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Diritto d'asilo e perizia sull'omosessualità del soggetto. Il caso ungherese

La perizia al fine di accertare l’orientamento sessuale di una persona non può essere il solo elemento su cui basare la decisione delle autorità nei riguardi di un migrante richiedente asilo che sfugge alle persecuzioni del suo Paese di origine. Tale prova, poi, non deve essere indirizzata al solo accertamento della sessualità, e comunque va conformata agli standard internazionali.
È quanto si evince dalla sentenza C-473/16 della Corte di Giustizia Ue, chiamata a pronunciarsi dopo essere stata interpellata per esaminare il caso di un cittadino nigeriano dichiaratosi omosessuale e in cerca di protezione. La richiesta d’asilo era stata avanzata in Ungheria, tuttavia il caso viene rinviato alla Corte da parte delle autorità locali: il soggetto richiedente asilo si è trovato a contestare le perizie alle quali era stato sottoposto e che avevano escluso la sua l’omosessualità.
Il cittadino nigeriano è stato sottoposto ai seguenti test: 1) test di Rorschach, 2) test di Szondi e 3) un esame riguardo «un disegno di una persona sotto la pioggia». Il soggetto si è sentito gravemente leso nei suoi diritti fondamentali e, dopo aver ricevuto il riscontro dei test (negativo, che andava quindi a negargli il diritto di asilo), richiede che il caso venga esaminato dalla Corte Ue. Si mette in evidenza la violazione dell’art. 4 della direttiva 2011/95, la quale disciplina le modalità e i casi in cui tali perizie possono essere eseguite.
Le perizie volte a confermare o meno l’orientamento di una persona, risponde la Corte, sono lecite, ma devono comunque conformarsi a quanto disposto dall’art. 7 della Carta, ovvero «il diritto al rispetto della vita privata e famigliare». Il consenso di chi viene sottoposto all’esame «non è necessariamente libero» – visto che, potenzialmente, può essere il punto fondamentale su cui può avvenire la concessione dello status di rifugiato –, tuttavia «il carattere appropriato di una perizia come quella di cui trattasi nel procedimento principale può essere ammesso solo se quest’ultima è fondata su metodi e principi sufficientemente affidabili alla luce degli standard riconosciuti dalla comunità scientifica internazionale. Si deve rilevare al riguardo che, se è vero che non spetta alla Corte pronunciarsi su tale questione, che risulta, comportando una valutazione dei fatti, di competenza del giudice nazionale, l’affidabilità di tale perizia è stata fortemente contestata dai governi francese e dei Paesi Bassi, nonché dalla Commissione». Questo escluderebbe i test adottati dalle autorità ungheresi.
L’impatto stesso di una perizia «appare sproporzionato rispetto all’obiettivo perseguito, dal momento che la gravità dell’ingerenza nel diritto al rispetto della vita privata che essa integra non può essere considerata proporzionata all’utilità che tale perizia potrebbe eventualmente presentare per l’esame dei fatti». Proprio per questo, «tale perizia non può essere considerata indispensabile per confermare le dichiarazioni di un richiedente protezione internazionale relative al proprio orientamento sessuale». Senza contare che il personale che esegue i test deve possedere le «competenze adeguate» al caso in esame.
Tornando all’art. 4 della direttiva 2011/95: «letto alla luce dell’articolo 7 della Carta, dev’essere interpretato nel senso che osta all’esecuzione e all’utilizzo, al fine di valutare la veridicità dell’orientamento sessuale dichiarato da un richiedente protezione internazionale, di una perizia psicologica, come quella oggetto del procedimento principale, che ha per scopo, sulla base di test proiettivi della personalità, di fornire un’immagine dell’orientamento sessuale di tale richiedente».
In conclusione, una perizia effettuata come nel caso in esame è legittima quando:

  • l’orientamento sessuale del soggetto non viene confermato da prove documentali;
  • è conforme ai diritti fondamentali della Carta;
  • è formata sulla base di test proiettivi della personalità;
  • non costituisce il solo elemento di decisione circa l’orientamento sessuale del richiedente asilo.

Nel caso ungherese, sempre stando a quanto riportato nella Carta, la perizia psicologica attuata non è legittima.
 

Fonte: IlSole24Ore
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