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Facebook e il diritto di satira – Tribunale di Roma, sentenza n. 12512/2018, giudice Velletti

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA
PRIMA SEZIONE CIVILE

Il Tribunale, nella persona del giudice unico Dott.ssa Monica Velletti ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. 79320/2016 R.G. promossa da:
M. R. P., rappresentata e difesa dall’Avv. R. D. con elezione di domicilio presso lo studio del difensore, come da delega in atti;

ATTRICE

Contro

C. M. A. e S. M., rappresentati e difesi dagli Avv. R. D. e P. C., elettivamente domiciliati presso lo studio dei difensori, come da delega in atti;

CONVENUTI

OGGETTO: azione di risarcimento del danno da diffamazione

CONCLUSIONI

Parte attrice: “Accertare e dichiarare la responsabilità dei convenuti C. e S. per l’illecito civile di lesione di diritti costituzionalmente garantiti (reputazione ed immagine), e per l’effetto dell’accertata responsabilità dei contenuti falsi, inveritieri, diffamanti e lesivi, condannare i convenuti in solido, al risarcimento di tutti i danni patrimoniali, morali e fisici subiti e subendi dalla Sig. ra S. P. e al risarcimento del lucro cessante derivato dall’avvenuta lesione della sua immagine e reputazione, nonché alla refusione delle spese mediche sopportate e precisamente alla somma di Euro 52.000,00 per ciascuno convenuto o di quella maggiore o minore che sarà ritenuta dovuta, in solido dai convenuti e/o ritenuta dovuta per ciascuno nella misura da liquidarsi in via equitativa tenuto conto del valore della lesione inferta e del valore della dignità professionale e personale dell’attrice. Con vittoria di spese e competenze del presente giudizio”.
Parte convenuta: “Voglia l’On. le Tribunale adito rigettare la domanda dell’attrice in quanto infondata in fatto e diritto. Con condanna alle spese di lite anche ex art. 96 ult. co. Cpc.

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Con atto di citazione regolarmente notificato alle controparti, M. P. premettendo di essere nota con il diminutivo di S. P. e di essere una delle più note chef italiane impegnata in programmi televisivi di diffusione nazionale, specializzata nell’arte della panificazione, ha esposto che il data 23/24 settembre 2014 apprendeva che in un Gruppo F., denominato “quelli che.. i dolci” amministrato dagli odierni convenuti M. S. e M. A. C., venivano pubblicati post dai contenuti calunniosi e diffamatori. In particolare in data 21 settembre 2014 alle ore 10, 50 l’amministratore del gruppo M. S., premettendo di essersi “rotto” annunciava a tutti i partecipanti al post, che in giornata avrebbe raccontato cosa “è capace di fare una certa signora divenuta famosa per il pane… “, e che tutti i partecipanti al gruppo, avendo compreso a chi volesse riferirsi lo S., avrebbero cominciato a giocare con il nome e con la professione dell’attrice e a ciò sarebbero seguite frasi evocative, ingiuriose, diffamatorie e minacciose rivolte secondo la parte attrice alla stessa P. Altri messaggi, di contenuto parimenti ritenuto diffamatorio sarebbero stati inseriti nel blog il 22 settembre 2014 a seguito di un post pubblicato in calce ad una foto del “Il Padrino”, al quale sarebbero seguiti messaggi fortemente minacciosi ed aggressivi nei confronti della attrice; nel 2015 e nel 2016 in un nuovo gruppo facebook i convenuti avrebbero inserito ulteriori frasi ingiuriose e diffamatorie. La P. ha rappresento di aver presentato denunce querela avverso tali condotte ravvisando la commissione di reati, cui avrebbe fatto seguito provvedimento di archiviazione del GIP, emesso su conforme richiesta del Pubblico Ministero, avendo l’autorità penale ritenuto espressione del diritto di satira le frasi contestate. Rappresentando l’autonomia tra l’accertamento penale e la valutazione in ambito civilistico, e ritenendo offensive e denigratorie le frasi riportate nei post e propagate dai convenuti l’attrice ha chiesto la condanna degli stessi al risarcimento del danno nei termini riportati in epigrafe; con vittoria di spese di lite.
Si sono costituiti i convenuti contestando che i commenti oggetto di giudizio fossero riferibili alla attrice, mai evocata espressamente, evidenziando l’impossibilità di poter ritenere responsabili dei posts oggetto di giudizio i convenuti, C. e S., in quanto tali commenti erano stati inseriti nel blog da altri utenti, evidenziando i contenuti satirici e goliardici riportati nei messaggi, richiamando sul punto il provvedimento di archiviazione emesso dal GIP, evidenziando la mancanza del danno lamentato dall’attrice; con vittoria di spese di lite.
Istruita documentalmente, la causa è stata trattenuta in decisione con termini per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.
Preliminarmente deve rilevarsi come la affermata riferibilità all’attrice dei post oggetto di giudizio non può dirsi univocamente accertata con riferimento a tutti i messaggi contestati. Nella specie l’attrice non è stata indicata in nessuno dei messaggio oggetto di causa con il di lei nominativo. E se con riferimento ai post del 21 settembre 2014, e dell’8.4.2015, può ritenersi che nonostante il nominativo del P. non venga manifestamente indicato, la presenza di alcuni giochi di parole nel post del 21 settembre 2014, e la chiara indicazione alla trasmissione G. & G. nella quale l’attrice era al tempo ospite fissa, consentono di ritenere identificabile la P., ciò non può dirsi con riferimento ai post del 22 settembre 2014 nei quali a seguito dell’immagine del “Il Padrino” lo S. scriveva “c’è un umile appassionato di cucina che vuole organizzare un evento ad una persona che io non posso sopportare …sicuramente l’11 ottobre farà molto freddo nel locale, tu sai come riscaldarlo vero ? ? ? “l’allegato collegamento con i post precedenti non si coglie, e nessun riferimento viene evocato alla persona dell’attrice, che non appare assolutamente identificabile. Parimenti non è identificabile l’attrice con riferimento ai post del 24 giugno 2016 rispetto ai quali nessun riferimento è presente per identificare la P.. La Corte di Cassazione ha osservato che “l’obbligo di risarcire il danno non patrimoniale causato da una diffamazione (.) sorge non solo quando la persona diffamata sia nominata nello scritto, ma anche quando – pur non essendo nominata – sia chiaramente e univocamente identificabile” (Cass. n. 16543/2012). Nel caso in esame, difettano per i messaggi indicati i requisiti della chiara e univoca identificabilità dell’attrice.
Con riferimento agli ulteriori post oggetto del giudizio (quelli inseriti nelle date del 21 settembre 2014 e dell’8.4.2015), è evidente il contenuto di satira dei messaggi. Nei messaggi del 21 settembre 2014 si legge “cosa è capace di fare una certa signora famosa per il pane” e a questo messaggio seguono dei riferimenti goliardici al nome dell’odierna attrice, privi di qualunque contenuto offensivo. Parimenti da ricondurre nel legittimo esercizio del diritto di satira è il racconto fiabesco nel quale si riferisce della contrarietà della P. rispetto ad un evento che i convenuti stavano organizzando, senza che possa ravvisarsi alcuna offesa nelle parole riportate nel racconto. Quanto al messaggio dell’8.4.2015, nel quali nel gruppo si disquisisce in merito all’originalità della ricetta della colomba, diffusa in una trasmissione televisiva dalla P., ritenuta non originale ma mutuata da ricetta precedentemente elaborata da altro cuoco, le frasi riportate non possono ritenersi né offensive né ingiuriose, in quanto espressione di un punto di vista personale, e riportate con toni che, seppure coloriti e ironici, esprimono un parere soggettivo e non offensivo (essendo legittimo riprodurre ricette di altri cuochi) e non travalicano i limiti della satira (“un personaggio che ha costruito la carriera con ricette di altri. compresi i libri scritti.. e visto che ha voluto la guerra avrà pane per i suoi denti” con esplicito riferimento alla specialità o gastronomica della attrice, esperta panificatrice di indiscussa fama nazionale). Come noto, il diritto di cronaca implica la descrizione di fatti che trovino un’effettiva corrispondenza nella realtà, mentre ciò che rileva in tale sede è il cd. diritto di critica e satira, volto a una manifestazione valutativa delle proprie opinioni, che può richiedere anche toni forti o accentuati, volti a contrastare la tesi opposta, il diverso punto di vista di altro soggetto.
Infatti, secondo la Corte di Cassazione, “la satira costituisce una modalità corrosiva e spesso impietosa del diritto di critica, sicché, diversamente dalla cronaca, è sottratta all’obbligo di riferire fatti veri, in quanto esprime mediante il paradosso e la metafora surreale un giudizio ironico su un fatto, pur soggetta al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o immagini rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguito. Conseguentemente, nella formulazione del giudizio critico, possono essere utilizzate espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui, purché siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall’opinione o comportamento preso di mira e non si risolvono in un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione del soggetto interessato, non potendo invece, essere riconosciuta la scriminante di cui all’art. 51 c.p. nei casi di attribuzione di condotte illecite o moralmente disonorevoli, di accostamenti volgari o ripugnanti, di deformazione dell’immagine in modo da suscitare disprezzo della persona e ludibrio della sua immagine pubblica.” (Cass. n. 21235/2013). Peraltro, “il diritto di satira, di rilevanza costituzionale, costituisce una manifestazione del diritto di critica che può esprimersi mediante la rappresentazione artistica della vignetta con la quale si realizza la riproduzione ironica di un fatto, anche mediante lo strumento dell’inverosimiglianza e dell’iperbole, al fine di suscitare il riso e sferzare il costume. Per la sua natura di giudizio soggettivo e opinabile la satira è sottratta al parametro della verità, ma soltanto i fatti espressi in modo apertamente difforme dalla realtà sono privi di capacità offensiva, mentre la riproduzione apparentemente attendibile di un fatto di cronaca deve essere valutata secondo il criterio della continenza delle espressioni e immagini utilizzate. Non può, pertanto, essere riconosciuta la scriminante dell’esercizio del diritto di critica per le attribuzioni di condotte illecite e riprovevoli o moralmente disonorevoli, per gli accostamenti volgari e ripugnanti, per la deformazione dell’immagine in modo da suscitare disprezzo o dileggio, perché anche per la satira, la libertà di manifestazione del pensiero non può infrangere il rispetto di diritti fondamentali della persona” (Cass. 23314/2007). Per le ragioni esposte le domande dell’attrice deve essere rigettata e la stessa deve essere condannata al pagamento alle parti convenute delle spese processuali, liquidate come in dispositivo tenendo conto dell’unicità della difesa per i convenuti. Non sussisto i presupposti per la condanna ex art. 96 c.p.c.

P.Q.M.

il Tribunale, definitivamente pronunciando, così provvede: rigetta le domande proposte da parte attrice; condanna l’attrice al pagamento delle spese processuali nei confronti delle parti convenute, che si liquidano tenendo conto dell’unicità della difesa, in complessivi 7.000,00 oltre accessori di legge, da distrarre a favore dei difensori antistatari.
Così deciso in Roma il 21 settembre 2018

Il Giudice
Monica Velletti

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