Sentenze

Tribunale di Verona, Sez. Verona – Sentenza n. 271/2015 del 28.7.2015 (Dott. Gesumunno)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL Tribunale di Verona
Sezione Lavoro

nella persona del Giudice dr. Antonio Gesumunno, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa previdenziale promossa con ricorso depositato il 31.10.2013

DA

L.G. comparso in causa per mandato a margine del ricorso a mezzo dell’avv. M. M. ed elettivamente domiciliato presso lo stesso in Verona,

CONTRO

ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE in persona del Presidente pro tempore comparso in causa a mezzo dell’avv. D. G. per procura generale alle liti a rogito del Notaio P. C. di Roma n.77778/19476 del 23.12.2011 ed elettivamente domiciliato presso l’ufficio di Avvocatura dell’Istituto in Verona,

OGGETTO: pensione di anzianità
UDIENZA DI DISCUSSIONE: 22.4.2015
CONCLUSIONI DI PARTE RICORRENTE:
A) Nel merito in via principale
a) Ritenuta l’illegittimità del provvedimento adottato dall’INPS in data 26.9.2012 con il quale è stata rigettata la domanda di pensione presentata dal ricorrente e, comunque, la responsabilità dell’I.N.P.S. in ordine al presunto smarrimento e/o al mancato rinvenimento dei contributi versati nel periodo
contestato, disporsi l’annullamento del provvedimento stesso e riconoscersi il diritto del ricorrente al percepimento della pensione a decorrere dal 1° novembre 1012.
a) Per l’effetto condannarsi l’I.N.P.S. a corrispondere ala ricorrente gli assegni di pensione a decorrere dal 1° novembre 2012 con gli interessi legali e la rivalutazione monetaria.
b) Condannarsi inoltre l’I.N.P.S. a restituire al ricorrente i contributi volontari già versati per il 2° semestre 2012 pari a € 2.486,46, per quelli già versati per l’anno 2013 pari ad € 5.001,60 e per quelli che verranno versati nel 2014 pari (salvo variazioni) ad € 5.001,60 e per nove mesi nel 2015 pari a € 3.751,20.
B) Nel merito in via subordinata
a) Nella denegata ipotesi in cui non venisse riconosciuto il diritto del ricorrente al percepimento della pensione a partire dal 1° novembre 2012, ritenuta comunque la responsabilità dell’I.N.P.S. in rodine al presunto smarrimento e/o mancato rinvenimento dei contributi versati nel periodo contestato, condannarsi l’I.N.P.S. al risarcimento del danno subito dal ricorrente nella misura pari a tutti i ratei di pensione non corrisposti a decorrere dal 1° novembre 2012 sino alla data dell’effettivo percepimento della pensione, oltre interessi e rivalutazione monetaria ex art. 429, 3° comma c.p.c.
b) condannarsi inoltre l’I.N.P.S. al versamento dei contributi figurativi in favore del ricorrente a partire dal 1° gennaio 2012 al 30 settembre 2015 sulla base di quanto versato nell’ultimo anno in cui ha prestato la propria attività lavorativa o in linea con i due anni di mobilità (2010-2011).
C) Nel merito in via alternativa alle superiori domande
a) Dichiararsi tenuta e condannarsi l’I.N.P.S., per le causali di cui alla narrativa, a risarcire al ricorrente tutti i danni dallo stesso subiti e subendi sino alla data di effettivo percepimento della pensione, che si indicano sin d’ora nella complessiva somma di € 166.125,00 o in quella diversa che risulterà di giustizia.
Dichiararsi tenuta e condannarsi l’I.N.P.S. a restituire al ricorrente i contributi volontari già versati per il 2° semestre 2012 pari ad € 2.496,46 per quelli già versati per l’anno 2013 pari ad € 5.001,60 e per quelli che verranno versati nel 2014 pari (salvo variazioni) ad € 5.001,60 e per nove mesi nel 2015 pari a € 3.751,20
D) In ogni caso: Con vittoria di spese e compensi di causa oltre rimborso spese generali, C.P.A. ed IVA di legge.
CONCLUSIONI DELL’I.N.P.S.:
Respingersi il ricorso perché infondato e non provato; con vittoria di spese e competenze di lite

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con ricorso depositato il 31.10.2013 L.G. Luigi conveniva in giudizio l’Inps esponendo: di avere iniziato la propria attività lavorativa a decorrere dal 1.7.1970 alle dipendenze della SAF Graphic Service con sede in Verona; di essere stato assunto come operaio stagionale presso lo Stabilimento della Motta s.p.a. dal luglio 1971 sino alla partenza per il servizio militare; che la Motta aveva versato i contributi a Milano ove aveva la sua sede legale; che il patronato nel 1993 aveva richiesto ed ottenuto il trasferimento dei contributi da Milano a Verona; che successivamente aveva alternato periodi di lavoro dipendente a periodi di lavoro autonomo; di avere più volte richiesto estratti conto certificativi dai quali risultava l’accreditamento dei contributi per periodi suddetti; di avere richiesto da ultimo estratto conto certificativo nel 2008 dal quale continuavano a risultare i periodi contributivi a decorrere dal 1970; di avere nuovamente richiesto l’estratto conto certificativo nel 2009 al fine di valutare la convenienza di un esodo incentivato dalla propria azienda di cui era dipendente (STI s.p.a.) che si trovava in una situazione di crisi; che tale estratto certificativo attestava la regolarità della posizione assicurativa e l’accreditamento di un numero di contributi utili per conseguire la pensione di anzianità; di avere pertanto sottoscritto verbale di conciliazione in sede sindacale in data 23.11.2009 e la conseguente risoluzione del rapporto di lavoro in data 4.2.2009; che ad aprile 2011 avrebbe maturato i 40 anni e 2080 contributi, richiesti per il conseguimento della pensione di anzianità; di avere quindi richiesto in data 10.2.2011 un ulteriore estratto certificativo da cui risultavano i contributi versati dal 1.7.1970; di avere inoltrato il 24.7.2012 domanda di pensione di anzianità; che la domanda era stata rigettata con provvedimento del 26.9.2012, poiché l’Inps aveva rilevato la mancanza di 40 anni di contribuzione dal 17.4.1972 al 2011; di avere impugnato senza esito positivo il provvedimento in sede amministrativa.

Ciò premesso, il ricorrente chiedeva che fosse accertato il proprio diritto alla pensione di anzianità a partire dal 1.11.2012. Il ricorrente esponeva infatti che a seguito della riforma introdotto dal Governo Berlusconi nel maggio 2010 la “finestra” per la decorrenza della pensione era stata portata a 18 mesi (da conteggiare a partire dall’aprile 2011, periodo di effettivo conseguimento della massima anzianità contributiva di 2080 contributi) e che per effetto delle c.d. riforma Fornero (la quale richiede una anzianità di 42 anni e sei mesi e 2210 contributi) egli era costretto a versare la contribuzione volontaria sino al settembre 2015 con slittamento della decorrenza della pensione ad ottobre 2015. Il ricorrente chiedeva pertanto la condanna dell’Inps a corrispondere gli assegni di pensione non percepiti e a riconoscere i contributi figurativi dal 1.1.2012 al 30.9.2015 in parte già versati e in parte da versare sino al 2015.

La parte ricorrente in via subordinata chiedeva la condanna della parte convenuta al risarcimento dei danni nella misura pari ai ratei di pensione non corrisposti della pensione dal 1.11.2012 sino alla data di effettivo conseguimento della pensione ed al versamento dei contributi figurativi in favore del ricorrente a partire dal 1.1.2012 sino al 30.9.2015 In via alternativa chiedeva che l’Inps fosse condannato a risarcire tutti i danni da lucro cessante cagionati dalle inesatte certificazioni fornite dall’Inps. Il ricorrente sosteneva infatti che, ove avesse avuto contezza della propria effettiva situazione contributiva, non avrebbe accettato la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro dipendente e avrebbe proseguito l’attività lavorativa sino al conseguimento della pensione. Chiedeva in ogni caso la condanna dell’Inps alla restituzione dei contributi volontari.
Si costituiva in giudizio l’Inps e chiedeva il rigetto delle domande di parte ricorrente. L’Inps eccepiva che non poteva essere accolta la domanda diretta al riconoscimento del diritto alla pensione, poiché i contributi evidenziati nell’estratto conto erano stati annullati. A seguito di verifiche amministrative, essi risultavano da imputare ad un soggetto diverso. Il ricorrente non poteva chiedere la costituzione della posizione assicurativa e il versamento dei contributi ormai prescritti e in ogni caso, in mancanza di prova scritta avente data certa, non era legittimato neppure a chiedere la costituzione di una rendita ex art. 13 legge 1338/62. L?Inps sosteneva inoltre che l’estratto conto certificativo non attestava il diritto alla pensione e pertanto il ricorrente aveva l’onere di richiedere l’apposita certificazione di cui all’art. 1 comma 3 legge 243/04. Gravava inoltre sul ricorrente, stante il valore indicativo dei dati contenuti nell’estratto contributivo, una verifica puntuale dell’esattezza dei contributi indicati. L’Inps eccepiva inoltre la mancata prova del danno subito e contestava l’esistenza di un nesso causale tra l’errata indicazione dei contributi e la decisione di interrompere il rapporto di lavoro dipendente.

La causa, ritenuta matura per la decisione veniva discussa e decisa previo deposito di note difensive all’udienza del 22.4.2015.

***

Le domande di parte ricorrete sono in parte fondate e devono essere accolte nei termini di seguito indicati.

I contributi di cui si discute sono pacificamente prescritti, in quanto si riferiscono agli anni 1970 e 1971. La parte ricorrente, in caso di mancato pagamento dei contributi da parte del datore di lavoro, può agire nei confronti di quest’ultimo per il risarcimento del danno pensionistico ovvero chiedere all’Inps la costituzione della riserva matematica ai sensi della legge 1338/62,
purché sia fornita la prova scritta avente data certa dell’esistenza del rapporto di lavoro.

È pacifico quindi che la parte ricorrente non disponeva di contributi accreditati sufficienti al 2011 per il riconoscimento del diritto alla pensione di anzianità con la decorrenza fissate dalle “finestre” introdotte dalla normativa denominata in ricorso come “riforma del Governo Berlusconi (maggio 2010)” (verosimilmente si tratta del DL 78/10 detto “manovra finanziaria”). La decorrenza viene indicata dal ricorrente al 1.11.2012, poiché si doveva applicare la finestra dei 18 mesi prevista per coloro che svolgevano attività autonoma. Il ricorrente espone infatti di avere interrotto la mobilità a di avere iniziato una attività autonoma come agente. Il requisito dei 2080 contributi virtualmente doveva ritenersi perfezionato nell’aprile 2011.

Il ricorrente nelle note difensive depositate ha dichiarato di rinunciare alle domande svolte in via principale e quindi deve essere dichiarata cessata la materia del contendere in ordine alle domande dirette ad ottenere il riconoscimento del diritto alla prestazione.

Le domande in via subordinata devono essere accolte nei termini di seguito precisati.

Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione (v. tra le più recenti, Cass. sent. 21454 del 2012, 3195 del 2012 e 15083 del 2008; ex plurimis, Cass. sent. n. 19340 del 2003, n. 5002 del 2002, n. 6995 e 6867 del 2001, n. 14953 del 2000, n. 9776 del 1996), il danno subito dal lavoratore che sia stato indotto alla anticipata cessazione del rapporto di lavoro, a seguito di errata comunicazione dell’Inps sulla propria posizione contributiva, e che si sia visto poi rigettare la domanda di pensione di anzianità per insufficienza dei contributi versati è riconducibile ad illecito contrattuale, in quanto fondata sul rapporto giuridico previdenziale.
La S.C. ha avuto modo di esaminare la situazione di lavoratori che avevano rassegnato le dimissioni sul presupposto, poi rivelatosi errato, di avere maturato i requisiti di anzianità necessari per beneficiare della pensione, dopo avere esaminato gli estratti conto provenienti dall’INPS attestanti il raggiungimento di un numero di contributi utile a tal fine (ex plurimis, Cass. n. 1104 del 2003; v pure Cass. n. 6995 del 2001 e n.5002 del 2002). La Cassazione ha affermato che il lavoratore indotto alle dimissioni da un colpevole comportamento dell’INPS, che gli abbia erroneamente comunicato il perfezionamento del requisito contributivo per il conseguimento della pensione di anzianità, ha diritto al risarcimento del danno in un importo commisurabile a quello delle retribuzioni perdute fra la data della cessazione del rapporto di lavoro e quella dell’effettivo conseguimento della detta pensione, in forza del completamento del periodo di contribuzione a tal fine necessario, ottenuto col versamento di contributi volontari, da sommarsi a quelli obbligatori anteriormente accreditati.

Con la pronuncia del 10 novembre 2008, n. 26925, la Cassazione ha affermato che, in tema di erronea comunicazione al lavoratore, da parte dell’Inps, della posizione contributiva utile al pensionamento, l’ente risponde del danno derivatone per inadempimento contrattuale, salvo che provi che la causa dell’errore sia esterna alla sua sfera di controllo e l’inevitabilità del fatto impeditivo nonostante l’applicazione della normale diligenza.

Trattasi di obbligazione di origine legale, ma attinente ad un rapporto intercorrente tra due parti, per cui la responsabilità per inosservanza della stessa è di natura contrattuale. In tale quadro di riferimento, a norma dell’art. 1218 c.c., colui che agisce in giudizio per ottenere il risarcimento del danno conseguente all’inadempimento di tale obbligazione ha l’onere di provare unicamente la fonte del suo diritto e di allegare la circostanza dell’inadempimento o del non esatto adempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento o dell’impedimento rappresentato dalla impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.

La nozione di causa non imputabile al debitore che induce l’impossibilità della prestazione o dell’esatta prestazione è stata costantemente precisata in termini di fatto oggettivo esterno alla sfera di dominio del debitore, che determina l’impossibilità della prestazione nonostante l’esaurimento di tutte le possibilità di ovviarvi adoperando la normale diligenza richiesta nelle relazioni contrattuali. L’art. 1218 c.c., pone espressamente a carico del debitore la prova che l’inadempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, prova che esige la dimostrazione dello specifico impedimento, che ha reso impossibile la prestazione (Cass. n. 3294 del 2004). Ne deriva che, nell’ipotesi in cui l’INPS abbia comunicato all’assicurato una indicazione erronea del numero dei contributi versati, il danneggiato non ha l’onere di provare la colpa o il dolo dell’autore dell’illecito.

Si è in particolare evidenziato l’obbligo che fa carico all’Istituto, ai sensi della L. 9 marzo 1989, n. 88, art. 54, di comunicare all’assicurato che ne faccia richiesta, i dati relativi alla propria situazione previdenziale e pensionistica: “è fatto obbligo agli enti previdenziali di comunicare, a richiesta esclusiva dell’interessato o di chi ne sia da questi legalmente delegato o ne abbia diritto ai sensi di legge, i dati richiesti relativi alla propria situazione previdenziale e pensionistica”. L’ultimo periodo di questa norma dispone che: “La comunicazione da parte degli enti ha valore certificativo della situazione in essa descritta”.
Il ricorrente ha dimostrato di avere cessato il rapporto di lavoro accettando una risoluzione consensuale mediante produzione dell’accordo di messa in mobilità in data 19.11.2009 (doc. 3), del verbale di conciliazione (doc. 4) e della risoluzione del rapporto di lavoro (doc. 5). Il ricorrente ha dimostrato di avere posto in essere quanto richiesto dalla normale diligenza, avendo richiesto più di una volta nel corso degli anni l’estratto certificativo e da ultimo (doc. 2) proprio in prossimità della stipulazione degli accordi di cui sopra e anche in epoca successiva (10.2.2011 doc. 6).

L’Inps sostiene che l’unico documento idoneo a dare certezza sulla titolarità del diritto alla pensione è il certificato attestante il diritto alla pensione previsto dall’art. 1 comma 3 della legge 243/2004. Ne consegue che il ricorrente, secondo l’Istituto, non ha agito secondo le regole di comune prudenza e diligenza, in quanto non ha richiesto all’Inps l’unico documento che gli avrebbe dato certezza sull’esistenza dei presupposti assicurativi per ottenere la pensione di anzianità.

L’argomentazione dell’Inps non è condivisibile. La certificazione di cui all’art. 1 comma 3 legge 243/2004, come si evince dal chiaro testo della norma, è stata introdotta dal legislatore con finalità e funzioni completamente diverse.

La legge citata infatti introdusse a decorrere dal 1° gennaio 2008 requisiti contributivi ed anagrafici più gravosi per ottenere il riconoscimento del diritto al trattamento pensionistico e con questa finalità modificò le date di accesso al pensionamento di anzianità. La medesima legge tuttavia, in deroga ai più elevati requisiti richiesti per il conseguimento della pensione, ha previsto, al comma 3 dell’art. 1, una norma di salvaguardia per coloro che avessero maturato entro il 31 dicembre 2007 i requisiti di età e di anzianità contributiva previsti dalla normativa vigente prima della data di entrata in vigore della legge in esame, ai fini del diritto all’accesso al trattamento pensionistico di vecchiaia o di anzianità, nonchè alla pensione nel sistema contributivo; in tali fattispecie, i lavoratori conseguono il diritto alla prestazione pensionistica secondo la predetta normativa e possono chiedere all’ente di appartenenza la certificazione di tale diritto (“Il lavoratore che abbia maturato entro il 31 dicembre 2007 i requisiti di età e di anzianità contributiva previsti dalla normativa vigente prima della data di entrata in vigore della presente legge, ai fini del diritto all’accesso al trattamento pensionistico di vecchiaia o di anzianità, nonché alla pensione nel sistema contributivo, consegue il diritto alla prestazione pensionistica secondo la predetta normativa e può chiedere all’ente di appartenenza la certificazione di tale diritto”).

Anche accedendo alla tesi dell’Inps, che attribuisce a tale certificazione valore decisivo rispetto all’estratto certificativo, in ogni caso, la norma non si applicherebbe al ricorrente, il quale allega di avere maturato i requisiti di età e contributivi in epoca largamente successiva al 31.12.2007.

Ciò premesso, l’Inps ha ammesso espressamente nella propria memoria difensiva che il ricorrente ha richiesto ed ottenuto l’emissione di estratti conto “certificativi” rispettivamente in data 27.5.2008, 27.4.2009 e 10.2.2011 contenenti registrazioni di contributi in eccedenza rispetto a quelli effettivamente accreditati al ricorrente.

Tale fatto deve ritenersi definitivamente accertato nella causa, con gli effetti riconnessi dalla legge all’estratto conto certificativo della posizione contributiva dell’interessato. La posizione difensiva dell’Inps nella memoria difensiva era infatti pienamente coerente con tale ricostruzione dei fatti. L’Inps addebitava al ricorrente la mancata richiesta della certificazione del diritto alla pensione, precedentemente esaminata e non l’omessa istanza di estratto certificativo. Nelle note difensive autorizzate invece la parte convenuta Inps ha eccepito che il ricorrente ha richiesto estratti conto certificativi solo dopo avere cessato l’attività lavorativa per dimissioni. È evidente la tardività di tali allegazioni rispetto alla definizione del thema probandum.

Si è trattato di una adesione del ricorrente su base volontaria all’accordo di messa in mobilità (doc. 3) a seguito della quale il ricorrente è stato individuato come destinatario di recesso ed ha rinunciato all’impugnazione del licenziamento con verbale di conciliazione in sede sindacale. Nel verbale di conciliazione si dà atto che i lavoratori in esubero da licenziare sono stati individuati secondo criteri volontaristici e di vicinanza alla maturazione dei requisiti pensionistici (doc.4). Il ricorrente è stato poi licenziato con lettera in data 4.12.2009 (doc. 5). Sebbene il rapporto di lavoro non si sia tecnicamente risolto per dimissioni, in ogni caso, il licenziamento trova fondamento in una adesione volontaria del lavoratore alla procedura di mobilità (che comunque aveva individuato i lavoratori da licenziare sulla base della vicinanza alla maturazione della pensione).

Deve ritenersi quindi provato, sulla base dei convergenti elementi di natura presuntiva, il nesso causale tra l’errata comunicazione dell’Inps e la decisione di aderire alla risoluzione anticipata del rapporto di lavoro.

Il ricorrente ha diritto al risarcimento del danno emergente e lucro cessante. L’Inps non ha contestato i dati relativi ai redditi percepiti annualmente quale dipendente della STI s.p.a. e successivamente a titolo di indennità di mobilità, così pure non sono stati contestati i dati relativi alla contribuzione volontaria versata dal ricorrente al fine di raggiungere il requisito contributivo. Nelle more del giudizio, come evidenziato nelle note depositate all’udienza del 28.1.2015 la domanda di pensione è stata accolta ed è stato riconosciuto dall’Inps il diritto al trattamento pensionistico dal 1.12.2014 (documenti allegati alla memoria conclusiva).
Il lucro cessante è costituito dalle retribuzioni che il ricorrente avrebbe continuato a percepire ove non avesse deciso di aderire alla procedura di licenziamento. Il ricorrente percepiva uno stipendio mensile, per 14 mensilità, di € 2.551 netti, con una quota TFR di € 209,47. Le retribuzioni non percepite dalla data del licenziamento sino al 30.11.2014 (tenendo conto dei ratei di tredicesima, quattordicesima e TFR) ammontano a complessivi € 190.012,35 netti. Deve essere detratta la somma di € 30.000 ricevuta a titolo di incentivo all’esodo e la somma di € 20.717,89 netti per il periodo di mobilità, € 9485 e 100,17 netti quali redditi risultanti dal CUD 2012 e 2013. La somma dovuta a titolo di risarcimento ammonta quindi a € 139.294,46. Ad essa devono essere aggiunti gli importi versati dal ricorrente quale contribuzione volontaria per l’ammontare di € 10.067,70 (docc. 23 e 24 allegati al ricorso e doc. 3 e 4 allegati alle note conclusive).

L’Inps, nelle note difensive autorizzate, sostiene che il ricorrente avrebbe potuto accedere alla “terza salvaguardia” ai sensi dell’art. 1 comma 231 della legge 228 del 2012, quale lavoratore che ha risolto il rapporto di lavoro entro il 30.6.2012, in ragione di accordi individuali o collettivi di incentivo all’esodo stipulati entro il 30.12.2011. Il ricorrente non ha contestato di essere in possesso dei requisiti richiesti dalla legge per accedere a tale “salvaguardia”. Si deve pertanto ritenere che il ricorrente avrebbe potuto evitare il pagamento della somma di € 6.330,84 (non contestata nel quantum) a titolo di contribuzione volontaria poiché il requisito dei 40 anni di contrizione risultava essere soddisfatto, secondo legge al 31.3.2013.

L’Inps deve pertanto essere condannato a versare al ricorrente a titolo di risarcimento del danno, la somma di € 143.031,32 oltre agli interessi legali sulle somme rivalutate dalla maturazione dei crediti sino al saldo Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo

P.Q.M.

Il Tribunale di Verona in funzione di giudice del lavoro, definitivamente pronunciando, ogni contraria domanda ed eccezione rigettata
1) In parziale accoglimento del ricorso, condanna l’Inps a pagare al ricorrente L.G., a titolo di risarcimento danni, la somma di € 143.031,32 oltre agli interessi legali sulle somme rivalutate dalla maturazione dei crediti sino al saldo
2) Condanna l’Inps a rifondere le spese di lite che liquida in € 4.000 per compensi e € 37,00 per esborsi oltre Iva Cpa e rimb. Forf. 15%
3) Fissa termine di gg. 60 per il deposito della sentenza.
Verona, 22.4.2015
IL GIUDICE
dott. Antonio Gesumunno

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