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Commento a sentenza: Tribunale di Verona, n. 94/2018

Nella sentenza n. 94/2018 del Tribunale di Verona il ricorrente citava in giudizio il proprio datore di lavoro, chiedendo la reintegrazione sul posto di lavoro, con il diritto al pagamento di tutte le mensilità dalla data di estromissione dal lavoro sino a quelle dell’effettivo reintegro.
Come noto, dopo l’introduzione del Jobs Act, emanato durante il governo Renzi, non vi è più nessuna possibilità di reintegra del lavoro nel caso di licenziamento illegittimo; il criterio del numero maggiore o minore di 15 dipendenti, all’interno dell’azienda, è sic et sempliciter un discrimine per il numero di mensilità da indennizzare e non sulla possibilità di ripristino della posizione lavorativa, possibile solo nel caso di licenziamento nullo o discriminatorio.
Nel caso di cui si discute si è anteriormente all’emanazione del decreto legislativo n. 23/2015, perciò sarebbe astrattamente configurabile la reintegrazione sul posto di lavoro.
Entrando nel dettaglio, la nebulosità della testimonianza del ricorrente rende assai difficoltosa l’analisi in concreto del rapporto realmente esistente tra l’attore e la convenuta; basti pensare che il lavoratore ha addotto di aver lavorato in un periodo in cui la società doveva ancora incominciare la propria attività.
Nonostante la scarsa credibilità del ricorrente, il quale non ha progressivamente dimostrato né che la società violasse la percentuale dei lavoratori dipendenti all’interno della propria azienda né che le sue dimissioni siano consequenziali all’apposizione di una firma su un foglio in bianco, egli coglie nel segno laddove contesti il mancato rispetto di quella procedura diretta ad accertare la reale volontà del lavoratore di porre termine al rapporto di lavoro.
Il comma 22 dell’art. 4 della legge 92/12 prevede che se il datore di lavoro non provvede a trasmettere al lavoratore la comunicazione contenente le lettere di 30 giorni dalla data delle dimissioni, queste si considerano prive di effetto, sia in mancanza della convalida presso la direzione territoriale del lavoro, sia in assenza di sottoscrizione della ricevuta di trasmissione.
Come si è visto, la parte ricorrente non ha provato l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Pertanto le dimissioni rassegnate dalla parte ricorrente si innestano quale recesso ante tempus su un contratto a tempo determinato e il lavoratore ha il diritto, quale risarcimento del danno, alle retribuzioni che avrebbe percepito ove il rapporto di lavoro fosse stato mantenuto in essere sino alla scadenza naturale del contratto.
Poiché si tratta di assunzione di operaio a tempo determinato, senza garanzia di un numero minimo di ore, l’entità della retribuzione perduta deve essere ricostruita con criteri presuntivi, facendo riferimento al numero di ore lavorato nell’unico mese in cui il ricorrente ha eseguito la prestazione per l’intero periodo, detraendo quanto già assegnato in acconto dal datore di lavoro.
Viste le premesse, e l’iter probatorio, al lavoratore in questione non poteva andare meglio.

dott. Michel Simion

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Michel Simion

Dottore in Giurisprudenza, Università degli Studi di Verona. Tesi in diritto costituzionale giapponese, appassionato di letteratura asiatica.

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