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Sottrazione internazionale di minori: come risolverla?

Sempre più numerosi in Italia i casi che vedono minori contesi con l’estero: sono 3.300 negli anni 2000-2017 i bambini rapiti (si fa per dire) da uno dei genitori. Solo negli ultimi quattro anni, a partire quindi dal 2014, i casi sono saliti a circa 250 l’anno. Nell’ultimo anno il 60% dei casi ha riguardato bambini portati all’estero, mentre i rimanenti sono minori che vengono “reclamati” all’estero. Per quanto riguarda le destinazioni, la maggior parte di loro viene portata in Paesi membri dell’Unione Europea: Romania, Germania, Russia e Francia sono tra le mete favorite del 2017.
Questi sono i dati che emergono dall’ultimo rapporto presentato dal dipartimento per la giustizia minorile e di comunità del Ministero della Giustizia.
Per venire incontro a coloro i quali si vedono sottrarre il figlio (o i figli), la Convenzione dell’Aja (25/10/1980) prevede una procedura ben specifica. Non secondario il fatto che entrambi i Paesi interessati devono aver sottoscritto la Convenzione.
Il meccanismo va a coinvolgere le autorità centrali di entrambi i Paesi, le quali vengono incaricate di agevolare il ritorno del minore. In Italia l’autorità preposta è il Ministero della Giustizia, il quale si preoccupa di analizzare e avviare le procedure «attive», ovvero avviate da genitori che vogliono vedere tornare il proprio figlio dall’estero, e «passive» (che arrivano dall’estero per il ritorno di un minore che si trova in Italia).
Esistono delle condizioni affinché la procedura possa dare il risultato sperato: una di queste prevede che il minore non abbia più di 16 anni, mentre un’altra vuole che la sottrazione sia effettivamente avvenuta senza il consenso dell’altro genitore. Inoltre, è molto più semplice ottenere il ritorno se non passa più di un anno dalla sottrazione: in un periodo di tempo più elevato sarà più semplice dimostrare l’integrazione del minore col nuovo ambiente.
Nonostante la precisazione sulla tempistica, «sono molti i genitori che attivano l’autorità centrale dopo l’anno» spiega l’avvocato Maria Letizia Sassi. Alla base di tutto, sempre secondo l’avvocato, ci sarebbe una scarsa informazione riguardo il mezzo messo a disposizione dalla Convenzione, senza contare il fatto che «spesso i genitori preferiscono percorrere altre strade, a partire dalla denuncia penale: è probabile che scatti il desiderio di vedere “punito” l’ex che ha portato via il figlio». E questo nonostante il fatto che i tempi possono dilatarsi in maniera considerevole.
La Convenzione, invece, prevede un tempo di sei settimane per la chiusura della procedura. Tale termine, ammette l’avvocato, viene spesso sforato, ma si tratta comunque di una tempistica molto più breve rispetto a quello che può essere un procedimento penale: «i tempi si allungano perché è raro che il giudice decida già nell’udienza presidenziale: in genere si riserva di approfondire la questione».
Nel caso in cui un bambino venisse portato in un Paese che non ha sottoscritto la Convenzione dell’Aja, è comunque possibile rivolgersi al Ministero degli Esteri o al commissario straordinario del Governo per le persone scomparse (quest’ultimo nel caso non si sappia dove si trovi il figlio).

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