena per un reato precedentemente commesso.
L’art. 385 del codice penale disciplina il reato di evasione, prevedendo tre possibili tipi di condanne:

La giurisprudenza è decisamente severa nel riconoscere gli estremi del reato di evasione; nella sentenza n. 35553/2007 la Cassazione sancisce che «integra il delitto di evasione, e non una mera inosservanza del provvedimento cautelare, il mancato raggiungimento del luogo di detenzione da parte della persona sottoposta alla misura coercitiva degli arresti domiciliari».
Sempre la Cassazione, con la sentenza n. 8604/2011, stabilisce che «l’allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari integra il delitto di evasione; non può equipararsi alla violazione di una prescrizione inerente agli obblighi imposti con la misura cautelare (art. 276 c.p.p.), in quanto la permanenza nel domicilio costituisce l’obbligo essenziale dell’arrestato e non una delle prescrizioni a esso inerenti».
Chiarita la questione di diritto, va ora analizzato il fatto del caso di specie.
Al soggetto in questione era stata sostituita la misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari, da eseguirsi presso la sua abitazione.
Autorizzato a raggiungere il nuovo luogo di detenzione libero e senza scorta, egli se ne era indebitamente allontanato, tanto da risultare assente, senza autorizzazione, al normale controllo posto in essere dal reparto operativo dei carabinieri.
Alla luce di questa ricostruzione, incontestata, il giudice deve giocoforza riconoscere il reato di evasione prospettato inizialmente dal PM.
Non solo; tenendo conto della natura e gravità del reato, della biografia penale dell’imputato nonché di tutti gli altri parametri offerti dal legislatore ex articolo 133 c.p., al soggetto deve essere riconosciuto anche il quid pluris della recidiva, con una condanna totale a due anni di reclusione.

Leggi il testo integrale – Tribunale di Catanzaro, sentenza 27 aprile 2016