Sentenze

Tribunale di Reggio Emilia, Sez. Lavoro – Sentenza n. 161/2016 del 28.06.2016 (Dott. M. R. Serri)

Licenziamento

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA
SEZIONE LAVORO

in funzione di giudice monocratico del lavoro in persona della dott. MARIA RITA SERRI ha pronunciato ex art. 429 c.p.c. la seguente:

SENTENZA

Nella causa di lavoro iscritta al n. XXX del Ruolo Generale dell’anno 2016 promossa con ricorso depositato in data 11 marzo 2016 da
M. A. H. G. elettivamente domiciliato a Reggio Emilia presso e nello studio dell’avv. E. C. che lo rappresenta e difende come da procura in calce al ricorso introduttivo

RICORRENTE

Contro

PDI P. S. E C. SNC
in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata a Reggio Emilia^ presso e nello studio dell’avv. F. S. che la rappresenta e difende come da procura in calce alla memoria di costituzione

RESISTENTE

In punto a: licenziamento.

CONCLUSIONI
Il procuratore di parte ricorrente ha così concluso:
Come da verbale d’udienza del 28 giugno 2016
Il procuratore di parte resistente ha così concluso:
Come da verbale d’udienza del 28 giugno 2016

MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Con ricorso depositato in data 11 marzo 2016 M. A. H. G. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Reggio Emilia in funzione di giudice del lavoro la società Pdi P. S. e C. snc affinché il Tribunale adito accertata la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dichiarasse l’illegittimità del licenziamento intimato allo stesso con lettera datata 16 settembre 2015 perché non sorretto da giusta causa o giustificato motivo e affinché conseguentemente condannasse la resistente a riassumerlo entro 3 giorni o a risarcirgli il danno versandogli un’indennità di importo pari a 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Domandava in subordine che ove fosse stata ritenuta applicabile alla fattispecie la norma di cui al d.lgs n. 23/2015 la società resistente fosse condannata al risarcimento del danno subito dal lavoratore mediante pagamento di un’indennità pari a due mensilità dell’ultima retribuzione per il calcolo del trattamento di fine rapporto. Chiedeva, infine, in via di ulteriore subordine che ove fosse ritenuta la sussistenza di un contratto di lavoro a tempo determinato la resistente fosse condannata al risarcimento del danno per illegittimo recesso mediante la corresponsione di una somma pari alle mensilità che avrebbe percepito sino alla scadenza del contratto ( 30 novembre 2015).
Esponeva dettagliatamente le sue ragioni.
Si costituiva con memoria depositata in data 13 maggio 2016 la società resistente chiedendo il rigetto del ricorso.
Esponeva dettagliatamente le sue ragioni.
La causa, istruita con la produzione di documenti veniva discussa e decisa dando lettura della sentenza ex art. 429 c.p.c. all’udienza odierna.
Si deve ritenere, innanzitutto, che il contratto a tempo determinato si sia trasformato in contratto a tempo indeterminato ai sensi delEart. 5 della legge n. 368/2001 che prevede che: “Se il rapporto di lavoro continua oltre il trentesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi, nonché decorso il periodo complessivo di cui al comma 4-bis, ovvero oltre il cinquantesimo giorno negli altri casi, il contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini”.
Orbene nel caso di specie non risulta provato che sia stata pattuita tra le parti una proroga del contratto a tempo determinato stipulato in data 16 febbraio 2015 con scadenza sino al 30 giugno 2015.
In particolare non solo non risulta alcuna proroga scritta, ma parte resistente non ha nemmeno dedotto alcuna prova in merito all’asserita proroga.
In particolare il capitolo n. 7 unico formulato da parte resistente a sostegno della sussistenza di una proroga non é, comunque, idoneo a provare la dedotta proroga in quanto nello stesso si legge “ Vero che la sig.ra S. P. comunico in Vostra presenza al ricorrente la sua intenzione di prorogare il suo contratto di lavoro dopo la scadenza del 30/11/2015” e ciò sia perché la pror oga deve essere consensuale sia perché il termine del contratto scadeva il 30 giugno 2015 e, quindi, parte resistente doveva provare la proroga dal 1 luglio 2015 al 30 novembre 2015 e non ad epoca successiva.
Da quanto sopra esposto deriva che il contratto stipulato tra le parti deve considerarsi a tempo indeterminato essendo continuato oltre il trentesimo giorno dalla scadenza e ciò dalla scadenza di detto termine.
Tanto premesso e passando ad esaminare il merito della controversia si osserva quanto segue.
Nella contestazione posta alla base della lettera di licenziamento è stato contestato al ricorrente di essersi allontanato dalla sua area di pertinenza per raggiungere l’Ing. M. responsabile dello stabilimento C. per relazionarsi con lo stesso e ciò sebbene detto comportamento fosse in contrasto con le direttive della resistente secondo cui le relazioni tra la stessa e la C. spa erano di esclusiva competenza della direzione aziendale.
Gli è stato, altresì, contestato che secondo quanto riferito dall’ing. M. lo stesso avrebbe denigrato sia dal punto di vista personale che lavorativo una collega di lavoro.
Nella contestazione disciplinare non si fa, invece, alcun riferimento alla recidiva per cui non è possibile ai fini della decisione in merito alla legittimità del licenziamento considerare a tal fine le precedenti condotte contestate indicate da parte resistente nella propria memoria.
Come asserito dalla Suprema Corte, infatti, ( Cass. lav n. 23924/2010) “ In tema di licenziamento disciplinare, la preventiva contestazione dell’addebito al lavoratore incolpato deve riguardare, a pena di nullità del licenziamento stesso, anche la recidiva (o comunque i precedenti disciplinari che la integrano), ove questa rappresenti elemento costitutivo della mancanza addebitata.”
Tanto premesso si rileva che la contestazione per quanto attiene alla dedotta denigrazione è assolutamente generica, in quanto non viene specificato ciò che il ricorrente avrebbe detto sulla collega.
Parte resistente non ha, poi, adeguatamente specificato nemmeno nella memoria il dedotto contenuto denigratorio della conversazione e ha formulato un capitolo assolutamente generico per provare detta circostanza, motivo per cui non è stato ammesso.
A ciò occorre aggiungere che, comunque, dalla lettura complessiva della memoria di parte resistente sembrerebbe emergere che il contenuto denigratorio della conversazione sarebbe consistito unicamente nell’aver riferito che la collega non aveva il patentino per condurre il muletto, circostanza quest’ultima nemmeno smentita dalla resistente e che, pertanto, non può certo considerarsi denigratoria.
Ne consegue, quindi, che detta contestazione è generica, non provata e, comunque, così come formulata inidonea a giustificare il licenziamento in base al canone della proporzionalità.
Per quanto attiene alla contestazione relativa al fatto che il ricorrente seppur non autorizzato avrebbe parlato con l’ing. M. è evidente che detta circostanza anche ove fosse ritenuta provata e rilevante non potrebbe costituire motivo sufficiente per il licenziamento, essendo al limite sanzionabile con sanzione conservativa.
Da quanto sopra esposto deriva, quindi, che si deve ritenere che non sussista la giusta causa di licenziamento quantomeno sotto il profilo della proporzionalità.
Come asserito dalla Suprema Corte, infatti, ( Cass. lav n. 6498/2012) “La giusta causa di licenziamento deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell’elemento fiduciario, dovendo il giudice valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all’intensità del profilo intenzionale, dall’altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, per stabilire se la lesione dell’elemento fiduciario, su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro, sia tale, in concreto, da giustificare la massima sanzione disciplinare; quale evento “che non consente la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”, la giusta causa di licenziamento integra una clausola generale, che richiede di essere concretizzata dall’interprete tramite valorizzazione dei fattori esterni relativi alla coscienza generale e dei principi tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l’accertamento della ricorrenza concreta degli elementi del parametro normativo si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici e giuridici.”
Da quanto sopra esposto deriva che il licenziamento deve essere dichiarato illegittimo.
Per quanto attiene alla sanzione applicabile si ritiene che si applichi l’art. 9 del d.lgs n. 23/2015 dal momento che la conversione in contratto a tempo indeterminato è avvenuta successivamente all’entrata in vigore di detto decreto.
L’art. 1 del d.lgs n. 23/2015, infatti, prevede che: “ Per i lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri, assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il regime di tutela nel caso di licenziamento illegittimo e’ disciplinato dalle disposizioni di cui al presente decreto.
2. Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano anche nei casi di conversione, successiva all’entrata in vigore del presente decreto, di contratto a tempo determinato o di apprendistato incontratto a tempo indeterminato…”
Né è condivisibile la tesi di parte ricorrente secondo cui detta norma non troverebbe applicazione nel caso di specie in quanto non vi è stata una conversione volontaria del rapporto di lavoro.
La lettera della norma, infatti, non fa alcuna distinzione tra conversione volontaria e conversione giudiziale e, quindi, un’interpretazione di questo tipo non appare condivisibile.
Da quanto sopra esposto deriva che deve essere dichiarata l’illegittimità del licenziamento e parte resistente va condannata a corrispondere allo stesso un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale, di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale di Reggio Emilia, in composizione monocratica, in funzione di giudice del lavoro, ogni contraria domanda, istanza ed eccezione respinta, definitivamente pronunciando sulla causa n. XXX/2016 R.G., così provvede:
1) Accertata la sussistenza tra le parti di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dichiara l’illegittimità del licenziamento intimato a M. A. H. G. e per l’effetto condanna PFMN di P. S. e C. snc in persona del legale rappresentante pro tempore a corrispondere allo stesso un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale, di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo.
2) Condanna Pdi P. S. e C. snc in persona del legale rappresentante pro tempore a rifondere a M. A. H. G. le spese processuali che liquida nella somma di euro 2300,00 oltre al rimborso spese forfettarie al 15% iva e cpa come per legge
Reggio Emilia, 28 giugno 2016
Il Giudice
Dott. Maria Rita Serri

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