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Verità putativa, punteggiatura e risarcimento danni – Tribunale di Trieste, sentenza n. 36/2019, giudice Mastropietro

La verità putativa è più forte della diffamazione a mezzo stampa, senza contare il ruolo non secondario della punteggiatura per quanto riguarda un qualsiasi scritto. Sono questi i principi che si desumono dalla sentenza n. 36/2019 del Tribunale di Trieste (sezione civile).

Il caso in esame è la richiesta di risarcimento danni presentata da R.P. nei confronti del Gruppo editoriale L., del direttore de «Il Piccolo» P.P. e del giornalista C.E. colpevoli di aver diffuso a mezzo stampa «alcuni articoli in cui veniva data notizia della vicenda di cronaca giudiziaria che vedeva coinvolto l’odierno attore [R.P.], indagato per il reato di favoreggiamento della prostituzione insieme al sig. A.T., dando conto della partecipazione del medesimo P. alla commissione del reato nella non veritiera veste di fotografo delle candidate oltre che gestore del sito internet in cui venivano pubblicati gli annunci relativi all’attività di meretricio da queste svolta».

Anzitutto, il Gruppo Editoriale L. risponde di essere stato erroneamente convocato come proprietario o editorie del quotidiano locale «Il Piccolo».

I convenuti P.P e C.E., per loro conto, affermano che la loro responsabilità sarebbe scriminata dal legittimo esercizio del diritto di cronaca. L’articolo contestato, infatti, riporta stralci di intercettazioni che sì provano la colpevolezza di R.P. e A.T., ma dalla quale punteggiatura, riportata fedelmente secondo fonte ufficiale, si può erroneamente desumere l’erronea attribuzione del ruolo di fotografo per R.P.

In questo caso, quindi, «la responsabilità del giornalista per lesione dell’altrui onore o reputazione è scriminata dal legittimo esercizio del diritto di cronaca, quale estrinsecazione della Libertà di manifestazione del pensiero ex artt. 51 c.p. e 21 Cost.», in quanto sussistono:

  • «la verità oggettiva (anche solo putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca), la quale non sussiste quando, pur essendo veri i singoli fatti riferiti, siano dolosamente o colposamente taciuti altri fatti, tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato, ovvero quando i fatti riferiti siano accompagnati da sollecitazioni emotive, sottintesi, accostamenti, insinuazioni, allusioni o sofismi obiettivamente idonei a creare nella mente del lettore false rappresentazioni della realtà;
  • l’interesse pubblico all’informazione, cioè la cosiddetta pertinenza;
  • la forma “civile” dell’esposizione e della valutazione dei fatti, cioè la cosiddetta continenza” (cfr. Cass. civ. Sez. 3, Sentenza n. 14822 del 04/09/2012).»

Il centro della questione, infatti, sta proprio nella fonte dalla quale il giornalista ha tratto il materiale utile per la scrittura dell’articolo sotto esame. Il testo è stato scritto a partire dall’ordinanza emessa il 16 gennaio 2009. La punteggiatura utilizzata è, in effetti, idonea a «indurre il lettore a ritenere ragionevolmente che l’autore degli scatti fosse proprio il P., e ciò contrariamente a quanto evincibile dal verbale di trascrizione delle intercettazioni, da cui emerge invece con chiarezza che le frasi suddette frasi suddette furono pronunciate dal T.».

L’aver attribuito all’attore R.P. responsabilità non sue, in questa misura, «non ha aggiunto invero alcun disvalore ulteriore alla condotta effettivamente tenuta dall’odierno attore, considerato che un lettore poco avvezzo alle sfumature tecnico-giuridiche riconosce ai due generi di condotta un medesimo disvalore sociale». Vuol dire che la struttura essenziale della notizia è conforme a «verità (quantomeno) putativa nel suo nucleo siccome ricavabile da documenti assistiti da particolare fede (cfr. Cass. civ. Sez. 5, Sentenza n. 28258 del 08/04/2009)». Si rammenta, infine, che quando la notizia riguarda la perpetrazione di reati, il particolare rilievo sociale del fatto basta ad assegnare preminenza su ogni altro (ivi compreso l’interesse del singolo alla tutela della sua reputazione prima che ne sia accertata in via definitiva la colpevolezza) all’interesse pubblico alla sua conoscenza immediata (cfr. Cass. civ. Sez. 1, Sentenza n. 841 del 07/03/1975), fermo l’onere – che invero nella fattispecie risulta essere stato osservato – di evidenziare la fase processuale in cui si trovi il procedimento penale, in modo da rendere il pubblico avvertito del fatto che la colpevolezza dell’accusato non può ancora ritenersi acquisita come fatto certo».

La domanda risarcitoria è stata, quindi, rigettata, condannando la parte attrice alla rifusione delle spese legali.


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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI TRIESTE
SEZIONE CIVILE

In composizione monocratica, in persona del giudice designato dott. Roberta Mastropietro, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado, iscritta al n. 2229 del ruolo generale dell’anno 2013, vertente TRA

R. P., elettivamente domiciliato in Trieste, via Z. n. 8, presso lo studio dell’avv. to C. C., che lo rappresenta e difende per delega a margine dell’atto di citazione;

attore

E

GRUPPO EDITORIALE L. S.P.A., P. P., C. E. tutti elettivamente domiciliati in Trieste, L. go D. F. Bonifacio n. 1, presso lo studio degli avv. ti P. F. e L. D., che li rappresentano e difendono per delega a margine delle rispettive comparse di costituzione;

convenuti

avente per oggetto: risarcimento danni.

udite le conclusioni delle parti, precisate all’udienza del 12 settembre 2018 nei termini che seguono: Per l’attore (rif. foglio di precisazione delle conclusioni allegato al verbale di udienza): “Nel merito: Voglia l’Ill. mo Tribunale di Trieste, accertata l’esclusiva responsabilità di GRUPPO E. L. S.p.A ., P. P. nella sua qualità di direttore responsabile e C. E. nella sua qualità di giornalista, per i fatti di cui alla narrativa del presente atto, condannare i convenuti medesimi, in solido tra loro, al pagamento in favore d. P. della somma così determinata: I.T.P. gg. 180 al 10% Euro 2.169,00 I.T.P. gg. 730 al 7% Euro 6.157, 55 Danno morale da reato Euro 30.000,00 Rimborso spese mediche Euro 773, 50 Danno patrimoniale Euro 8.107, 50 Onorario di c.t.p. op. peritali Euro 1.220,00 Onorario ausiliario C.T.P. Euro 908, 41 TOTALE EURO 49.335, 96 ovvero di quella maggiore o minore ritenuta di giustizia, oltre a rivalutazione ed interessi sull’intera somma dalla data del sinistro al saldo.

Con rifusione delle spese del giudizio come da separata nota e degli onorari di c.t.p. e ausiliario al c.t.p. anticipati in corso di causa, e sopra specificati, nonché con condanna al pagamento delle spese a di c.t.u ., così come liquidate con separato decreto.”

Per i convenuti: (rif. foglio di precisazione delle conclusioni allegato al verbale di udienza): “Ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione reietta e disattesa, ribadito il rifiuto a ogni allargamento del a contraddittorio o domanda nuova, voglia l’Ill. mo Tribunale di Trieste, previa ogni declaratoria del caso. Assolvere i convenuti Gruppo E. L. S.p.A ., P. P. e C. E. da ogni domanda di controparte perché infondata.
Vittoria di competenze e spese anche generali.”

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1. La causa ha ad oggetto l’azione risarcitoria promossa dal sig. R. P. nei confronti del giornalista C. E., del direttore de “I.” P. P. e del Gruppo editoriale “L.” per aver costoro pubblicato sul predetto quotidiano nei primi mesi del 2009 alcuni articoli in cui veniva data notizia della vicenda di cronaca giudiziaria che vedeva coinvolto l’odierno attore, indagato per il reato di favoreggiamento della prostituzione insieme al sig. A. T., dando conto della partecipazione del medesimo P. alla commissione del reato nella non veritiera veste di fotografo delle candidate oltre che di gestore del sito internet in cui venivano pubblicati gli annunci relativi all’attività di meretricio da queste svolta.

Con l’atto di citazione introduttivo del presente giudizio l’attore ha chiesto, dunque, la condanna in solido dei convenuti al pagamento in suo favore a titolo di risarcimento del danno, patrimoniale e non patrimoniale, subito in conseguenza dell’ingiusta offesa alla propria reputazione che detti articoli avrebbero comportato.

A detta domanda hanno resistito i convenuti, deducendo, il gruppo editoriale L., di essere stato erroneamente convenuto come proprietario o editore del quotidiano locale “I.”, ed i sig.ri E. e P., che la pubblicazione di quegli articoli sarebbe scriminata dal legittimo esercizio del diritto di cronaca, avvenuto nel pieno rispetto dei parametri individuati dalla giurisprudenza di legittimità. Escussi i testi attorei e disposta c.t.u. medico-legale sul danno biologico lamentato dal sig. P., la causa (rimessa una prima volta sul ruolo per consentire nuova acquisizione del fascicolo relativo al procedimento penale, nelle more non più rinvenuto) è stata definitivamente trattenuta in decisione sulle precisate conclusioni delle parti all’udienza del 12 settembre 2018, previa assegnazione alle stesse dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.

2. Se chiara appare la dinamica dei fatti, ovverosia la pubblicazione di alcuni articoli dedicati alla vicenda di cronaca giudiziaria che vedeva coinvolto l’attore, inizialmente additato dagli stessi organi giudiziari come complice del sig. T. nella perpetrazione del reato di favoreggiamento della prostituzione, controversa resta l’attitudine lesiva del fatto consistito nel descrivere il P. come impegnato in prima persona nella commissione del fatto criminoso nella duplice veste di gestore del sito e di fotografo delle candidate (nel primo articolo pubblicato il 23 gennaio 2009 si legge “R. P. si è assunto le incombenze tecniche della gestione. In primo luogo quella di fotografare le candidate, intascando il prezzo del servizio”). Ora, valga premettere che, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, la responsabilità del giornalista per lesione dell’altrui onore o reputazione è scriminata dal legittimo esercizio del diritto di cronaca, quale estrinsecazione della Libertà di manifestazione del pensiero ex artt. 51 c.p. e 21 Cost., “se ricorrono: a) la verità oggettiva (anche solo putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca), la quale non sussiste quando, pur essendo veri i singoli fatti riferiti, siano dolosamente o colposamente taciuti altri fatti, tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato, ovvero quando i fatti riferiti siano accompagnati da sollecitazioni emotive, sottintesi, accostamenti, insinuazioni, allusioni o sofismi obiettivamente idonei a creare nella mente del lettore false rappresentazioni della realtà; b) l’interesse pubblico all’informazione, cioè la cosiddetta pertinenza; c) la forma “civile” dell’esposizione e della valutazione dei fatti, cioè la cosiddetta continenza” (cfr. Cass. civ. Sez. 3, Sentenza n. 14822 del 04/09/2012). Quanto, poi, alla verifica circa la ricorrenza del presupposto della verità oggettiva, la S.C. ha ulteriormente chiarito che non occorre che il fatto corrisponda a verità, quando si tratti di verità ragionevolmente putativa per le fonti da cui proviene o per altre circostanze soggettive (cfr. Cass. civ. Sez. 3 -, Ordinanza n. 25420 del 26/10/2017). E verità putativa per eccellenza è proprio quella che connota un fatto la cui esistenza sia comunicata al giornalista dall’autorità investigativa o giudiziaria, trattandosi di un tipo di fonte cui si riconosce assiomaticamente credibilità (cfr. Cass. civ. Sez. 3, Sentenza n. 2271 del 04/02/2005, a mente della quale “il giornalista ha l’obbligo di controllare l’attendibilità della fonte informativa, a meno che non provenga dall’autorità investigativa o giudiziaria, e di accertare la verità del fatto pubblicato, restando altrimenti responsabile dei danni derivati dal reato di diffamazione a mezzo stampa, salvo che non provi l’esimente di cui all’art. 59 ultimo comma cod. pen. e cioè la sua buona fede”). Nella fattispecie è accaduto che l’autore della notizia abbia appreso il fatto storico dell’indagine avviata nei confronti (anche) dell’odierno attore in seguito all’adozione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei suoi confronti il 16 gennaio 2009, come si evince chiaramente dal riferimento a tale provvedimento contenuto nel primo articolo pubblicato il 23 gennaio 2009 (cfr. all. 1 alla citazione, in cui si legge: “entrambi sono stati arrestati su istanza di carcerazione del pm F., accolta dal presidente del gip R. M.”). Verosimilmente, dunque, l’ordinanza de qua è entrata nella disponibilità del convenuto E. già prima della pubblicazione della notizia; ed anzi il fatto che il pezzo riporti alcuni scambi di battute tra i due indagati carpiti attraverso le disposte intercettazioni e riprodotti in detto provvedimento costituisce la prova che da detto documento il medesimo abbia attinto per redigere gli articoli.

Ora, nel testo dell’ordinanza (cfr. doc. 325 del fascicolo relativo al procedimento n. 4781/10 di R.G.N.R., acquisito nel corso del presente procedimento) risulta riprodotto il seguente estratto delle intercettazioni relative alle conversazioni intercorse tra gli indagati: “[…] G. e B. hanno rinnovato tutte e due, però vogliono cambiare nome, ti ho mandato le foto che ho rifatto … S. non devo cancellarla allora? -nota: è P. a dirlo – …. hai fatto tu le foto a G. ? ..Sì, le ho fatte io […]”. L’ordinanza cautelare poi chiosa con la considerazione per cui risulterebbero “così confermati a carico del P. i gravi indizi di una condotta che non è solo connivenza, ma vera e propria complicità attiva”. Ebbene, la punteggiatura utilizzata nel riportare l’estratto delle conversazioni intercettate e l’inciso “-nota: è P. dirlo contenuto nel predetto provvedimento ed inserito immediatamente prima della battuta sugli scatti fotografici a G., il tutto seguito dalla constatazione di “complicità attiva”del P., appaiono in effetti idonei ad indurre il lettore a ritenere ragionevolmente che l’autore degli scatti fosse proprio il P., e ciò contrariamente a quanto evincibile dal verbale di trascrizione delle intercettazioni, da cui emerge invece con chiarezza che le frasi suddette frasi suddette furono pronunciate dal T., e non dal P. L’attribuzione all’attore degli scatti che ritraevano le candidate in pose ammiccanti appare, dunque, il frutto di una percezione erronea della realtà dovuta non già ad un negligente adempimento da parte del giornalista del suo dovere di controllo della conformità al vero della notizia, quanto piuttosto all’ambiguità dello stesso atto giudiziario da cui E. verosimilmente ha attinto e che lo esentava, per la sua ontologica attendibilità, dal compiere ulteriori verifiche (cfr. Cass. civ. Sez. 1, Sentenza n. 9391 del 24/09/1997, secondo cui “l’eventuale discrepanza tra il fatto narrato e quello effettivamente accaduto non esclude che possa essere invocata la esimente, anche putativa, dell’esercizio del diritto di cronaca, quando colui che ha divulgato la notizia, pur avendo compiutamente adempiuto il dovere di controllo delle fonti da cui la ha appresa, abbia una percezione erronea della realtà”). Quanto poi al ruolo di gestore del sito attribuito al P., era la stessa ordinanza cautelare a descrivere in tali termini il contributo che l’attore avrebbe offerto alla commissione del reato di favoreggiamento della prostituzione, così testualmente esprimendosi: “si rileva che nel corso delle telefonate intercettate emerge con chiarezza la figura del P. come complice e gestore diretto dei siti”). Valga, poi, ulteriormente osservare che, posto che dalle intercettazioni in atti (della cui disponibilità da parte del giornalista nulla è dato sapere) emergeva con chiarezza tanto la veste di tecnico del sito del P. quanto la consapevolezza da parte sua della natura degli annunci su di esso caricati e dell’attività svolta dal T., il fatto di attribuire all’attore la veste, oltre che di tecnico del sito (quale comprovata dalle conversazioni svoltesi tra i due e carpite durante le intercettazioni ), anche di fotografo delle candidate non ha aggiunto invero alcun disvalore ulteriore alla condotta effettivamente tenuta dall’odierno attore, considerato che un lettore poco avvezzo alle sfumature tecnico-giuridiche riconosce ai due generi di condotta un medesimo disvalore sociale. Quand’anche, dunque, il giornalista fosse stato a conoscenza di tutti gli atti giudiziari relativi all’indagine (ivi compresi i verbali relativi alle trascrizioni delle intercettazioni ), il fatto che egli abbia scelto di attribuire falsamente al P. la veste di fotografo non ha determinato alcuna modifica della struttura essenziale della notizia, senz’altro conforme a verità (quantomeno) putativa nel suo nucleo siccome ricavabile da documenti assistiti da particolare fede (cfr. Cass. civ. Sez. 5, Sentenza n. 28258 del 08/04/2009, secondo cui “in tema di diffamazione a mezzo stampa, ai fini dell’operatività dell’esimente dell’esercizio del diritto di cronaca, non determinano il superamento della verità del fatto modeste e marginali inesattezze che concernano semplici modalità del fatto senza modificarne la struttura essenziale”). Venendo, poi, all’ulteriore presupposto della pertinenza, valga rammentare che secondo la S.C. quando la notizia riguarda la perpetrazione di reati, il particolare rilievo sociale del fatto basta ad assegnare preminenza su ogni altro (ivi compreso l’interesse del singolo alla tutela della sua reputazione prima che ne sia accertata in via definitiva la colpevolezza) all’interesse pubblico alla sua conoscenza immediata (cfr. Cass. civ. Sez. 1, Sentenza n. 841 del 07/03/1975 ), fermo l’onere – che invero nella fattispecie risulta essere stato osservato – di evidenziare la fase processuale in cui si trovi il procedimento penale, in modo da rendere il pubblico avvertito del fatto che la colpevolezza dell’accusato non può ancora ritenersi acquisita come fatto certo.

Infine, il limite della continenza impone al giornalista moderazione, misura, proporzione nelle modalità espressive, le quali non devono trascendere in attacchi personali diretti a colpire l’altrui dignità morale e professionale, con riferimento non solo al contenuto dell’articolo, ma all’intero contesto espressivo in cui l’articolo è inserito, compresi titoli, sottotitoli, presentazione grafica, fotografie, trattandosi di elementi tutti che rendono esplicito, nell’immediatezza della rappresentazione e della percezione visiva, il significato di un articolo, e quindi idonei, di per sé, a fuorviare e suggestionare i lettori più frettolosi (cfr. Cass. civ. Sez. 3, Sentenza n. 20608 del 07/10/2011; conf. Cass. civ. Sez. 3, Sentenza n. 25739 del 05/12/2014). Anche sotto questo aspetto valga evidenziare che le espressioni impiegate dal giornalista non fanno altro che ricalcare quelle attribuite agli indagati dagli stessi atti giudiziari suddetti, riproducendone per estratto alcune conversazioni. Del resto, ciò di cui in definitiva si duole l’attore non è l’impiego di espressioni colorite negli articoli pubblicati, quanto piuttosto il racconto della notizia, poi rivelatasi contraria al vero, per cui l’attore avrebbe collaborato attivamente alla commissione (in concorso con il T.) del reato di agevolazione dell’esercizio dell’attività di meretricio, aggiornando l’immagine delle candidate con servizi fotografici da lui stesso realizzati.

Ritenuta, dunque, per le ragioni sopra esposte comunque operante l’esimente del legittimo esercizio del diritto di cronaca, per essere l’erronea percezione del fatto da parte del giornalista imputabile all’obiettiva ambiguità del testo dell’ordinanza cautelare verosimilmente assunta a riferimento ed in ogni caso per essere la predetta precisazione inidonea a modificare in modo sostanziale la notizia (vera nel suo nucleo essenziale ), deve ritenersi che la responsabilità del giornalista e del direttore del giornale sia in effetti scriminata, con conseguente rigetto della domanda risarcitoria.

Quanto alla posizione del Gruppo editoriale L’E., la contestazione scolta sin dalla comparsa di risposta dalla convenuta circa la sua qualità di editrice o proprietaria de I. e la mancata prova dell’allegazione attorea deve indurre a rigettare la domanda formulata nei suoi confronti in ragione della sua assoluta estraneità ai fatti di causa.

3. Considerato l’esito della lite, conclusasi con l’integrale rigetto della domanda attorea nei confronti di tutti e tre i convenuti, le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, facendo applicazione dei valori medi di cui al D.M. n. 55/2014 tenuto conto dell’ordinario pregio delle questioni trattate e dell’attività disimpegnata, nonché del fatto che i convenuti si sono avvalsi della stessa difesa tecnica.

Infine, le spese di c.t.u., già liquidate con decreto del 23 maggio 2017, vanno definitivamente poste a carico di parte attrice.

P.Q.M.

Definitivamente pronunciando sulla causa in epigrafe, il Tribunale di Trieste in composizione monocratica così provvede:
a) rigetta la domanda risarcitoria formulata dal sig. R. P. nei confronti dei convenuti;
b) condanna parte attrice alla refusione in favore dei convenuti delle spese di lite, che liquida in 17.459,00 per compensi ed 196,27 per esborsi, oltre rimborso forfetario per spese generali al 15%, c.p.a. ed i.v.a. come per legge.
c) pone definitivamente a carico di parte attrice le spese di c.t.u ., già liquidate con decreto del 23 maggio 2017.

Trieste, 18/01/2019

Il Giudice
dott. ssa Roberta Mastropietro


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