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Commento a sentenza: Tribunale di Bologna, n. 20030/2018

La nozione clinico-legale di ‘complicanza’ indica un evento dannoso verificatosi nel corso dell’esecuzione di un intervento o dopo la conclusione di esso che, pur essendo astrattamente prevedibile, non sarebbe evitabile.
Cosa deve intendersi per ‘complicanza’ dal punto di vista giuridico?
Ci si riferisce a un qualsiasi evento avverso correlato all’atto medico statisticamente noto, il quale, per mandare esente il sanitario da responsabilità, deve necessariamente essere o imprevedibile o inevitabile (o entrambi), perché, altrimenti, qualora fosse prevedibile ed evitabile, non avrebbe alcun rilievo giuridico (andrebbe ascritto alla colpa del sanitario), anche se in linguaggio medico resterebbe comunque definibile quale complicanza; in estrema sintesi, o la complicanza è idonea, per il suo essere imprevedibile o inevitabile, a configurare la “causa non imputabile” di cui all’art. 1218 c.c., oppure non gioca alcun ruolo, indipendentemente dalla sua ricorrenza clinico-statistica (cfr. Cass. civ., 30 giugno 2015, n. 13328; Cass. civ., 29 settembre 2009, n. 20806).
Il concetto medico di ‘complicanza’ pertanto non coincide di per sé con la figura giuridica della “causa non imputabile”, non si traduce tout-court in un fattore di esclusione della colpa medica, ma va accertato in concreto se quell’evento infausto verificatosi nel caso di specie ne integri o meno gli estremi.
Ciò è quanto ha ribadito il Tribunale di Bologna con la sentenza n. 20030/2018 nel rigettare l’azione risarcitoria proposta dall’attrice, la quale aveva subìto la lacerazione della milza durante l’esecuzione di un intervento di emicolectomia sinistra, ritenendo, alla luce delle risultanze della ctu, non sussistesse nel caso di specie alcuna responsabilità attribuibile all’operato del chirurgo e alla struttura sanitaria.
Invero il giudice, dopo aver inquadrato la responsabilità della struttura sanitaria e del medico proprio dipendente nell’ambito della responsabilità contrattuale, ha affermato come nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica sia onere dell’attore, paziente danneggiato, dimostrare l’esistenza del nesso causale tra la condotta del medico e il danno di cui chiede il risarcimento.
Ha richiamato sul punto la sentenza n. 29315/2017 con la quale la Suprema Corte aveva affermato che «in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia e allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante». E le risultanze della ctu sono state ben chiare nell’escludere ogni qualsivoglia elemento configurante imperizia dell’operatore, considerate anche le condizioni specifiche del caso concreto quali l’obesità della paziente e il regime di urgenza nel quale è stato eseguito l’intervento.
La lacerazione della milza della povera signora, con conseguente sua asportazione, è stata (ahinoi!) “solo” una complicanza e come tale non risarcibile.

dott.ssa Veronica Foroni

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Veronica Foroni

Laureata in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Verona, tesi "Il consenso informato ai trattamenti sanitari nei soggetti incapaci tra esigenze di protezione della salute e tutela dell'autodeterminazione", relatore Prof. Riccardo Omodei Salè (110/110). Frequento la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali, Università degli Studi di Trento e Verona. Praticante avvocato e tirocinante presso Tribunale di Verona - III sez. civile (magistrato referente dott. Massimo Vaccari). Appassionata di biodiritto e bioetica, mi interesso dei temi di diritto civile relativi a persone e famiglia (in particolare della tutela dei soggetti incapaci).

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