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Suicidio assistito: la Corte costituzionale deposita la sentenza n. 242/2019

«L’esigenza di garantire la legalità costituzionale deve prevalere su quella di lasciare spazio alla discrezionalità del legislatore. E se la dichiarazione di incostituzionalità rischia di creare vuoti di disciplina che mettono in pericolo diritti fondamentali, la Corte costituzionale deve preoccuparsi di evitarli, ricavando dal sistema vigente i criteri di riempimento, in attesa dell’intervento del Parlamento».

Con questa introduzione la Corte costituzionale deposita la sentenza n. 242/2019, con la quale si confermano le decisioni già anticipate dall’ordinanza 207 del 25 settembre 2018 sul “caso Cappato”.

Vizi costituzionali e conferme

Prima di tutto si ribadisce che l’incriminazione del diritto al suicidio non è certo contraria alla Costituzione in termine di tutela della vita; specialmente se il caso riguarda soggetti ritenuti vulnerabili. Tuttavia, è presente un’area in cui l’incriminazione non è conforme alla Costituzione. È il caso di una persona in grado di intendere e volere ma affetta da patologie irreversibili che comportano la sopravvivenza per sostegno vitale, quindi potenziale preda di intollerabili sofferenze fisiche e/o psichiche.

La legge del 22 dicembre 2017, n. 219 (Disposizioni anticipate di trattamento), consente già a tali pazienti di lasciarsi morire tramite interruzione del sostegno vitale o sedazione profonda. Tuttavia, «non consente al medico di mettere a disposizione del paziente trattamenti atti a determinarne la morte. Il paziente è così costretto […] a subire un processo più lento e più carico di sofferenze per le persone che gli sono care». In questo modo si lede la libertà di autodeterminazione del malato nella scelta dei trattamenti (artt. 2, 13 e 32 della Costituzione).
Messa così, però, la questione potrebbe dare adito ad abusi di qualsiasi genere, mettendo in pericolo i soggetti più deboli; e proprio per questo si attendeva l’intervento del legislatore (mai avvenuto).

Per evitare tali abusi, perciò, i giudici costituzionali hanno individuato nella legge n. 219 un punto di riferimento relativo «alla rinuncia ai trattamenti sanitari necessari alla sopravvivenza del paziente e alla garanzia dell’erogazione di una appropriata terapia del dolore e di cure palliative» negli artt. 1 e 2. In questo modo si andrebbero a soddisfare buona parte delle esigenze riscontrate dalla Corte.

Si conferma anche l’esigenza di affidare la verifica delle condizioni utili alle strutture del servizio sanitario nazionale, previo parere positivo di un comitato etico competente.

L’art. 580 c.p.

Confermata, quindi, l’incostituzionalità dell’art. 580 c.p. «nella parte in cui non esclude la punibilità di chi agevola il proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona che versi nelle condizioni indicate in precedenza, a condizione che l’aiuto sia prestato con le modalità previste dai citati articoli 1 e 2 della legge n. 219 del 2017 e sempre che le suddette condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente».
Le condizioni procedurali espresse valgono solo per i fatti successivi alla sentenza della Consulta.

Se da una parte si eleva un diritto, dall’altra si abbattono le polemiche incentrate sui vari «Vogliono rendere legale il suicidio!».
Come molto spesso accade, basta leggere le motivazioni. Tutto qua.

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