Tribunale di Modena, Sez. I Civile – Sentenza n. 2401/2015 del 25.11.2015 (Dott. A. Rimondini)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI MODENA
PRIMA SEZIONE CIVILE

in persona del Giudice Antonella Rimondini ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile RG n. /2011, promossa da:
G. A.
Rappresentata e difesa dall’avv. D. C. del foro di Napoli – domiciliata presso l’avv. M. I.

ATTRICE

contro:
AZIENDA OSPEDALIERO-UNIVERSITARIA POLICLINICO DI MODENA
C. O. L. G.
Rappresentati e difesi dall’avv. A. della F. e dall’avv. M. P. M.

CONVENUTI

CONCLUSIONI
Per l’attrice: atto di citazione.
Per i convenuti: comparsa di costituzione e risposta.
MOTIVI DELLA DECISIONE
A. G. ha agito in giudizio deducendo che: il 31.12.2007, a seguito di una caduta accidentale, si era recata al Pronto Soccorso dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Policlinico di Modena (d’ora in poi, per brevità, denominata Policlinico di Modena); il dott. O. C. le aveva diagnosticato una frattura epifisi distale radio destro e, senza eseguire un’indagine radiologica, le aveva prescritto un apparecchio gessato; tale apparecchio era stato confezionato maldestramente e senza rimuovere le garze di bendaggio utilizzate dopo aver praticato l’anestesia; dopo la dimissione, il giorno stesso – a causa dei forti dolori – l’attrice si era recata nuovamente al Policlinico ed il medico di turno, dott. G. L., dopo aver diagnosticato l’assenza di edema e deficit vascolo-nervosi, aveva proceduto a una rifilatura del gesso e alla dimissione; il 31.1.2008 – stante il persistere dei forti dolori – si era recata nuovamente all’Ospedale ed i sanitari le avevano diagnosticato una presumibile diffusa tumefazione delle dita dell’arto ingessato, constando l’assenza di deficit vascolo-nervosi; anche in occasione di tale visita, i medici avevano fissurato, senza rimuovere, il gesso, rinforzandolo con tensoplast; in data 8.1.2008, perdurando forti dolori, l’attrice si era sottoposta a un’altra visita medica, ma il dott. C. S. le aveva diagnosticato una buona tolleranza del gesso; l’apparecchio era stato rimosso solo il 19.2.2008 e la sintomatologia dolorosa era divenuta più acuta; le era stata quindi diagnosticata la malattia di Sudek, in aggiunta a disturbi vascolo-nervosi riconducibili all’errato confezionamento dell’apparecchio gessato applicato all’arto fratturato e alla mancata rimozione delle garze di bendaggio.
Sulla base di tali allegazioni, A. G. ha chiesto la condanna del Policlinico di Modena, di O. C. e G. L. in solido al risarcimento dei danni.
Hanno resistito al giudizio il Policlinico di Modena, O. C. e G. L. contestando la fondatezza della domanda e domandandone il rigetto.
Da tempo la giurisprudenza e la dottrina riconoscono la natura contrattuale della responsabilità della struttura ospedaliera nei confronti del paziente che lamenti di aver subito un danno a causa dell’inadempimento dei sanitari dipendenti dall’ente. L’ospedale, in particolare, “risponde a titolo contrattuale dei danni patiti dal paziente, per fatto proprio, ex art. 1218 cod. civ., ove tali danni siano dipesi dall’inadeguatezza della struttura, ovvero per fatto altrui, ex art. 1228 c.c., ove siano dipesi dalla colpa dei sanitari di cui l’ospedale si avvale” (cfr. Cass., sez. III, 3.2.2012, n. 1620). La struttura, dunque, risponde per il fatto doloso o colposo altrui, purché si sia avvalsa dell’opera di un medico, ancorché non si tratti di soggetto posto alle sue dipendenze (cfr. Cass., sez. III, 13.4.2007, n. 8826). L’ente ospedaliero (pubblico o privato) non assume mai solo obbligazioni di natura alberghiera, ma anche obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, paramedico e di apprestamento di tutte le attrezzature sanitarie, anche in vista di eventuali complicazioni o emergenze. “Ne consegue che la responsabilità della casa di cura (o dell?ente) nei confronti del paziente ha natura contrattuale, e pu? conseguire, ai sensi dell?art. 1218 cod. civ., all’inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, nonché, ai sensi dell’art. 1228 cod. civ., all’inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costui effettuata e la sua organizzazione aziendale, non rilevando in contrario al riguardo la circostanza che il sanitario risulti essere anche “di fiducia” dello stesso paziente, o comunque dal medesimo scelto” (cfr. Cass., sez. III, 26.1.2006, n. 1698. Dalla natura contrattuale della responsabilità del medico (cd. da contatto) e dell’ente ospedaliero per inesatto adempimento della prestazione, discende l’applicabilità delle norme che disciplinano questo tipo di responsabilità con riferimento alla prescrizione e alla ripartizione dell’onere della prova, nonché i principi delle obbligazioni da contratto d’opera intellettuale con riguardo alla diligenza e al grado di colpa. Sotto tale profilo, in particolare, occorre fare riferimento al parametro della diligenza professionale previsto dall’art. 1176, II comma, c.c., che impone il rispetto di tutte le regole e degli accorgimenti che costituiscono nel loro insieme la conoscenza della professione medica. Al riguardo va inoltre rilevato che, ai sensi dell’art. 2236 c.c., applicabile anche ai sanitari, qualora la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, il prestatore d’opera risponde dei danni solo in caso di dolo o colpa grave.
La natura contrattuale della responsabilità della struttura sanitaria e del medico ha riflessi importanti anche sulla distribuzione dell’onere della prova: il paziente deve provare l’esistenza del contratto e l’aggravamento della situazione patologica o l’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento (compreso quindi il nesso di causalità con l’azione o l’omissione dei sanitari – cfr. Cass., sez. III, 16.1.2009, n. 975), mentre è a carico del medico o dell’ente ospedaliero la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente o che, pur essendovi stato un inadempimento, lo stesso non è stato eziologicamente rilevante (cfr. Cass., SU, 11.1.2008, n. 577; Cass., sez. III, 21.7.2011, n. 15993). La distinzione tra prestazione di facile esecuzione e quella implicante la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà non rileva dunque sotto il profilo dell’onere della prova, ma solo con riferimento alla valutazione del grado di diligenza e del corrispondente grado di colpa, restando a carico del medico la prova che la prestazione era di particolare difficoltà (Cass., sez. III, 8.10.2008, n. 24791).
Con particolare riguardo al nesso causale tra condotta (commissiva oppure omissiva del sanitario) ed evento in questa materia si applica la regola ispirata al principio della normalità causale della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non” (cfr. Cass., sez. III, 16.1.2009, n. 975; Cass., sez. III, 10.11.2010, n. 22837), caratterizzata da una soglia di probabilità meno elevata di quella richiesta in sede penale (Cass., sez. III, 11.5.2009, n. 10741; Cass., sez. III, 26.7.2012, n. 13214).
Premesse tali considerazioni sul quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, occorre accertare se nella fattispecie in esame vi sia stato un inadempimento colposo da parte dei medici che hanno avuto in cura A. G. e, in caso positivo, se tale inadempimento abbia provocato i disturbi lamentati dall’attrice.
Al riguardo appare opportuno fare riferimento alla documentazione sanitaria prodotta da A. G. e alle risultanze della consulenza medico-legale esperita dal dott. A. G., condivisibile sia nelle premesse sia nelle conclusioni, atteso che si tratta di relazione logica e completa.
Il ctu ha verificato le notizie cliniche riguardanti l’attrice, esaminato i referti radiografici e proceduto alla visita.
Ha quindi evidenziato che il trattamento prestato dai sanitari che hanno avuto in cura A. G. è stato adeguato alla tipologia di lesione fratturativa della quale era affetta ed è stato ben eseguito. La presenza della garza sul polso della paziente, in particolare, corrisponde a una corretta pratica igienico-sanitaria: la garza è stata infatti collocata nella sede dell’iniezione intrarticolare dell’anestesia locale per evitare il contatto con il cotone non sterile, posto tra la cute ed il gesso. Il ctu ha quindi escluso che la presenza della garza abbia rappresentato una dimenticanza dei sanitari, trattandosi di una procedura sicuramente corretta.
La paziente è stata costantemente seguita dai sanitari del Policlinico, essendo stata visitata e trattata tutte le volte in cui si è presentata al Pronto Soccorso e ai controlli eseguiti in data 8-15-18 gennaio e 7 febbraio 2008, fino alla rimozione dell’apparecchio gessato il 19.2.2008.
Il consulente ha inoltre dato atto che la sindrome algodistrofica che si è presentata costituisce una problematica relativamente frequente, imprevedibile a priori nel suo concreto verificarsi e del tutto indipendente dal trattamento praticato dai convenuti. Tale problematica, infatti, spesso insorge per effetto di fattori predisponenti individuali, ma non è ragionevolmente evitabile, anche se vengono adottati diversi approcci terapeutici opzionali.
Sulla base di tali considerazioni, pertanto, non vi sono elementi per affermare che il comportamento dei sanitari che hanno avuto in cura A. G. sia stato caratterizzato da negligenza, imprudenza o imperizia, poiché i trattamenti compiuti sono stati appropriati e ben eseguiti.
Le valutazione del consulente tecnico d’ufficio si devono ritenere completamente condivisibili, avendo il ctu adeguatamente replicato, con motivazione logica e articolata, ai rilievi dal consulente di parte attrice. Il Tribunale non ha pertanto motivi per discostarsi dalle considerazioni del consulente, in quanto frutto di un iter logico ineccepibile e condotto in modo accurato, in aderenza ai documenti e agli atti di causa.
La domanda attorea, pertanto, va respinta.
Le spese seguono la soccombenza, tenuto conto che le prospettazioni di parte attrice non hanno trovato riscontro neppure nelle osservazioni del proprio ctp che – pur ravvisando una responsabilità dell’ente ospedaliero – ha tuttavia ravvisato profili di colpa ben differenti da quelli indicati nell’atto introduttivo.
La liquidazione delle spese è compiuta sulla base dei parametri previsti dal D.M. 10.3.2014, n. 55 (pubblicato sulla G.U. del 2.4.2014, n. 77), nel cui vigore si è conclusa l’attività dei difensori delle parti (cfr. Cass., S.U., 12 ottobre 2012, n. 17406).
Le spese relative alla ctu, già liquidate in corso di causa, sono attribuite all’attrice.
P.Q.M.
Il Tribunale di Modena, definitivamente pronunciando nel giudizio promosso da G. A. nei confronti dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Modena in persona del legale rappresentante pro tempore, C.O. e L. G., con atto di citazione notificato in data 20 gennaio 2011, ogni altra istanza ed eccezione disattesa, così provvede:

  1. rigetta le domande di parte attrice;
  2. condanna l’attrice al pagamento delle spese di lite a favore dei convenuti in solido che liquida in € 6.254,00, oltre a spese generali, iva e cpa come per legge;
  3. pone a carico dell’attrice le spese di ctu.

Modena, 25 novembre 2015
Il Giudice
Antonella Rimondini