Lavoro e previdenza

L'applicabilità dei limiti legali sull'orario di lavoro degli ufficiali giudiziari

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La Cassazione si pronuncia sull’orario di lavoro degli ufficiali giudiziari (nota a Cass., 2 luglio 2014, n. 15074)

Con la sentenza in commento la Suprema Corte si esprime, per la prima volta a quanto consta, sulla questione dell’applicabilità dei limiti legali sull’orario di lavoro ai lavoratori in possesso della qualifica di ufficiali giudiziari.

Tale questione viene risolta tramite l’adesione all’orientamento è invero prevalente anche nelle decisioni dei giudici di merito è che esclude l’assoggettabilità delle disposizioni limitative dell’orario di lavoro per questa categoria di lavoratori, stante i profili di specialità della disciplina applicabile ed, in particolare, del D.p.r. 15 dicembre 1959, n. 229.

La sentenza non convince.

Se è infatti vero che il D.p.r. 229/59 cit. individua nel rapporto di pubblico impiego degli ufficiali giudiziari marcati tratti di specialità, quali le modalità di computo della retribuzione, la disciplina delle mansioni, ecc., è altrettanto vero che tale normativa non reca alcuna disposizione in merito all’orario di lavoro applicabile agli stessi.

La Suprema Corte, pur non negando detta lacuna, sostiene tuttavia che l’assenza di un limite all’orario di lavoro degli ufficiali giudiziari si fonderebbe sulle diposizioni collettive applicabili al rapporto ed, in particolare, sulle norme di raccordo emanate con il CCNL 24 aprile 2002 ed, in particolare, sull’art. 6 di tale articolato, ai sensi del quale gli ufficiali giudiziari “organizzano il proprio tempo di lavoro, correlandosi con la massima flessibilità alle esigenze connesse all’espletamento degli incarichi loro affidati”.

Detta ricostruzione, tuttavia, si pone in contrasto con la disciplina dettata dall’art. 3 del Decreto Legislativo 8 aprile 2003, n. 66[1] che, dopo aver fissato la regola generale secondo cui “l’orario normale di lavoro è fissato in 40 ore settimanali”, riconosce alla contrattazione collettiva la sola facoltà di derogare in melius a tale limite, prevedendo che la stessa possa stabilire “ai fini contrattuali, una durata minore e riferire l’orario normale alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore ad un anno”.

In proposito la miglior dottrina, nel commentare le suddette disposizioni, ha giustamente messo in luce che “tutte le possibili deroghe in peius all’orario normale come fissato dall’articolo in commento sono disposte direttamente dal decreto, e quindi dalla legge, mentre non sono ammesse da parte della contrattazione collettiva se non nei casi che la stessa legge provvede ad individuare”[2].

Il richiamo alle norma di raccordo del 2002, pertanto, non basta per consentire la deroga al limite generale dell’orario di lavoro stabilito dall’art. 3 del D. Lgs. 66/2003 cit.

Né contro questa conclusione vale obiettare, come fa la Suprema Corte, che l’applicazione delle norme del D.lgs. 66/2003 cit. esclusa, fra l’altro, “nell’ambito delle strutture giudiziarie [?] in presenza di particolari esigenze inerenti al servizio prestato” (art. 2 D. Lgs. 66/2003).

Se è infatti vero che la normativa in commento prevede la derogabilità della disciplina in materia di orario nel settore delle strutture giudiziarie, è altrettanto vero che detta derogabilità resta subordinata all’adozione di un “decreto del Ministro competente, di concerto con i Ministri del Lavoro e delle Politiche Sociali, della Salute, dell’Economia e delle Finanze e per la Funzione Pubblica, da adottare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto”[3] che, tuttavia, non è stato mai emanato dalle amministrazioni competenti nei termini suindicati.

In proposito la miglior dottrina, nel commentare la disciplina in esame, ha giustamente evidenziato che “si tratta pertanto di un’esclusione parziale e non totale, subordinata peraltro all’emanazione di un decreto ministeriale da adottarsi entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto il quale dovrà individuare nel dettaglio le suddette esigenze e ragioni. In particolare, sarà compito dei decreti disegnare le aree di esclusione rispetto alla disciplina di carattere generale”[4].

Va, inoltre, aggiunto che la Commissione Europea ha già espresso forti critiche al sistema derogatorio per i lavoratori appartenenti all’ordinamento giudiziario escogitato dal legislatore italiano, ritenendo che le deroghe previste per il personale dei tribunali sembrano andare oltre quanto consentito dalla direttiva[5].

Resterà da verificare, pertanto, se la decisione in commento troverà il conforto di altri arresti conformi, nell’attesa (non improbabile) che venga disposto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea al fine di verificare la conformità della disciplina italiana alla direttiva sull’orario di lavoro.


[1] Recante «attuazione della direttiva 93/104/CE e della direttiva 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro». Le direttive in esame sono state poi trasposte nella direttiva di codifica 2003/88/CE.

[2] Mariani M., Commento all’art. 3 D. Lgs. 66/2003, nel Commentario breve alle Leggi sul Lavoro, Padova, 2013, 1928.

[3] Vd. art. 2, comma secondo, ultima parte, D. Lgs. 66/2003.

[4] Simonato D., Il rapporto di lavoro subordinato: costituzione e svolgimento, nel Commentario di Diritto del Lavoro diretto da Carinci F., Torino, 2007, 1028.

[5] Cfr. la «relazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale e al Comitato delle Regioni sull’applicazione negli Stati Membri della Direttiva 2003/88/CE (Direttiva sull’orario di lavoro) pubblicata in data 21.12.2010 (COM (2010) 802 definitivo)», reperibile presso il sito Internet http://www.eur-lex.europa.eu, consultato il giorno 20 aprile 2015.

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Luca Sartori

Avvocato in Bergamo, svolge la sua attivit? prevalentemente nell'ambito del diritto del lavoro e della previdenza, patrocinando controversie in ambito privatistico e pubblicistico.

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