Sentenze

Tribunale di Parma, Sez. Lavoro – Sentenza n. 286/2016 del 02.08.2016 (Dott. R. Pascarelli)

TRIBUNALE DI PARMA
– Sezione Lavoro –
Nella causa n. /2013 R.G.

controversia promossa da
B. R. – (Avv. M. M.);

– RICORRENTE –

contro

INPS – (Avv. V. G.);
S.C.C.I. s.p.a. – (Avv. V. G.);

– RESISTENTI-

avente ad OGGETTO: opposizione ad avviso di addebito;
All’udienza del 02/08/2016, sono comparsi spontaneamente i procuratori delle parti, i quali insistono nei rispettivi scritti e discutono la causa.
IL G.L.
dato atto di quanto sopra, al termine della discussione decide la causa come da dispositivo ed emette la seguente
Sentenza pubblicandola mediante lettura del dispositivo e della motivazione alla presenza delle parti:

IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO IL TRIBUNALE DI PARMA

in funzione di giudice unico per le controversie da trattarsi col rito del lavoro, in persona del Dr. Roberto Pascarelli, definitivamente pronunciando, ai sensi degli artt. 281 sexies e 429 c.p.c.
OSSERVA
Con ricorso depositato in data 13 dicembre 2013, il ricorrente indicato in epigrafe ha impugnato innanzi all’intestato Tribunale, chiedendone l’annullamento, ravviso di addebito n. , a lui notificato in data 21/11/2013 (doc. 1 di parte ricorrente). Col suindicato provvedimento, 1TNPS – Sede di Parma – ha intimato all’opponente il pagamento della complessiva somma di Euro 17.328,13.
Tale importo, per quanto risulta dall’avviso di addebito qui impugnato, troverebbe origine in un “debito contributivo” il cui preteso creditore è l’INPS e la cui pretesa causale è “accertamento unificato contrib. IVS sul reddito ecced. il minimale” per Tanno 2008. L’Agenzia delle entrate, infatti, per Tanno 2008, aveva contestato all’odiemo opponente con l’avviso di accertamento n. (doc. 2 di parte resistente), la percezione di maggiori redditi rispetto a quelli da lui dichiarati.
Il Sig. B. R. ha impugnato l’avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate, sopra indicato, innanzi la Commissione Tributaria Provinciale di Parma ed il relativo giudizio è tutt’ora pendente (doc. 3 di parte ricorrente).
L’odierno opponente, con Tatto introduttivo del presente giudizio, ha eccepito, preliminarmente, la prescrizione quinquennale dei contributi e l’illegittimità dell’iscrizione a ruolo operata dall’INPS per violazione dell’art. 24, comma 3 del D. Lgs. n. 46/99.
Nel merito, il ricorrente assevera che l’accertamento dell’Agenzia delle Entrate, sui cui si base la pretesa contributiva per cui è causa, è infondato in quanto sarebbe basato sulla reiterazione nella mancata emissione degli scontrini fiscali e la mancata produzione delle rimanenze iniziali e finali del 2008, non rispondenti al vero.
Inoltre, i dati afferenti la capacità di spesa del ricorrente farebbero riferimento a una serie di annualità, 2006 e 2009, diverse da quella oggetto di accertamento.
Infine, sarebbero errati i parametri di riferimento utilizzati dall’Agenzia delle Entrate per la ricostruzione dei ricavi.
Dopo la notifica del ricorso e del pedissequo decreto di fissazione d’udienza, l’INPS, ritualmente costituitosi in giudizio, in proprio e quale mandatario speciale della S.C.C.I. s.p.a., ai sensi dell’art. 13 della L. n. 448/1998, ha resisto allo spiegato ricorso e ne ha chiesto, in via principale, l’integrale reiezione, asseverandone l’infondatezza. L’Ente di previdenza, inoltre, in via subordinata, ha chiesto la condanna della controparte al pagamento delle somme che risultassero “eventualmente dovute in corso di causa”.
La causa, istruita sulla base dei documenti prodotti in giudizio dalle parti, è stata rinviata all’odierna udienza per discussione. .
Tanto premesso circa lo svolgimento del giudizio, rileva il Tribunale che il ricorso appare meritevole di accoglimento.
SULLA VIOLAZIONE DELL’ART. 24. COMMA 3. D.LGS. N. 46/1999 Secondo il ricorrente l’INPS avrebbe violato l’art. 24, comma 3, D.Lgs. n. 46/1999, il quale prevede una limitazione, precludendo l’iscrizione a ruolo quando l’accertamento, da cui deriva la pretesa contributiva, sia oggetto di impugnazione innanzi all’autorità giudiziaria. Al riguardo l’INPS ha sostenuto che il comma 3 dell’art. 24 citato, che inibisce l’iscrizione a ruolo della pretesa contributiva se l’accertamento su cui si fonda è impugnato davanti all’autorità giudiziaria, è da riferirsi esclusivamente a quello eseguito da esso istituto o, quanto meno, se ricollegabile anche ad accertamenti operati da altri Uffici, l’inibizione è subordinata alla conoscenza che esso Istituto ha della pendenza del giudizio. La tesi dell’INPS, tuttavia, è stata radicalmente smentita dalla recente pronuncia n. 8379/2014 della Suprema Corte di Cassazione che, in un caso del tutto speculare a quello sub indice, ha affermato il seguente principio di diritto: “In materia d’iscrizioni a ruolo dei crediti degli enti previdenziali il D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 3, il quale prevede la non iscrivibilità a ruolo del credito previdenziale sino a quando non vi sia provvedimento esecutivo del Giudice, qualora l’accertamento su cui la pretesa creditoria si fonda sia impugnato davanti l’autorità giudiziaria, va interpretato nel senso che l’accertamento, cui la norma si riferisce, non è solo quello eseguito dall’ente previdenziale, ma anche quello operato da altro ufficio pubblico come l’Agenzia delle Entrate, né è necessario, ai fini di detta non iscrivibilità a ruolo, che, in quest’ultima ipotesi, l’INPS sia messo a conoscenza dell’impugnazione dell’accertamento davanti all’autorità giudiziaria anche quando detto accertamento è impugnato davanti al Giudice tributario ”.
Ergo: l’INPS, in alcun caso, avrebbe potuto procedere all’emissione dell’avviso di addebito impugnato in questa sede, in quanto è tuttora pendente, innanzi alla giurisdizione tributaria, il giudizio nel cui ambito il Sig. B. ha contestato la presunta sussistenza di redditi maggiori rispetto a quelli dichiarati all’Amministrazione finanziaria.
In ragione di quanto sopra, deve ritenersi che l’INPS abbia violato l’art. 24 comma 3 del D.LGS. 46/1999, così come interpretato dalla più recente giurisprudenza di legittimità.
Pertanto, va dichiarata illegittima l’iscrizione a ruolo dei contributi richiesti con ravviso di addebito impugnato che, per l’effetto, deve essere annullato.
L’accoglimento dell’eccezione in esame appare, poi, assorbente di ogni altro aspetto della vertenza, posto che la domanda di condanna proposta dall’INPS in via subordinata, non essendo stata esperita quale domanda riconvenzionale, non può ampliare il thema decidendum della causa ed essere intesa quale azione ordinaria, tesa al recupero dei contributi per cui è causa. Ed invero, la predetta domanda, così come proposta, deve essere intesa come richiesta di conferma dell’avviso di addebito impugnato, anche per un minor importo rispetto a quello iscritto a ruolo.
Del resto, anche laddove si volesse dissentire da questi ultimi rilievi, la domanda subordinata spiegata dall’INPS dovrebbe, comunque, essere respinta per genericità della medesima, non essendo indicati gli specifici importi oggetto della richiesta di condanna dell’odierno ricorrente.
Considerata la complessità della materia e la particolarità dei temi trattati, si ritiene sussistano gravi ed eccezionali motivi per compensare le spese di lite.

P.Q.M.

disattesa ogni contraria o diversa istanza, domanda ed eccezione, così decide:
1.in accoglimento dello spiegato ricorso, dichiara illegittima l’iscrizione a ruolo dei contributi richiesti con l’avviso di addebito impugnato e, per l’effetto, lo annulla;
2. compensa tra le parti in causa le spese di lite.
Parma, 02/08/2016
TRIBUNALE DI PARMA DEPOSITATO IL 2 AGO 2016

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