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Cassazione: se l'ex lascia il lavoro per scelta, l'assegno divorzile rimane uguale

Se l’ex coniuge si dimette dalla posizione lavorativa per scelta personale, non può pretendere l’adeguamento (si legga maggiorazione) dell’assegno divorzile. È quanto ha stabilito la Corte di Cassazione con ordinanza n. 3015 del 7 febbraio 2018.
Il caso in esame è quello di una ex moglie, la cui richiesta era di portare l’assegno da 800 a 3.800 euro in seguito alla “perdita” della posizione lavorativa. La richiesta, già bocciata dalla Corte d’Appello di Roma, viene rifiutata dalla Cassazione ricorrendo alla sentenza n. 11504 del 10 maggio 2017, secondo la quale il tenore di vita matrimoniale non è più un parametro utile al calcolo dell’assegno; semmai, lo è il raggiungimento o meno di una qualsiasi autosufficienza economica.
A far saltare i parametri di calcolo non è tanto la decisione della donna di rinunciare alla posizione lavorativa (definita dalla «carriera promettente»), ma l’essere «proprietaria di un terreno e di un appartamento da cui percepiva un canone di locazione». La somma di 800 euro, ricordano i giudici, era stata inizialmente calcolata dai giudici di merito basandosi sulla brevità della convivenza matrimoniale (6 anni), sulla posizione lavorativa e sulle proprietà possedute. Inoltre «libere scelte di vita», come quella di liberarsi del lavoro, non possono influire sull’ex marito.
A seguito della sentenza n. 11504, poi, «la conservazione del tenore di vita matrimoniale non costituisce più un parametro di riferimento utilizzabile né ai fini del giudizio sull’an debeatur né di quello sul quantum debeatur, la cui determinazione è finalizzata a consentire all’ex coniuge il raggiungimento dell’indipendenza economica». Continua la Cassazione: «A giustificare l’attribuzione dell’assegno non è, quindi, di per sé, lo squilibrio o il divario tra le condizioni reddituali delle parti, all’epoca del divorzio, né il peggioramento delle condizioni del coniuge richiedente, ma la mancanza della “indipendenza o autosufficienza economica”, intesa come impossibilità di condurre con i propri mezzi un’esistenza economicamente autonoma e dignitosa». Tale condizione dignitosa, in secondo luogo, dovrà essere «né bloccata alla soglia della pura sopravvivenza né eccedente il livello della normalità».
Rigettata, infine, anche la richiesta operata dalla ex moglie riguardo l’assegnamento della casa coniugale. Essa rimane al padre, in quanto convive col figlio maggiorenne. L’assegnazione, spiegano i giudici, si rifà «alla presenza di figli, minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti, conviventi con i genitori». L’intento è quello di tutelare «l’interesse dei figli a permanere nell’ambiente domestico in cui sono cresciuti».
 

Fonte: IlSole24Ore
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