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Il Gabibbo è un personaggio originale ma la Corte d’Appello di Milano deve ancora esprimersi sul plagio evolutivo

L’ipotesi del plagio di un’opera altrui non è data soltanto dal ‘plagio semplice o mero plagio’ e dalla ‘contraffazione’ dell’opera tutelata dal diritto di autore, ma anche dal cd. ‘plagio evolutivo’. Esso costituisce un’ipotesi più complessa del fenomeno plagiario in quanto integra una distinzione solo formale delle opere comparate, sicché la nuova, per quanto non sia pedissequamente imitativa o riproduttiva dell’originaria, per il tratto sostanzialmente rielaborativo dell’intervento eseguito su quest’ultima, si traduce non già in un’opera originale e individuale, per quanto ispirata da quella preesistente, ma nell’abusiva e non autorizzata rielaborazione di quest’ultima compiuta in violazione degli artt. artt. 4 e 18L. n. 633 del 1941.

Quella tra la mascotte americana Big Red (nata nel 1979 per mano dell’allora studente Ralph Carey) e il Gabibbo (inviato del noto tg-satirico Striscia la notizia) è una lite che risale al 2002 e che, a oggi, non è ancora conclusa nonostante gli interventi di più Giudici interrogati sulla tutelabilità autoriale delle opere di fantasia.

Senza ripercorre i contenuti delle pronunce susseguitesi in due filoni giudiziari (il primo: Trib. Ravenna, Lugo, 11 dicembre 2007, n. 129; Corte App. Bologna, 13 maggio 2011, n, 609; Corte di Cassazione, sez. I, 11 gennaio 2017, n. 503 – il secondo Trib. Milano, 10 aprile 2012, n. 4145; Corte App. Milano, 9 gennaio 2014, n. 525; Corte di Cassazione, sez. I, ord. 6 giugno 2018, n. 14635) è opportuno soffermarsi sull’ultima pronuncia (n. 14635). In punto di diritto si afferma che: «in tema di diritto d’autore, la fattispecie del plagio di un’opera altrui non è data soltanto dal ‘plagio semplice o mero plagio’ e dalla ‘contraffazione’ dell’opera tutelata ma anche dal cd. ‘plagio evolutivo’, che costituisce un’ipotesi più complessa del fenomeno plagiario in quanto integra una distinzione solo formale delle opere comparate, sicché la nuova, per quanto non sia pedissequamente imitativa o riproduttiva dell’originaria, per il tratto sostanzialmente rielaborativo dell’intervento eseguito su quest’ultima, si traduce non già in un’opera originale e individuale, per quanto ispirata da quella preesistente, ma nell’abusiva e non autorizzata rielaborazione di quest’ultima, compiuta in violazione della L. n. 633 del 1941, artt. 4 e 18».

Con questo suo intervento, la Cassazione ha definitivamente archiviato il tema plagio semplice e/o contraffazione al contempo rinviando alla Corte di merito la questione di verificare l’eventuale sussistenza del plagio evolutivo – in conseguenza del quale la nuova opera è mera rielaborazione della preesistente e, per quanto possa essere anche espressione di creatività, difetta di originalità.

La Corte di Appello di Milano, in sede di rinvio, dovrà effettuare la sua valutazione avuto riguardo al profilo dell’aspetto esteriore (e, sul punto, notevoli sono le differenze tra Gabibbo e Big Red) e dello scarto semantico per il quale è di rilievo fondamentale il significato artistico.

Certo è che agli occhi di un osservatore terzo, stando a quanto emerge da un’obiettiva lettura delle numerose sentenze sinora rese sulla vicenda, poiché il Gabibbo esprime un messaggio artistico suo proprio, del tutto diverso da quanto fa il Big Red, non v’è modo di ritenere sussistente una ipotesi di plagio evolutivo.

La descrizione dei due pupazzi e delle loro differenze che emerge dalle motivazioni delle varie pronunce rese rende, in effetti, arduo, sul piano del confronto esteriore e poi ricorrendo al canone del c.d. scarto semantico, riscontrare una simile figura di illecito: vedremo cosa stabiliranno i giudici di rinvio. I quali peraltro dovranno necessariamente tenere in debito conto anche gli effetti non solo “argomentativi”, ma propriamente giuridici delle statuizioni della Corte di Bologna – la cui pronuncia è resa anche nei confronti del sig. Ralph Carey – che si è espressa su profili comuni a quelli propri del giudizio attualmente pendente.

Si vuol dire cioè che la pronuncia bolognese dovrà essere tenuta in debito conto dai Giudici della Corte di Milano così da evitare conflitti di accertamenti. E qui un ruolo forte avrà, deve presumersi,

l’affermazione della Corte bolognese che ha negato la tutelabilità di Big Red quale opera dell’ingegno per l’assenza dei requisiti di novità e originalità: di conseguenza ove la Corte di Milano andasse ad affermare la proteggibilità del Big Red (che è il presupposto delle domande del sig. Carey nella causa oggi pendente), o la confondibilità con essa del pupazzo nostrano, si avrebbe un palese contrasto con un precedente accertamento tra le stesse parti e per lo stesso oggetto. 

E cioè a dire: profilo di fondamentale importanza nella vicenda sarà sicuramente quello rappresentato dal fatto che, con l’intervenuta sentenza n. 503 del 2017 della Suprema Corte, si è inevitabilmente formata – e peraltro dopo la pronuncia della Corte d’Appello di Milano poi annullata – la cosa giudicata: sia quanto, da una parte, all’assenza del requisito minimo (di creatività) per la tutela del diritto di autore del Big Red sia quanto, dall’altra, alla riconosciuta originalità del Gabibbo (quindi tutelabile ex art. 4 L. n. 633 del 1941): tema col quale dovranno confrontarsi i nuovi giudici chiamati a decidere in sede di rinvio. I quali, anche al di là degli effetti del giudicato, si troveranno davanti un accertamento comunque definitivo sulla vicenda già intervenuto a Bologna, che si andrà ad aggiungere a quello espresso nella sentenza cassata nelle parti non caducate dalla Suprema Corte.

Il fatto che in materia quel che rileva sia più che altro il confronto tra opere, da compiere con l’adozione dei criteri valutativi giurisprudenziali dettati in materia di plagio evolutivo, sembra mettere in secondo piano sul versante pratico quel che si legge nell’ordinanza n. 14635/2018 a proposito di due interviste che nella controversia erano state invocate, i cui contenuti verosimilmente avranno uno scarso rilievo nella fase di rinvio (perché è evidente che determinante sarà la comparazione tra i risultati finali, tra le opere). Tuttavia, è interessante comunque soffermarsi in chiusura sul profilo del valore giuridico da assegnare a tali “interviste” (rilasciate dal terzo Gero Cardarelli e dalla parte in causa Antonio Ricci), occupandosi delle quali la Cassazione si è così pronunciata: «In tema di prove, la confessione stragiudiziale è diretta a veicolare nel processo un fatto storico dubbio, in riferimento al quale la dichiarazione del confitente è destinata a fare chiarezza, sicché essa va valutata dal giudice di merito ai fini dell’accertamento del cd. ‘plagio evolutivo’».

La massima sembra demandare ai giudici di rinvio una preliminare valutazione sulla riconducibilità di tali interviste a vere e proprie “confessioni stragiudiziali” in senso tecnico.

Sembra a chi scrive che tale valutazione sia per il vero scontata, e in senso negativo, quanto all’intervista resa dal terzo Cardarelli: perché non può per definizione costituire confessione una dichiarazione di soggetto estraneo alla causa. L’art. 2730 c.c. è chiaro in tal senso, ma che alcuna “confessione” possa ravvisarsi in dichiarazioni rese da chi non è parte del giudizio è un assunto che discende, del resto, dall’impianto generale del nostro codice di rito.

Una prognosi negativa, ma per ragioni profondamente diverse, pare invece potersi esprimere per quel che riguarda le dichiarazioni rese in una intervista da Antonio Ricci.

La norma del codice civile appena citata, invero, impone che la confessione abbia come oggetto la affermazione – compiuta dalla parte – della verità di fatti oggettivi, quindi non la integrano dichiarazioni valutative, apprezzamenti soggettivi o altre esternazioni della parte in causa. Ma soprattutto impone, sempre per attribuire natura di confessione, che quanto dichiarato dalla parte sia comunque espressione di c.d. animus confitendi: difettando il quale siamo fuori dalla portata dell’art. 2730 c.c. La “confessione” in senso proprio presuppone la volontà e consapevolezza di riconoscere la verità del fatto dichiarato, che deve essere obiettivamente sfavorevole al dichiarante e favorevole all’altra parte: se questo stato soggettivo manca, se la dichiarazione è resa per iattanza, ioci causa, inconsapevolmente, provocatoriamente o  insomma in difetto del predetto, qualificato animus non può esservi confessione.

A ogni buon conto, come accennato, la questione è di interesse scientifico ma probabilmente non avrà un particolare ruolo nella decisione dei giudici di rinvio, chiamati a verificare l’esistenza o meno del c.d. plagio evolutivo comparando le opere, più che il percorso seguito nell’idearle. Tanto più che se la diagnosi giudiziale demandata dalla Suprema Corte sarà nel senso di dichiarazioni effettivamente “confessorie”, esse non avranno alcun effetto di prova legale ma, al massimo, quello previsto dall’art. 2735 c.c.: obiettivamente marginale in contenziosi del genere, dove molti accertamenti in fatto sulle opere si sono susseguiti evidenziandone le differenze.

In conclusione deve ritenersi che:

  • entrambi i pupazzi – sia quello nostrano che quello d’oltreoceano – si rifanno a modelli largamente diffusi sia nello spazio, sia nel tempo;
  • l’individualità del Gabibbo è incontestabile, come incontestabile è la sua notevole differenza rispetto al Big Red (anche nelle forme esteriori);
  • notevole è lo scarto semantico tra i due pupazzi;
  • l’ordinamento giuridico – non solo quello italiano ma anche quello statunitense – tutela l’arte cd. trasformativa o appropriativa. Secondo la giurisprudenza: «in generale, il delicato tema dell’opera derivata va affrontata case by case, verificando se nella creazione successiva, accanto al contributo personale dell’autore, siano riconoscibili elementi espressivi dell’opera preesistente. A certe condizioni, comunque, è consentita la ripresa di un’opera già esistente anche senza il consenso dell’autore della prima creazione, ove si possa ritenere che si è inteso rendere tributo all’arte dell’autore, ma realizzando poi un lavoro diverso.  Si pensi alla c.d. appropriation art che dagli anni ’60 ripropone in chiave autonoma la revisione, la rivalutazione e la ricreazione di icone dell’arte contemporanea: l’ispirazione che si arresta al mero spunto è infatti libera e non subordinata al consenso del titolare dell’opera anteriore» (Trib. Milano, sez. spec. in materia di imprese, 28 novembre 2017).

In definitiva, che la Corte d’appello, in sede di rinvio, dovrà esplicitare i motivi per i quali le ragioni che già l’hanno indotta a escludere il plagio semplice siano idonee a escludere anche quello evolutivo mettendo definitivamente la parola fine a questa fin troppo lunga storia giudiziaria.

avv. Nicola Lo Franco

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