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Il magistrato accetta favori da imputati in processi pendenti? Legittimo destituirlo con effetto immediato

La sentenza n. 197 della Corte Costituzionale va a sancire un principio di costituzionalità che, a prima vista, può sembrare ovvio. Si dice che non è incostituzionale la rimozione automatica di un magistrato colto nell’atto di ricevere prestiti o favori da soggetti che egli sa essere parti o indagati in procedimenti penali nell’ambito del proprio distretto.
La questione di legittimità era stata sollevata dalla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura nell’ambito di due procedimenti in cui erano coinvolti due magistrati accusati di aver ricevuto favori o benefici da degli imputati in procedimenti penali presso le rispettive sedi giudiziarie. Secondo il Consiglio, la norma che prevede la rimozione immediata come sanzione disciplinare, sarebbe in contrasto con il principio di uguaglianza fissato dall’art. 3 della Costituzione.
La risposta della Corte Costituzionale non si è fatta attendere: la norma non lede alcun principio di uguaglianza e non determina, così, alcuna discriminazione ai danni del magistrato. L’automatismo della norma stessa nel prevedere la rimozione, poi, non può essere considerata irragionevole: i giudici costituzionali, infatti, ricordano che ai magistrati è «affidata in ultima istanza la tutela dei diritti di ogni consociato», e proprio per questo essi «sono tenuti – più di ogni altra categoria di funzionari pubblici – non solo a conformare oggettivamente la propria condotta ai più rigorosi standard di imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo ed equilibrio nell’esercito delle funzioni […], ma anche ad apparire indipendenti e imparziali agli occhi della collettività, evitando di esporsi a qualsiasi sospetto di perseguire interessi di parte nell’adempimento delle proprie funzioni. E ciò per evitare di minare, con la propria condotta, la fiducia dei consociati nel sistema giudiziario, che è valore essenziali per il funzionamento dello Stato di diritto».
Conclusione della Corte è che condotte come quelle in oggetto sono quanto meno lesive per l’attività giurisdizionale, in quanto sono in grado di influenzare e scuotere la fiducia della collettività nei confronti della magistratura. Per questo motivo, la necessaria rimozione dall’ordine giudiziario deve essere vista come l’effettiva impossibilità del magistrato di esercitare le funzioni stesse che ha screditato col suo comportamento.
 

Fonte: Corte Costituzionale
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